Creato da veuve_cliquot il 10/01/2011

La Specola

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POLITICAMENTE POCO CORRETTO 9

Post n°72 pubblicato il 05 Giugno 2011 da veuve_cliquot

 

 

Articolo piuttosto interessante comparso oggi sul Corriere della Sera a firma di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi: partendo dalle parole di Draghi, il nanismo delle aziende italiani trova una delle sue cause nella lentezza e scarsa affidabilità della giustizia civile italiana: mentre negli anni ottanta una procedura fallimentare durava 4 anni, attualmente ne dura nove.

Personalmente ho sempre pensato che questi tempi biblici fossero secondari alla scarsità di mezzi e di personale dei tribunali italiani, avendo sentito molte interviste di giudici che si lamentano di questo. Invece si scopre dai dati della Commissione Europea sull'efficienza della giustizia (un organo del consiglio d'Europa) che non è affatto vero: lo stato italiano spende per la giustizia 70 euro per abitante mentre la Francia ne spende 58. In Italia ci sono 10 giudici per 100mila abitanti, in Francia 9 giudici per 100mila abitanti. I dipendenti non giudici sono 4 per ogni giudice italiano, 3 per ogni giudice francese. I giudici italiani vengono in media pagati un 20% in più rispetto ai giudici francesi di uguale qualifica. Eppure la lunghezza media di un giudizio in Francia è la metà che non in Italia. E infine, perché i giudizi a Torino durano in media 174 giorni, contro i 324 a Milano?


Scoprire questo mi fa pensare a come viviamo di preconcetti, di notizie false date da chi è interessato a non far giudicare il proprio operato (quante volte abbiamo sentito giudici che si lamentano delle scarse risorse umane ed economiche che hanno a disposizione per giustificare la lentezza dei loro giudizi?).

Leggendo queste notizie, i commenti si fanno da soli. Alla fine mi chiedo: chi è che controlla, chi ha il coraggio di dire, quando ci vengono date notizie false sulle risorse date ai tribunali, che forse le ragioni per la lentezza nelle cause civili non sono da ascrivere alle risorse economiche ma alle risorse umane che forse lavorano poco?

 

 

 
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ossimora
ossimora il 06/06/11 alle 19:13 via WEB
Nuovamente, a distanza di pochi anni, il governo propone un progetto di riforma della giustizia che non è di alcuna utilità per i cittadini: separazione delle carriere, non obbligatorietà dell’azione penale, responsabilità civile dei magistrati, polizia giudiziaria non dipendente dai pm. La politica sta tentando di mettere le mani sulla giustizia, togliendole l’autonomia e rendendola dipendente dal potere politico, alterando di fatto l’equilibrio tra i poteri dello stato come stabilito dalla Costituzione. Attualmente i magistrati (giudicanti e pubblici ministeri) sono reclutati mediante un unico concorso nazionale; è il candidato a scegliere la propria carriera, potendola modificare, facendone richiesta, nel corso delle funzioni. Con la separazione delle carriere, invece, già il concorso sarà differenziato, per cui la scelta del candidato non sarà più modificabile nel corso della carriera. Non è tutto. La riforma prospetta una modifica assolutamente innovativa per l’ordinamento giuridico italiano: la facoltatività dell’esercizio dell’azione penale. Attualmente, l’art. 112 Cost. (ed il principio è ribadito anche nell’art. 50 del codice di procedura penale) prevede l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale. Se dovesse essere modificato l’art. 112 Cost., sarà la legge (e quindi il Parlamento) a decidere i criteri in base ai quali il pm dovrà esercitare l’azione penale. Un altro nodo importate della riforma della giustizia: la responsabilità civile dei magistrati, che saranno tenuti a risarcire i danni cagionati a terzi nell’esercizio delle funzioni giudiziarie. Non che fino ad oggi i magistrati siano esenti da questo tipo di responsabilità; già la legge n. 117 del 1988 (nota come legge Vassalli) aveva stabilito l’obbligo per i magistrati di risarcire il danno cagionato con dolo o colpa grave. La riforma della giustizia, tuttavia, intende blindare questa responsabilità disciplinandola direttamente nel testo della Costituzione. Oggi se una persona ritiene di essere stato danneggiata dall’azione del giudice cita in giudizio lo Stato che poi se ritiene può rivalersi nei confronti del magistrato che ha sbagliato. Se passa la riforma, ogni persona che perderà una causa – e ciascuno crede di averla persa ingiustamente – potrà fare causa al suo giudice. Con due risultati: “provocare” altri processi e indennizzi e, soprattutto, mettere in ginocchio l’autonomia dei magistrati, dal momento che in ogni processo la parte scontenta della decisione presa dal giudice potrebbe agire nei suoi confronti, il giudice potrebbe lacsiarsi influenzare nel prendere le proprie decisioni. Infine, se la polizia giudiziaria non sarà più dipendente dai magistrati, come accade adesso, ma autonoma a svolgere indagini senza informare nessuno e senza alcun controllo, fino a sei mesi, sarà più agevolmente influenzabile ed indirizzabile dal politico di turno. È senz’altro vero che servono riforme organiche, prima fra tutte una radicale semplificazione dei riti processuali, ma invece di pensare a soluzioni concrete si gioca su temi che possono colpire l’opinione pubblica, che non sono certo i problemi veri della giustizia italiana. Che ha invece, in termini organizzativi, problemi spaventosi, vuoti di organico, concorsi che risalgono a più di dieci anni fa. Un apparato che lotta quotidianamente tra mille difficoltà, con operatori molto specializzati e costretti a coprire più figure professionali a causa delle mancanze suddette. Bisognerebbe ridurre le circoscrizioni giudiziarie, abolendo i tribunali minori e molti piccoli uffici dei giudici di pace, revisione che consentirebbe di recuperare risorse umane e materiali. Mancano le risorse economiche per il lavoro straordinario e per la polizia (ci sono zone del paese dove le udienze non proseguono nel pomeriggio perchè non c’è modo di pagare i cancellieri) e per informatizzare capillarmente gli uffici giudiziari. A causa delle carenze di risorse si sta poi verificando un fenomeno che porta con sè aspetti inquietanti. Gli Uffici giudiziari per migliorare un po’ la loro situazione sono costretti a ricorrere a protocolli con gli enti locali, che in un principio di leale collaborazione tra organi dello Stato, mettono a disposizioni risorse per le infrastrutture o unità di personale. Fin qui tutto bene; ma quello che si sta verificando è che ci sono regioni che mettono a disposizione milioni di euro ed altre che non ne mettono nemmeno uno, provocando sul territorio un proliferare indiscriminato di progetti a volte in contraddizione tra loro e non comunicanti. Quindi confusione, approssimazione, grande diversità tra regione e regione, decisamente in contraddizione con il principio che “la giustizia è uguale per tutti”.
 
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