Autobiogrammatica

Autobiogrammatica di Tommaso Giartosio

Finalmente ho trovato un altro bel libro. Vero è che ne ho letto ancora pochissime pagine, ma le premesse lasciano supporre che a fine lettura ne sarò entusiasta. E poi, è un titolo proposto da Emanuele Trevi per il Premio Strega con la seguente motivazione: “La lingua, e il rapporto intimo che ogni scrittore instaura con le parole della sua vita, quelle che lo hanno formato e ne hanno scandito il percorso intellettuale e umano, sono stati per lungo tempo confinati al mondo della saggistica e della critica letteraria. In “Autobiogrammatica”, con la sapienza e la profondità che da sempre connotano la sua scrittura, Tommaso Giartosio li trasforma nel cuore e nel motore di un testo che è al contempo romanzo di formazione e memoir, cronaca famigliare e autoritratto, dizionario pubblico e privato: un’impresa che a me sembra preziosa quanto necessaria”.

Un viaggio verso Sud

La pasta al forno con i peperoni era croccante quasi quanto la parola croccante, era untuosa come untuosa. Tu che leggi, pronuncia queste due parole a voce alta prima di proseguire, così sappiamo di cosa stiamo parlandoFatto? Allora andiamo.

Era sera. Antonio serviva i maccheroni, noi altri tre sorseggiavamo del Rapitalà, gli ospiti stavano parcheggiando, e in tavola c’erano dei piatti di coccio grezzo dipinti a grandi fiori arancioni: perfettamente brutti in quanto immagini, ma in quanto realtà perfettamente belli.

Con Chiara e Antonio avevamo preso in affitto, io e Carlo, una casetta al mare in Sicilia. Chiara era l’amica che ci aveva fatti conoscere tre anni prima; ora, innamorati e fieri della nostra unione, eravamo una coppia consolidata (che espressione terribile, da lezione di chimica o fisica, qualcosa da desiderare e da temere e di cui soprattutto illudersi!). Proprio per confermarci tali, ma anche per smentirci tali, avevamo voglia di esplorare luoghi nuovi; però portandoci dietro Chiara come una prova d’acquisto, e scegliendo – tra tutte le parti d’Italia a noi ancora ignote – giusto la regione in cui lei era cresciuta. Non ci ero stato quasi mai, in Sicilia, ma soprattutto non l’avevo pensataQuando sentivo la parola Sicilia dovevo subito pronunciare sottovoce, o almeno pensare a alta voce, le parole: triquetra insulaEra la definizione offerta nel mio primo libro di esercizi latini, prima media, capitolo sulla prima declinazione. La Sicilia, l’isola triangolare. La pronunciavo con due accenti sdruccioli (tríquetra ínsu­la), sbagliando – si dice triquétra; ma lo sbaglio rendeva meglio quel nonsoché di arduo, inerpicato, distanziante, sdrucciolevole, che sentivo nell’idea di Sicilia.

[…]

Ogni volta sembrava di essere arrivati, ogni volta si incrociava strade comunali che ripetevano le stesse indicazioni in direzioni diverse; eravamo prigionieri inconsapevoli di quel medioevo tra la diffusione delle rotatorie e la comparsa del navigatore satellitare. Cercavamo indizi nel paesaggio, ma da ogni lato ondeggiavano le stesse colline appiattite dal calore, mai un passante, un uccello, nullaSognavo una sovrimpressione che mi indicasse pazientemente, lungo lo spartiacque ottuso tra i morbidi bacini di due fiumare, i sentieri di migrazione, i confini smussati delle controversie baronali, gli itinerari delle armate arabe o garibaldine che avevano passeggiato lì come pulci sulla dorsale scabra di una balena. Volevo un acetato da mettere e togliere, mettere e togliere… Invece mi si presentava solo uno spazio senza nomi. Non è vero che l’ignoranza è confortevole: quando la tocchi, fa paura. Soprattutto l’ignoranza di chi ha letto Verga e Sciascia ma li ha letti come Tolkien e Kipling. Di chi ha amato, sinceramente amato braccianti, calafati e piccoli solfatari, così come ha amato, sinceramente amato gli elfi, i nani, Mowgli. Non conoscevo il Sud, e lo sapevo.

Tommaso Giartosio, Autobiogrammatica