mater matris

Transcendent Country of the Mind, fotografia di Sari Soininen (The Eriskay Connection)

Prima o poi la vita ci mette alla prova con esperienze così grevi che, dopo averle date in pasto a parenti e amici, le tramutiamo in prequel e sequel dei giorni obliqui e devastanti. Torneremo poi in solitudine al passato, giacché il Tempo avrà reso chiaro che la condivisione del dolore non allevia la pena né aiuta a farla scivolare come in una sorta di sogno. Gli scrittori più versati rendono il dolore distillandolo in quadri narrativi di forte emotività a cui viene spontaneo affidarsi quando sarà più pressante l’urgenza di dialogare con una voce che rifugge l’inconsistenza del dire. Ne sia un esempio questa pagina di Giartosio nella quale lo scrittore richiama il periodo in cui, in relazione alla malattia della madre, si misura con la sospensione temporale che divide la vita dalla morte. E si provi a non sobbalzare se è già stata messa agli atti l’esperienza di ritrovare se stessi dopo essere sopravvissuti alla morte di una persona amata.

“Oggi mia madre è morta. Oggi scrivo questa frase, che può essere vera solo oggi. Rende preziosa questa giornata, l’ultima in cui è stata viva.

[…]

Di giorno vado a trovarla. Dopo il Covid e la polmonite batterica e i tre mesi in ospedale, si alza in piedi sempre meno. Il suo corpo è un plateau. Lei che ama l’Africa lo chiama il mio corpo negroide. È sempre stato qualcosa di energico e morbido e fresco, profumato come un lombrico. Ora si è disteso come certi fiori senza gambo che si rilasciano sulle loro foglie, i petali già staccati ma ancora tutti in posizione. Conserva l’apparenza della forza: le mani hanno una presa coriacea, ma in realtà faticano a stringere le posate […] Quando devo accompagnarla in bagno o dal dottore vedo per la prima volta nella mia vita il seno acciambellato sulla cassa toracica, il pube spelato che ricorda certe miti cucuzze di studiosi. Indovino l’utero prolassato, le ossa iliache come palchi di alce. Non posso trattenermi dal pensare che ho abitato questo luogo dove ora strisciano gli elettrodi e zampetta il fonendoscopio. È come visitare la propria aula delle elementari invasa dai rampicanti. Sento in me questa freddezza imposta, la paura di sentire tutto ciò che c’è da sentire, e mi prende un pudore vicario, un po’ ipocrita. La aiuto a rivestirsi”.

Tommaso Giartosio, Autobiogrammatica

In alto: Sari Soininen, Transcendent Country of the Mind

Restando in tema, l’inarrivabile Marcel Proust:

(…) da parecchio lontano, appena superato San Giorgio Maggiore, scorgevo quell’ogiva che m’aveva veduto, e lo slancio dei suoi archi spezzati aggiungeva al suo sorriso di benvenuto la distinzione d’uno sguardo più elevato e quasi incompreso. E poiché dietro quei balaustri di marmo di vari colori la mamma leggeva aspettandomi, il viso raccolto in una veletta di tulle d’un bianco non meno straziante di quello dei suoi capelli per me che sentivo come mia madre l’avesse, nascondendo le lacrime, aggiunta al suo cappello di paglia non tanto per apparire “elegante” alle persone dell’albergo, quanto per sembrare a me meno in lutto, meno triste, quasi consolata della morte della nonna; poiché, non avendomi riconosciuto subito, non appena la chiamavo dalla gondola mandava verso di me, dal fondo del cuore, il suo amore che s’arrestava solo dove non c’era più materia per sorreggerlo, alla superficie del suo sguardo appassionato che cercava di avvicinare il più possibile a me, di innalzare, sporgendo le labbra, in un sorriso che sembrava baciarmi, entro la cornice e sotto il baldacchino del più discreto sorriso dell’ogiva illuminata dal sole di mezzogiorno: a causa di tutto ciò quella finestra ha preso nella mia memoria la dolcezza della cose che assieme a noi, contemporaneamente a noi, ebbero la loro parte in una certa ora, che suonava identica per noi e per loro; e per quante e quanto splendide siano le forme racchiuse fra le sue colonne, quella finestra illustre conserva per me l’aspetto intimo d’un uomo di genio con il quale si sia trascorso un mese nello stesso luogo di villeggiatura e che abbia contratto per noi una qualche amicizia, e se da allora, ogni volta che vedo il calco di quella finestra in un museo, sono costretto a trattenere le lacrime, è semplicemente perché essa mi dice la cosa che più d’ogni altra può commuovermi: “Me la ricordo molto bene, vostra madre”.

Autobiogrammatica

Autobiogrammatica di Tommaso Giartosio

Finalmente ho trovato un altro bel libro. Vero è che ne ho letto ancora pochissime pagine, ma le premesse lasciano supporre che a fine lettura ne sarò entusiasta. E poi, è un titolo proposto da Emanuele Trevi per il Premio Strega con la seguente motivazione: “La lingua, e il rapporto intimo che ogni scrittore instaura con le parole della sua vita, quelle che lo hanno formato e ne hanno scandito il percorso intellettuale e umano, sono stati per lungo tempo confinati al mondo della saggistica e della critica letteraria. In “Autobiogrammatica”, con la sapienza e la profondità che da sempre connotano la sua scrittura, Tommaso Giartosio li trasforma nel cuore e nel motore di un testo che è al contempo romanzo di formazione e memoir, cronaca famigliare e autoritratto, dizionario pubblico e privato: un’impresa che a me sembra preziosa quanto necessaria”.

Un viaggio verso Sud

La pasta al forno con i peperoni era croccante quasi quanto la parola croccante, era untuosa come untuosa. Tu che leggi, pronuncia queste due parole a voce alta prima di proseguire, così sappiamo di cosa stiamo parlandoFatto? Allora andiamo.

Era sera. Antonio serviva i maccheroni, noi altri tre sorseggiavamo del Rapitalà, gli ospiti stavano parcheggiando, e in tavola c’erano dei piatti di coccio grezzo dipinti a grandi fiori arancioni: perfettamente brutti in quanto immagini, ma in quanto realtà perfettamente belli.

Con Chiara e Antonio avevamo preso in affitto, io e Carlo, una casetta al mare in Sicilia. Chiara era l’amica che ci aveva fatti conoscere tre anni prima; ora, innamorati e fieri della nostra unione, eravamo una coppia consolidata (che espressione terribile, da lezione di chimica o fisica, qualcosa da desiderare e da temere e di cui soprattutto illudersi!). Proprio per confermarci tali, ma anche per smentirci tali, avevamo voglia di esplorare luoghi nuovi; però portandoci dietro Chiara come una prova d’acquisto, e scegliendo – tra tutte le parti d’Italia a noi ancora ignote – giusto la regione in cui lei era cresciuta. Non ci ero stato quasi mai, in Sicilia, ma soprattutto non l’avevo pensataQuando sentivo la parola Sicilia dovevo subito pronunciare sottovoce, o almeno pensare a alta voce, le parole: triquetra insulaEra la definizione offerta nel mio primo libro di esercizi latini, prima media, capitolo sulla prima declinazione. La Sicilia, l’isola triangolare. La pronunciavo con due accenti sdruccioli (tríquetra ínsu­la), sbagliando – si dice triquétra; ma lo sbaglio rendeva meglio quel nonsoché di arduo, inerpicato, distanziante, sdrucciolevole, che sentivo nell’idea di Sicilia.

[…]

Ogni volta sembrava di essere arrivati, ogni volta si incrociava strade comunali che ripetevano le stesse indicazioni in direzioni diverse; eravamo prigionieri inconsapevoli di quel medioevo tra la diffusione delle rotatorie e la comparsa del navigatore satellitare. Cercavamo indizi nel paesaggio, ma da ogni lato ondeggiavano le stesse colline appiattite dal calore, mai un passante, un uccello, nullaSognavo una sovrimpressione che mi indicasse pazientemente, lungo lo spartiacque ottuso tra i morbidi bacini di due fiumare, i sentieri di migrazione, i confini smussati delle controversie baronali, gli itinerari delle armate arabe o garibaldine che avevano passeggiato lì come pulci sulla dorsale scabra di una balena. Volevo un acetato da mettere e togliere, mettere e togliere… Invece mi si presentava solo uno spazio senza nomi. Non è vero che l’ignoranza è confortevole: quando la tocchi, fa paura. Soprattutto l’ignoranza di chi ha letto Verga e Sciascia ma li ha letti come Tolkien e Kipling. Di chi ha amato, sinceramente amato braccianti, calafati e piccoli solfatari, così come ha amato, sinceramente amato gli elfi, i nani, Mowgli. Non conoscevo il Sud, e lo sapevo.

Tommaso Giartosio, Autobiogrammatica