Fire the bastards

Dicono che d’estate si legge di più. Non è vero. Si comprano più libri, questo sì, ma solo perché resiste la tradizione di portarsi un best seller in vacanza: il piacere della lettura non c’entra una mazza, direbbe l’amico Arien. I libri più venduti sono i romanzi, i meno venduti i libri difficili, ovvio. Ma siamo proprio certi dell’esistenza dei libri difficili? non sarebbe più corretto dire che ogni lettore sceglie in base al sostrato culturale, e che se tale sostrato è poca cosa opta per un titolo che non lo affatichi? Ora, posto che ognuno fa come gli pare e che scegliere un libro facile non è di per sé un disvalore, resta il problema dell’approccio sbagliato, e imperdonabile, che certa critica ha con i libri difficili. Illuminante a tal proposito quanto scrive Vanni Santoni recensendo Le peripezie di William Gaddis:

“Decisivo nella rivalutazione della Peripezie fu il critico Jack Green, con un pezzo uscito sulla rivista autoprodotta «Newspaper» e intitolato Fire the bastards, ovvero «licenziate quei bastardi», in cui i bastardi in questione erano i critici che avevano ignorato il romanzo o ne avevano parlato male; e tanto veemente fu Green nella difesa dello status di capolavoro delle Peripezie da essere accusato di essere egli stesso William Gaddis”.

Ecco, in questo momento vorrei essere Jack Green e fustigare la giuria del Premio Strega 2024, perché è lampante che quei signori il libro di Tommaso Giartosio, benché non lo abbiano ignorato, lo hanno letto solo in parte. Forse i libri difficili esistono… per beffarsi dei critici incompetenti.