Castello, Via Garibaldi, 2015.
“Continuiamo a chiamare Venezia città d’arte. È una iattura. Venezia è stata grande quando era una città mercantile. Come città d’arte è destinata a morire. Le mie foto sono il documento fedele di che cosa sia stata la sua architettura: un evento unico, dove il suolo, i canali, l’acqua, il cielo sono, in un certo senso, indistinguibili dalle forme edificate. Non c’è un prima e un dopo, c’è l’architettura e in contemporaneo la città”. Così Mario Peliti a proposito del suo progetto HyperVenezia.
Castello, Sant’Elena, Parco delle Rimembranze, 2020
Castello, Campo de la Chiesa, 2020
Dorsoduro, Rio de San Vio, 2014
San Marco, Corte del Teatro, 2015
Santa Croce, Rio de San Stae, 2019
“Le immagini, a oggi oltre 12.000, sono scattate seguendo le stesse modalità di ripresa: in bianco e nero, senza ombre portate e in assenza di persone. Questi aspetti, apparentemente secondari, consentono di dare unitarietà temporale alla percezione della città. L’omogeneità della luce rende visibili tutti i dettagli delle facciate, anche i meno rilevanti, e la mancanza di persone costringe l’osservatore a riflettere sul possibile destino della città: una città senza abitanti. Al tempo stesso il silenzio che pervade migliaia di fotografie offre a Venezia stessa la possibilità di mostrarsi nella sua articolazione urbanistica e architettonica“. raicultura.it