L’orologio Americano

C’erano camelie sul terrazzo che aggetta dal muro dell’edificio, riparato anteriormente da una struttura ben più alta, e ai lati alti due terrazzini più piccoli, ricoperti di piante rampicanti per preservare da occhi indiscreti.

La vedevo uscire raramente, guardandola dalla mia finestra posta proprio di fronte al suo terrazzo, probabilmente solo per stendere e ritirare il bucato, ed era bella di una bellezza acerba, bionda senza averne l’aria, quasi triste, come i fiori d’erba di scarpata ferroviaria.

Non sapevo chi fosse, non sapevo il suo nome, ne che in pochissimo tempo, avrei saggiato il miele dalle sue labbra, ne che sarei morto tra l’umido bagnato dell’amore tra le sue gambe.

Perchè lei l’amore, ed ogni sua derivazione, lo vendeva.

E non passò poi molto tempo, dal momento del giorno in cui scopri il suo lavoro, a quando mi ritrovai a salire, con una sensazione di eccitazione mista a curiosità, le scale di quell’edificio, tutto sommato elegante, in pieno centro della città.

Lei mi accolse sorridendo, con un sorriso simile ad una carezza, mi disse il suo nome con un tono di voce onestamente bugiardo, Jasmine.

Vergognandomi, ma solo un poco appena, iniziai a spogliarmi nell’attimo in cui lei me lo chiese, mi baciò e le sua labbra rimasero impigliate alla mia bocca più di quanto volesse, e quello che successe dopo, fu un amore deflorato, e per un tempo neanche ben pagato.

La invitai a cena qualche settimana dopo, e mangiammo e bevemmo senza orologi a scandire il tempo. Ci stavamo innamorando, e forse, tutto ciò non sarebbe stato sbagliato.

Facemmo l’amore più volte, quasi accompagnando i nostri sussulti di piacere alla musica che faceva da sottofondo, e in un attimo sospeso la mia voce raggiunse quella di Guccini:

Ma nel gioco avrei dovuto dirle
“Senti, senti io ti vorrei parlare…”,
Poi prendendo la sua mano sopra al banco
“Non so come cominciare…
Non la vedi, non la tocchi,
Oggi la malinconia?
Non lasciamo che trabocchi
Vieni, andiamo, andiamo via…”

L’amore vuole coraggio, ed io non ne ebbi. Jasmine lasciò la città qualche mese dopo, ed io la lasciai partire, come profumo che sfugge dalla finestra appena aperta. Non mi resta che una fotografia, ed è tutto quello che ho di lei, insieme al rimpianto di non aver provato a cambiare la sua vita, e la mia.

L’orologio Americano

(Questo breve racconto, contiene alcune frasi di 3 canzoni da me particolarmente amate: Autogrill di F. Guccini, Jamin-A di F. de Andrè, L’Orologio Americano di I. Fossati. Un mio modesto e personalissimo omaggio a questi tre autori straordinari.)

Martina e Sonia

 

In quel settembre il caldo proprio non ne voleva sapere di andarsene in ferie. A pochi giorni dal ritorno in ufficio, nei miei occhi c’è ancora il mare della Grecia, tre settimane libere e spensierate nel paradiso dei sensi.

Ero tornato a casa da qualche giorno, e come promesso ad Atene, avevo invitato a cena Martina e Sonia che avevo conosciuto lungo la salita sull’acropoli.
Di fatto loro erano una coppia, anche se mi avevano spiegato che preferivano vivere ognuna separatamente, spinte dal desiderio di preservare le loro abitudini.
Erano entrambe molto belle, Martina, bionda sui 30 anni con degli gli zigomi alti che le regalavano un’espressione sensuale e superba al tempo stesso, occhi verdi e labbra carnose.
Sonia invece era mora, anch’essa sui 30 anni, con un fisico più giunonico, e un seno sodo, prominente, compatto, come un frutto maturo.

Le avevo chiamate di mattina presto, invitandole nel primo pomeriggio per un aperitivo sul terrazzo di casa, per poi gustarci una buona pizza raccontandoci del resto delle nostre vacanze, vissute in terra greca.
Verso le 16 erano già sull’uscio di casa, mano nella mano, ci salutammo scambiandoci baci e sorrisi e ci accomodammo in terrazza dove avevo preparato varie bibite gelate e sdraio per starcene comodi al sole.
Il caldo non sembrava darci tregua, la giornata era stupenda. L’aria tersa e limpida come può esserlo solo in piena estate.
Martina e Sonia indossarono i costumi e posizionammo le sdraio. Con la massima naturalezza Martina rimase in topless, mettendo in mostra un’abbronzatura superba, quasi integrale, con un leggero segno più chiaro in corrispondenza del seno.
Sonia impassibile, si sdraiò di fianco a lei, mentre io mi posizionai esattamente di fronte a loro, sfruttando parte dell’ombra proiettata dall’ombrellone posizionato al centro del terrazzino.
La conversazione scivolò tra vari argomenti, la vacanza appunto, il pronto rientro a lavoro, e vari temi che ci diedero la possibilità di approfondire maggiormente le nostre conoscenze.
La voce musicale di Martina dava quasi l’impressione che stesse leggendo una favola o recitando una poesia. Aveva la rara capacità di collegare tutti gli elementi di un discorso in maniera armoniosa, sorridendo spesso e aiutandosi con i gesti.
Parlava con naturalezza e proprietà di linguaggio, senza mai interrompersi o annoiarsi, sicura di sé, sempre e comunque.
Per un momento la mia mente si astrasse, si allontanò dal contingente e iniziò a vagare. Mi ritrovai quasi senza rendermene conto a guardarla, come donna, non come amica.
Fu la prima volta che la considerai sotto questo punto di vista, e la cosa mi mise a disagio e mi divertì in maniera sottile, inspiegabile.
Dopo l’ennesimo drink, ci adagiammo di schiena sulle sdraio, a occhi chiusi, morbidamente abbandonati al suo abbraccio, con la radio accesa.
Ad un tratto, mi resi conto che anche Sonia, aveva sfilato via la parte superiore del costume. Anche lei era una bella ragazza, apparentemente senza difetti.
I grossi seni le ricadevano dolcemente di lato. Il mio sguardo era come calamitato dai suoi capezzoli. Le cosce erano sode, appena separate, sembrano intagliate nel legno. Gli slip presentavano un leggero rigonfiamento in prossimità del pube.
Mi ritrovai ad immaginarla completamente nuda, senza volerlo; fantasticavo sull’aspetto delle sue labbra: saranno nascoste da una peluria folta o ben curate, con un ciuffettino appena sopra la fessura? Gonfie, lisce, rosate o più scure, tendenti al marroncino?
E Il clitoride, pronunciato, esposto, oppure appena accennato? Quando si masturba si accarezza il clitoride o si infila le dita fino in fondo?
La mente volava, scatenata, ogni immagine ne suggeriva un’altra più audace, e poi un’altra ancora senza soluzione di continuità. I pensieri si susseguivano, si accavallavano, si rincorrevano.
Il calore aiutava a intorpidire le sensazioni, a renderle prive di contorni, come se fossero distaccate dal corpo, autonome.
All’improvviso il telefono iniziò a squillare distraendomi da quella situazione certamente imbarazzante, carica d’ansia e di turbamento, che si era venuta a creare contro la mia volontà.
In breve tutto fu dimenticato, la conversazione con il mio collega riuscì a farmi rientrare in me.

Verso le sette e trenta ci alzammo. Martina e Sonia mi chiesero se potevano fare una doccia, nel mentre io mi sarei occupato di ordinare la pizza e preparare qualche contorno e qualcosa da bere.
Sonia fu la prima ad avviarsi in bagno, mentre Martina iniziò a tirare vari indumenti da un borsone. Io presi il telefono dal terrazzo e mi recai in cucina.
Avevo appena terminato l’ordine con la pizzeria, quando sentii le voce di Sonia chiamarmi dal bagno. Mi avvicinai alla porta chiedendole se fosse tutto ok, lei mi rispose di si, che aveva lasciato la porta aperta e mi invitò ad entrare un attimo.

Era completamente nuda.

Mi sorrise mentre si insaponava, strofinandosi con delicatezza, soffermandosi sui seni, sul ventre, indugiando all’altezza dei peli pubici.
Ricambiai il sorriso, e nel mentre cercavo qualcosa da dire, sentii aprirsi la porta e la voce di Martina: “Ah … siete qui!” mi disse, con la massima spontaneità; io rimasi di sasso, irrigidito a causa di quella intrusione, impreparato com’ero;
era prima volta che mi trovavo in una situazione del genere, ma lei sembrò non notarlo, come se fosse abituata.
Sai, sono cotta”, continuò, “troppo sole! mi faccio una bella doccia anch’io”.
Quindi si diresse verso il water. I miei occhi restano incollati al movimento agile delle sue lunghe gambe, all’attaccatura delle natiche, forti e piene, messe ancor più in evidenza dal costume che le era rientrato in parte nel solco.
Sfilò gli slip, mentre io distolsi lo sguardo, si sedette sulla tazza. Sentì gorgogliare la pipì. Iniziai ad avere una fortissima erezione; se ne sarà accorta? pensai.
Il suo essere nuda, il suo fare pipì con tanta naturalezza, in un certo senso mi eccitavano da morire, mi davano un senso di familiarità, di intimità, erano emozioni troppo intense, mi spaventavano.
Mi girai verso il lavabo, lavandomi la faccia in fretta con acqua fredda e per uscire da questa situazione di grande imbarazzo e turbamento. Stavo per varcare la porta del bagno, quando entrambe mi chiesero sorridendo di restare.

Martina ormai tutta nuda e sorridente, entrò in doccia. Erano entrambe nude sotto la doccia.
Io evitavo di guardarle agendo con la massima naturalezza possibile; fu uno sforzo notevole, bisogna riconoscerlo.
Mi diressi verso lo specchio accendendomi una sigaretta. Davanti al water erano rimaste le mutandine del costume di Martina, abbandonate, invitanti.
Cercai di ignorarle ma la tentazione fu troppo forte, e io ormai ero molto indebolito da quella girandola improvvisa di emozioni che mi confuse e mi stupì.
Mi guardai intorno, ascoltando il getto d’acqua che scorreva nella doccia, le presi in mano furtivamente e le annusai.
Erano impregnate di umori, emettevano un odore acre, amarognolo, molto acuto che subito agì da afrodisiaco per me.
Martina mi guardò, mi sorrise di nuovo e con un filo di voce mi sussurrò: “Guardaci” mentre Sonia sempre con fare sorridente aggiunse: “Non hai mai visto due ragazze masturbarsi, vero?”

Iniziarono a toccarsi.

I loro corpi erano scossi da brividi fulminanti, ricoperti da una patina di acqua e dalla pelle d’oca.
Le loro mani esploravano senza sosta ogni centimetro della loro pelle in un movimento continuo, ora leggero ora più marcato, sempre incessante.
Si sentivano solo i loro sospiri prolungati. Allargarono entrambe le gambe, infilandosi una mano in mezzo, sfiorandosi le labbra con i polpastrelli.
Martina sussurrò come fra se, in trance:
Piano, fai piano… senza fretta… sfiorati su tutto il tuo corpo… cerca di concentrarti solo sulle tue reazioni, come me… impara a sentire le onde che crescono e crescono… dentro di te… lasciati cullare… abbandonati”.
Le mani di Sonia scivolarono leggere, accarezzandosi le braccia, come in un abbraccio, si tocco i seni gonfi, aumentati di volume per la voglia; li modellava, si trastullava i capezzoli tra il pollice e l’indice, poi scese verso l’ombelico, il ventre, poi i fianchi, le cosce.
Palpò le carni tumide e gonfie della vulva, si massaggiò le labbra della figa spalancata evitando il clitoride; ogni contatto lievissimo sul clitoride la faceva trasalire.
Gli sfuggì dalle labbra un lungo gemito di piacere.

Così… brava…” incitava Martina, che nel frattempo si stava soffermando tra le cosce, stimolandosi ‘dietro’ con le sue lunghe dita, sottili e agili:
mi apro per te… guarda…” e così dicendo spalancò le labbra, mostrando gli umori copiosi che gocciolano fuori;
La sua mano destra indugiava, posso ancora vederla muoversi, ruotare, come se volesse saggiare la consistenza del suo pertugio più segreto.
Non riuscivo più a staccare gli occhi da quei corpi stupendi, corpi che avevano cominciato a vibrare di continuo, con spasmi sempre maggiori.
Le guardavo quasi incredulo. Non l’ho mai visto due donne sotto questo aspetto. E quello che vedevo mi mandava in estasi.
Poi Martina si voltò, sorprendendomi, si alzò sulle ginocchia, mostrandomi il culo sodo, la pelle morbida e tesa.
Si piegò chinandosi davanti ai miei occhi, per darmi la visuale migliore, si portò le due mani sul culo, lo sculacciò una, due, tre volte con un secco schiocco, lasciando segni scuri delle dita sulle chiappe rosee.
Si accarezzò il culo per qualche secondo, sensuale, poi cominciò ad allargare le chiappe sempre più, lentamente, rivelando il secondo centro del piacere.
Il mio sguardo era fisso sulle sue sfere, piene, allettanti. Verso l’interno, una rossa valle bagnata al cui centro troneggiava la rosa dell’ano e più in basso il taglio verticale, racchiuso tra le pieghe della vagina.

Era una visione inebriante; il respiro mi si spezzò.

Ti piace guardarci, vero?” Esclamò Martina: mentre facciamo le porche… per te…” mi disse, con parole roche e spezzate. Mi mancava la voce, farfugliavo:
Sì, ragazze… mi eccitate… non fermatevi, vi prego…”.
Si masturbarono con maggiore intensità, spiando i movimenti e l’eccitazione dell’altra.

La loro resistenza era ormai al limite, la razionalità era del tutto scomparsa; c’era solo istinto animale, incontrollato.
Erano gli ultimi attimi prima dell’acme, quando tutto il corpo si prepara a prostrarsi di fronte all’esplosione definitiva.
E’ fu Martina ad annunciarla per prima:
Ecco… amore … ci sono quasi… sto per venire… guardami, piccola…”, il suo corpo si irrigidì di colpo, scosso da un unico, lungo fremito che la fece vibrare violentemente.
Si inarcò in maniera innaturale mentre spingeva in avanti il bacino con sussulti sempre più frequenti, due dita si intrufolarono nella fessura, entravano ed uscivano dalla figa ormai fradicia di umori, trascinando all’esterno piccoli fiotti di liquido che colava per giù per le cosce.
Sonia intensificò i movimenti come una folle finché non avvertì i primi sussulti del piacere.
Si inarco anch’essa, spalancando le gambe sino allo spasimo, con lo sguardo annebbiato, fisso sul pube di Martina.
Il suo culo pulsava e si scuoteva con spasmi sempre più brevi e frequenti, la sua voce scandiva i tempi del suo orgasmo:
Sta arrivando… amore… lo sento… sì, sììì, sììììì…. vengo… guardami Martina, vengooooooooo… ahhhgghhhh… godoooooo…”.

Urlarono insieme, fremendo.

Io fui come spazzato via da qualcosa più potente di ogni sensazione mai provata. Ogni fibra, ogni cellula del mio corpo sembrava aprirsi, tendersi, premere verso l’esterno come se volesse schizzare via.
Vedere l’orgasmo squassare dai corpi di Martina e di Sonia, fu qualcosa di inebriante, un eccitazione all’ennesima potenza, che dovetti reprime.
Quel gioco di guardare e non toccare mi arrecò molto più piacere di quanto ne avessi provato partecipando al ménage.

Dopo che le ragazze furono fuori dal bagno, mi immersi io in una lunga doccia rinfrescante. Non mi masturbai, anche se la tentazione era enorme.
Giusto il tempo di asciugarmi e indossare al volo qualcosa, che la pizza era pronta in tavola.
Ignari di tutto ciò che ci circondava, mangiammo, bevemmo e ridemmo con piacere di quello che eravamo e saremmo stati da quel momento in poi, amici, complici di un gioco che non prevedeva bigottismi, scintillanti di una gioia mai sperimentata.
Immersi in un oceano d’estasi, alchimia e di vodka.

Teresa

Conobbi Teresa in un noiosissimo party poco prima di Natale organizzato dall’azienda per cui prestavo servizio in quell’anno. Di lei, mi aveva colpito particolarmente il suo sapere stare tra la gente, parlava quando occorreva, sorrideva di gran gusto, e teneva la coppa di champagne tra la mano con l’altra mano poggiata sotto il suo gomito. A Capodanno già stavamo insieme, mentre poco dopo l’arrivo della primavera si era già trasferita da me. Il nostro rapporto funzionava bene: avevamo un’ottima intesa sia mentale che fisica, ci dicevamo sempre tutto e ci capivamo al volo, adoravamo discutere e confrontare le nostre idee, a letto tutto funzionava splendidamente, lei sembrava soddisfatta ed io impazzivo letteralmente per quel suo corpo perfetto: il seno non troppo grande, delle bellissime gambe, dei piedi molto attraenti. Quel che accadde invece in un caldo giorno d’agosto, è ciò che sto per raccontarvi, un qualcosa che stravolse totalmente il nostro rapporto rendendolo qualcosa di estasiante.

Eravamo al mare, per ragioni di lavoro non distanti dalla nostra città, ed era ormai giunta l’ora di andar via con il sole quasi già tramontato, quando per scherzo la buttai in acqua. “Bravo” fece lei, uscendone “ed ora come faccio col costume bagnato? Si asciugò con il telo, poi raccolse tutte le nostre cose dicendomi di sbrigarmi, infine con fare sicuro afferrò quello che lei definiva “copricostume” e che per me invece era un eccitantissimo vestitino di colore blu, molto corto e scollato, e lo indossò,  quindi si sedette sul lettino e slacciò il “top” del bikini che con abile mossa venne sfilato via, infine guardandosi intorno con aria circospetta sfilò via anche le mutandine, dicendo “andiamo, speriamo di non trovare traffico!” In macchina le chiesi “non vorresti aspettare che si asciughi il costume prima di tornare a casa?”, mi rispose “non ce la faremmo mai, e poi non ti eccita la situazione?” In realtà, da quando si era sfilata le mutandine del bikini, ero in preda ad una violentissima erezione, ma mi sforzavo di mostrare grande indifferenza in modo da coinvolgerla in una specie di sfida! Durante il tragitto in auto parlammo di varie amenità senza affrontare nessun tema “caldo”.

Erano quasi le venti, quando ci eravamo lasciati alle spalle il traffico della statale, quando poco prima dell’uscita lei mi chiese di fermarci in una piccola area di sosta con un bar. Uscendo dall’auto un movimento brusco le scoprì completamente il pube provocandomi quasi l’esplosione del costume che indossavo, la presi per mano, e ci incamminammo verso il bar che all’apparenza sembrava completamente deserto, entrammo e ci dirigemmo dinanzi al banco del bar, esclamando a gran voce: “Non c’è nessuno?” Dopo un po’ comparve il barman, viola in viso e che con gli occhi bassi, mi chiese cosa gridavamo, io gli sorrisi per tranquillizzarlo e gli ordinai due caffè, lui si prodigò subito nel prepararli e Teresa mi disse in un orecchio “Chissà cosa farebbe se sapesse che sono completamente NUDA!” Le risposi “A me sembra già eccitato! Bevemmo il caffè, pagammo il conto e uscimmo dal bar con passo lento. Camminando mi disse: “Non so se mi giudicherai male, ma sono eccitatissima solo all’idea che quel ragazzo abbia capito che sotto il vestitino sono completamente nuda, voglio scopare appena arriviamo in macchina!” E nel camminare lei sollevò leggermente il vestitino da farlo arrivare a toccare la mia mano che era appoggiata sul fianco destro di lei: praticamente camminò per alcuni secondi col culo completamente di fuori, ma eravamo ormai abbastanza lontani dal bar e non incontrammo neanche nessuno nel tragitto fino al parcheggio.

Arrivammo alla macchina, e appena entrati, lei si sfilò completamente il vestitino, restando praticamente nuda. Io nel frattempo, mi ero tolto il costume e mi stavo masturbando furiosamente; e balbettando le dissi: “Ma ti rendi conto che sei completamente nuda in un parcheggio pubblico?” Lei non rispose, guardò la mano, appoggiò entrambi i piedi sul cruscotto, e iniziò anche lei a masturbarsi. Fu subito poco dopo che, guardando nello specchietto retrovisore dell’auto, mi resi conto che il ragazzo del bar ci stava spiando da dietro un albero poco lontano. Con gesto del capo gli feci segno di guardare nello specchietto, Teresa alzo lo sguardo, vide il ragazzo, sorrise, e mi chiese di ritrarre al massimo il mio sediolino. Si si mise a cavalcioni su di me con una gamba tra sedile e portiera e l’altra tra i due sedili, ed io iniziai a spingerle il mio pene sempre più in profondità; i suoi seni saltavano al ritmo della scopata, quando le dissi: “Sai, il ragazzo si sta masturbato guardandoci!” “Cooome?” fece lei fermandosi per un attimo, “Sì, è proprio li, appena dietro l’albero!” Riprese a cavalcarmi come una forsennata, questa volta impostando lei il ritmo; mentre scopavamo mi chiedeva: “Ci sta ancora guardando?” e via un gemito, “si è proprio li col cazzo di fuori!” e giù un urlo, “Si masturba col cazzo di fuori mentre io e te scopiamo?” e via ancora più veloce fino all’urlo finale causato dall’orgasmo raggiunto. Le urlai a mia volta: “Staccati, sto per venire!” Mi rispose: “Non me frega niente, voglio sentirti venire dentro!” E così fu: le venni dentro la fica, urlando come un pazzo!

Dopo, entrambi esausti, ci rendemmo conto che eravamo completamente nudi, fermi in macchina in un parcheggio e non era ancora notte! “Te ne importa?” Mi chiese. “A me no!” le risposi, aggiungendo però che in futuro avremmo dovuto fare attenzione perché, purtroppo, non tutti la pensano come noi, e la possibilità di beccarsi una bella denunzia per atti osceni in luogo pubblico esiste sempre! Poi mi chiese, mentre amorevolmente mi asciugava il sudore con un fazzolettino di carta: “Ho capito che mi fa eccitare da pazzi il mostrarmi nuda, ma tu come mi giudichi?” “Una donna meravigliosa, carica di sensualità!” risposi e aggiunsi “Penso che ogni donna abbia piacere a mostrarsi: è un fatto naturale, fa parte del gioco della seduzione che è sempre esistito e che è funzionale alla continuazione della specie! Sono solo i retaggi della società, cosiddetta civile, che impediscono alle donne di mostrarsi senza pudori e agli uomini di godere nell’esibire le proprie donne, passando per maniaci o per cornuti! Il vero tradimento sta nel non rispettarsi, nel non essere reciprocamente sinceri, nel non donarsi totalmente!” “Ti amo!”, mi rispose baciandomi teneramente, “Senza di te non sarei mai stata capace di comprendere a fondo il mio essere donna!

Quel che accadde in un caldo giorno d’agosto, è ciò che vi ho raccontato, un qualcosa che stravolse totalmente il nostro rapporto, rendendolo qualcosa di estasiante, fino a quando per altri motivi, io e Teresa prendemmo due strade differenti.

La leggenda del Ponte dell’Arcobaleno

I nostri amici a quattro zampe sono parte integrante della famiglia, con loro condividiamo la quotidianità, stringendo un legame indissolubile.

È per questo che quando ci lasciano, viviamo un vero e proprio lutto da elaborare nel tempo. Ognuno esprime le emozioni come meglio crede, ma questa leggenda forse può essere un aiuto per chi è in questa fase dolorosa.

La leggenda del Ponte dell’Arcobaleno

Proprio alle soglie del Paradiso esiste un luogo chiamato il Ponte dell’Arcobaleno. Quando muore un animale che ci è stato particolarmente vicino sulla terra, quella creatura va al Ponte dell’Arcobaleno.

È un posto bellissimo dove l’erba è sempre fresca e profumata, i ruscelli scorrono tra colline ed alberi ed i nostri amici a quattro zampe possono correre e giocare insieme. Trovano sempre il loro cibo preferito, l’acqua fresca per dissetarsi ed il sole splendente per riscaldarsi e così i nostri cari amici sono felici: se in vita erano malati o vecchi qui ritrovano salute e gioventù, se erano menomati o infermi qui ritornano ad essere sani e forti così come li ricordiamo nei nostri sogni di tempi e giorni ormai passati.

Qui i nostri amici che abbiamo tanto amato stanno bene, eccetto che per una piccola cosa, ognuno di loro sente la mancanza di qualcuno molto speciale che ha dovuto lasciarsi indietro.

Così accade di vedere che durante il gioco qualcuno di loro si fermi improvvisamente e scruti oltre la collina, tutti i suoi sensi sono in allerta, i suoi occhi si illuminano e le sue zampe iniziano a correre velocemente verso l’orizzonte, sempre più veloce.

Articolo preso dal web: https://www.greenme.it/abitare/cani-gatti-e-co/ponte-arcobaleno/

Lara, ora so, dove sei.

lara