Kindness

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Quando avevo cinque anni, una domenica nel nostro quartiere arrivò un venditore ambulante con una cesta di bambù piena di pulcini. Io seguivo mio padre, stavamo andando a fare la spesa settimanale dei generi alimentari razionati, e quando il venditore ambulante mi mise nel palmo della mano un pulcino, il cui piccolo corpo soffice e caldo tremava incessantemente, piansi prima di riuscire a chiedere a mio padre di comprarmelo. Non eravamo una famiglia ricca: mio padre lavorava come custode, e mia madre, malata da che avevo memoria, non lavorava, così avevo imparato presto a contare bene, con mio padre, le monete e le banconote di piccolo taglio prima di andare a fare la spesa. Deve essere stata una cosa dolorosa per quelli che conoscevano la nostra storia vedere l’angoscia di mio padre, infatti due donne si offrirono di comprarmi ognuna un pulcino.

Mio padre, mentre tornavamo a casa, mi avvisò con dolcezza che i pulcini erano troppo piccoli per sopravvivere più di un giorno o due. Con una scatola da scarpe e dei giornali strappati costruii una casetta per i pulcini, a cui diedi da mangiare chicchi di miglio ammollati nell’acqua; poi, il giorno dopo, siccome avevano l’aria di stare male, somministrai loro dell’aspirina sciolta nell’acqua. Morirono due giorni dopo; quello che avevo chiamato Punto, e marchiato con dell’inchiostro sulla fronte, se ne andò per primo, seguito da Fungo.

Rubai due uova in cucina mentre mio padre era da un vicino per aiutarlo con un lavandino che perdeva – mia madre in quel periodo non si vedeva spesso in giro – e le ruppi cautamente eliminando tuorlo e albume; ma nonostante tutti  i miei tentativi non ci fu verso di rimettere i pulcini nei gusci, e ancora oggi ho davanti agli occhi il mezzo guscio sulla testa di Punto, che come un buffo cappellino gli copriva la macchia d’inchiostro.

Da allora ho imparato che la vita è così, ogni giorno finisce come un pulcino che non si lascia rinfilare nell’uovo“.

Yiyun Li, Kindness

Patire un dolore nell’età dell’innocenza, ovvero in quella fase della vita in cui la mente è impossibilitata a comprendere il perché di uno strazio, è funzionale a sottrarci alla stupefazione dei futuri dolori. Al momento opportuno, grazie al riemergere del già stato, si imparerà che l’allora è ora, e la narrazione del quotidiano sarà un déjà vu.

Come Eva da una costola di Adamo

Certe volte, come Eva da una costola d’Adamo, una donna nasceva nel mio sonno da una falsa positura della mia coscia. Formata dal piacere che ero sul punto di gustare, m’immaginavo che fosse lei ad offrirmelo. Il mio corpo, sentendo nel suo il mio proprio calore, voleva ricongiungersi ad esso; mi svegliavo. Gli altri esseri umani mi apparivano molto lontani se li confrontavo con questa donna lasciata da pochi attimi appena; la mia guancia era ancora calda del suo bacio, il mio corpo indolenzito dal peso del suo corpo. Se, come a volte succedeva, il suo volto era quello di una donna che avevo conosciuta nella vita, ero certo che mi sarei consacrato a un unico scopo: ritrovarla, come chi intraprende un viaggio per vedere con i suoi occhi una città di cui ha desiderio, e s’immagina di poter godere in una cosa reale il fascino di una cosa sognata. A poco a poco il suo ricordo svaniva, avevo dimenticato la fanciulla del mio sogno“.

Marcel Proust, Dalla parte di Swann

Il tempo, così come lo concepiamo nello stato di veglia, si dilata nel sogno, dove non sono possibili correzioni o aggiunte. Se sia preferibile lo stato di coscienza a quello del sogno è difficile a dirsi; di certo c’è che le trame dei sogni che si moltiplicano all’infinito sono un dono del cielo. Un’ombra più profonda che non deve spaventare.

P.S. Nemo, questo post è solo per te.