Post by Stefano C.
A Milano è nato il fascismo e a Milano è anche ufficialmente morto.
Qualcuno vorrebbe oggi e da sempre, ridurre quel quarto di secolo, tra il 1919 e il 1945, in uno spazio neutro,
di uno dei governi della storia italiana; purtroppo macchiato, questo sì, ammettono anche i revisionisti, da due colpe gravissime,
le Leggi Razziali e la partecipazione alla guerra, ma per il resto operosamente intento in ciclopiche bonifiche e in preveggenti innovazioni sociali.
Questa intenzionale e bieca riscrittura della storia, ha uno scopo contemporaneo, non viene destinata all’ovattato dibattito tra docenti di storia del ‘900, ma ad un progetto attuale di revisione delle forme della democrazia liberale.
Chi conosce la Storia, deve rinnovare le ragioni dell’antifascismo, riconoscendo nell’attualità “le matrici dell’archetipo del leader che guida il popolo non spingendolo verso mete più elevate di progresso, ma seguendone gli umori più cupi, le paure più plateali, capace di prosperare sulle passioni tristi, sul caos, sullo smarrimento, capace di far leva su ottime ragioni ma trasformandole in torti.
Siamo noi a dover mettere in guardia questo paese dalla forza seduttiva dell’uomo forte che insegue paure,
balle e leggende e le trasforma in rivalsa di masse frustrate.
Il tema è, cosa significhi esserlo oggi, non se esserlo, secondo me.
Cento anni fa in Piazza San Sepolcro, come descrive egregiamente Antonio Scurati nel suo “M-Il figlio del secolo”.
Di fronte ad una platea di pochi deliranti partecipanti, un politico sbandato alla ricerca di una strada fondò i Fasci di Combattimento. Dobbiamo conoscere la storia di quella piccola accozzaglia di reduci, facinorosi, delinquenti, sindacalisti incendiari e gazzettieri disperati, professionisti della violenza e artisti, i quali guidati da un leader pronto ad ogni tradimento, ad ogni nefandezza, pronto a scommettere sul peggio e a vincere la scommessa, pur partendo da un numero infimo e da una devastante sconfitta elettorale, nell’arco di soli tre anni conquistarono il potere. Gli italiani devono sapere che, contrariamente alla leggenda nostalgica, secondo cui il fascismo sarebbe precipitato nell’abiezione soltanto alla fine della sua traiettoria, con le leggi razziali e la guerra – quegli uomini fecero sistematicamente uso di una violenza brutale come strumento di lotta politica fin dal principio, che quella del fascismo, è storia di sopraffazione, ma devono anche sapere che quei violenti poterono prevalere grazie all’ignavia di molti, al bieco calcolo opportunistico dei liberali e di una monarchia indegna, alla voracità di una classe politica sfinita, alla visionaria inconsistenza dei dirigenti socialisti. Infine, ma, soprattutto, dobbiamo conoscere e saper riconoscere quando si ripresenti, l’innovazione nel linguaggio della politica che il fascismo rappresentò, la seduzione potente che esercitò sul rancore diffuso nella piccola borghesia che, a torto o a ragione, si sentiva delusa dalle promesse della storia, tradita dalla classe politica, declassata dalle conseguenze di una crisi epocale, minacciata nelle sue poche certezze e nei suoi piccoli possedimenti da un invasore straniero ( la peste asiatica).
Per questo a noi, più che il simbolismo triste delle adunate nostalgiche, più che l’insulto dell’omaggio ai torturatori della Muti,
o agli assassini della banda Koch, più che la cerimonia del “presente” come esorcismo di un passato che non c’è più,
fa paura il segno di una ricollocazione di queste giovani e meno giovani coscienze che celebrano i Fasci,
entro una nuova visione sociale che tanto nuova non sembra.
E’ il costante bisogno di ricostruzione di un mito che ci incute timore, anzi il sogno di quel mito,
perché se costantemente in questo paese, autorevolissimi esponenti politici e leader possono affermare che in fondo
a parte le Leggi Razziali e la guerra, Mussolini ha fatto anche cose buone, noi dobbiamo impegnarci costantemente
nello smontare questa mitologia, non tanto per la storia, ma per costruire oggi coscienze vigili ad ogni tentativo di limatura
o demolizione dei fondamenti delle strutture della democrazia.
Totalitario, l’aggettivo coniato da Giovanni Amendola, che mirabilmente riconduce all’ossimoro della democrazia interpretata
come “totus”, al contrario della sua natura pluralistica ed equilibrata, appare oggi, in Europa,
non più sempre così lontano dalla necessità di descrizione dei tentativi diffusi di riduzione della Democrazia
in Democratura. Mettendo in discussione il ruolo dei Presidenti della Repubblica, incrinando la fede nell’indipendenza della magistratura,
sostenendo la non indipendenza degli organi terzi di controllo, delegittimando la difesa dell’indipendenza della libera stampa,
aumentando poteri del vertice esecutivo a discapito di quello legislativo e di quello giudicante.
Noi non dobbiamo avere paura del saluto romano, o di un striscione appeso di notte come spie, contro il giornalista Paolo Berizzi
o contro me stesso, ma dobbiamo essere coscienti che lo spirito capace di reinventare i miti della storia di omaggiare,
gli emblemi del totalitarismo europeo del secolo scorso, può oggi ricollocarsi, nelle nuove forme seducenti del leaderismo anti-europeo e illiberale
che attraversa il continente e a volte anche oltre oceano.
Ciò che è accaduto, dopo la fondazione dei fasci di combattimento, negli anni successivi, non può ripetersi uguale,
certo, ma i meccanismi perversi ed umanissimi, che unitamente alle crisi delle democrazie liberali, possono deviare la storia della democrazia e della libertà, verso lidi meno certi e forti, sono ancora in piedi: di questi meccanismi fa parte anche la ricostruzione falsa dei miti del fascismo,
la narrazione, ai fini presenti, di un falso passato. Sappiamo certo che furono bonificate paludi, ma conosciamo bene la scia di sangue e di insulto alla libertà che quelle bonifiche nascondevano.
A noi l’alto compito e la responsabilità che questo non avvenga mai più.
Un caro saluto
E. Fiano