In evidenza

L’orologio Americano

C’erano camelie sul terrazzo che aggetta dal muro dell’edificio, riparato anteriormente da una struttura ben più alta, e ai lati alti due terrazzini più piccoli, ricoperti di piante rampicanti per preservare da occhi indiscreti.

La vedevo uscire raramente, guardandola dalla mia finestra posta proprio di fronte al suo terrazzo, probabilmente solo per stendere e ritirare il bucato, ed era bella di una bellezza acerba, bionda senza averne l’aria, quasi triste, come i fiori d’erba di scarpata ferroviaria.

Non sapevo chi fosse, non sapevo il suo nome, ne che in pochissimo tempo, avrei saggiato il miele dalle sue labbra, ne che sarei morto tra l’umido bagnato dell’amore tra le sue gambe.

Perchè lei l’amore, ed ogni sua derivazione, lo vendeva.

E non passò poi molto tempo, dal momento del giorno in cui scopri il suo lavoro, a quando mi ritrovai a salire, con una sensazione di eccitazione mista a curiosità, le scale di quell’edificio, tutto sommato elegante, in pieno centro della città.

Lei mi accolse sorridendo, con un sorriso simile ad una carezza, mi disse il suo nome con un tono di voce onestamente bugiardo, Jasmine.

Vergognandomi, ma solo un poco appena, iniziai a spogliarmi nell’attimo in cui lei me lo chiese, mi baciò e le sua labbra rimasero impigliate alla mia bocca più di quanto volesse, e quello che successe dopo, fu un amore deflorato, e per un tempo neanche ben pagato.

La invitai a cena qualche settimana dopo, e mangiammo e bevemmo senza orologi a scandire il tempo. Ci stavamo innamorando, e forse, tutto ciò non sarebbe stato sbagliato.

Facemmo l’amore più volte, quasi accompagnando i nostri sussulti di piacere alla musica che faceva da sottofondo, e in un attimo sospeso la mia voce raggiunse quella di Guccini:

Ma nel gioco avrei dovuto dirle
“Senti, senti io ti vorrei parlare…”,
Poi prendendo la sua mano sopra al banco
“Non so come cominciare…
Non la vedi, non la tocchi,
Oggi la malinconia?
Non lasciamo che trabocchi
Vieni, andiamo, andiamo via…”

L’amore vuole coraggio, ed io non ne ebbi. Jasmine lasciò la città qualche mese dopo, ed io la lasciai partire, come profumo che sfugge dalla finestra appena aperta. Non mi resta che una fotografia, ed è tutto quello che ho di lei, insieme al rimpianto di non aver provato a cambiare la sua vita, e la mia.

L’orologio Americano

(Questo breve racconto, contiene alcune frasi di 3 canzoni da me particolarmente amate: Autogrill di F. Guccini, Jamin-A di F. de Andrè, L’Orologio Americano di I. Fossati. Un mio modesto e personalissimo omaggio a questi tre autori straordinari.)

Martina e Sonia

 

In quel settembre il caldo proprio non ne voleva sapere di andarsene in ferie. A pochi giorni dal ritorno in ufficio, nei miei occhi c’è ancora il mare della Grecia, tre settimane libere e spensierate nel paradiso dei sensi.

Ero tornato a casa da qualche giorno, e come promesso ad Atene, avevo invitato a cena Martina e Sonia che avevo conosciuto lungo la salita sull’acropoli.
Di fatto loro erano una coppia, anche se mi avevano spiegato che preferivano vivere ognuna separatamente, spinte dal desiderio di preservare le loro abitudini.
Erano entrambe molto belle, Martina, bionda sui 30 anni con degli gli zigomi alti che le regalavano un’espressione sensuale e superba al tempo stesso, occhi verdi e labbra carnose.
Sonia invece era mora, anch’essa sui 30 anni, con un fisico più giunonico, e un seno sodo, prominente, compatto, come un frutto maturo.

Le avevo chiamate di mattina presto, invitandole nel primo pomeriggio per un aperitivo sul terrazzo di casa, per poi gustarci una buona pizza raccontandoci del resto delle nostre vacanze, vissute in terra greca.
Verso le 16 erano già sull’uscio di casa, mano nella mano, ci salutammo scambiandoci baci e sorrisi e ci accomodammo in terrazza dove avevo preparato varie bibite gelate e sdraio per starcene comodi al sole.
Il caldo non sembrava darci tregua, la giornata era stupenda. L’aria tersa e limpida come può esserlo solo in piena estate.
Martina e Sonia indossarono i costumi e posizionammo le sdraio. Con la massima naturalezza Martina rimase in topless, mettendo in mostra un’abbronzatura superba, quasi integrale, con un leggero segno più chiaro in corrispondenza del seno.
Sonia impassibile, si sdraiò di fianco a lei, mentre io mi posizionai esattamente di fronte a loro, sfruttando parte dell’ombra proiettata dall’ombrellone posizionato al centro del terrazzino.
La conversazione scivolò tra vari argomenti, la vacanza appunto, il pronto rientro a lavoro, e vari temi che ci diedero la possibilità di approfondire maggiormente le nostre conoscenze.
La voce musicale di Martina dava quasi l’impressione che stesse leggendo una favola o recitando una poesia. Aveva la rara capacità di collegare tutti gli elementi di un discorso in maniera armoniosa, sorridendo spesso e aiutandosi con i gesti.
Parlava con naturalezza e proprietà di linguaggio, senza mai interrompersi o annoiarsi, sicura di sé, sempre e comunque.
Per un momento la mia mente si astrasse, si allontanò dal contingente e iniziò a vagare. Mi ritrovai quasi senza rendermene conto a guardarla, come donna, non come amica.
Fu la prima volta che la considerai sotto questo punto di vista, e la cosa mi mise a disagio e mi divertì in maniera sottile, inspiegabile.
Dopo l’ennesimo drink, ci adagiammo di schiena sulle sdraio, a occhi chiusi, morbidamente abbandonati al suo abbraccio, con la radio accesa.
Ad un tratto, mi resi conto che anche Sonia, aveva sfilato via la parte superiore del costume. Anche lei era una bella ragazza, apparentemente senza difetti.
I grossi seni le ricadevano dolcemente di lato. Il mio sguardo era come calamitato dai suoi capezzoli. Le cosce erano sode, appena separate, sembrano intagliate nel legno. Gli slip presentavano un leggero rigonfiamento in prossimità del pube.
Mi ritrovai ad immaginarla completamente nuda, senza volerlo; fantasticavo sull’aspetto delle sue labbra: saranno nascoste da una peluria folta o ben curate, con un ciuffettino appena sopra la fessura? Gonfie, lisce, rosate o più scure, tendenti al marroncino?
E Il clitoride, pronunciato, esposto, oppure appena accennato? Quando si masturba si accarezza il clitoride o si infila le dita fino in fondo?
La mente volava, scatenata, ogni immagine ne suggeriva un’altra più audace, e poi un’altra ancora senza soluzione di continuità. I pensieri si susseguivano, si accavallavano, si rincorrevano.
Il calore aiutava a intorpidire le sensazioni, a renderle prive di contorni, come se fossero distaccate dal corpo, autonome.
All’improvviso il telefono iniziò a squillare distraendomi da quella situazione certamente imbarazzante, carica d’ansia e di turbamento, che si era venuta a creare contro la mia volontà.
In breve tutto fu dimenticato, la conversazione con il mio collega riuscì a farmi rientrare in me.

Verso le sette e trenta ci alzammo. Martina e Sonia mi chiesero se potevano fare una doccia, nel mentre io mi sarei occupato di ordinare la pizza e preparare qualche contorno e qualcosa da bere.
Sonia fu la prima ad avviarsi in bagno, mentre Martina iniziò a tirare vari indumenti da un borsone. Io presi il telefono dal terrazzo e mi recai in cucina.
Avevo appena terminato l’ordine con la pizzeria, quando sentii le voce di Sonia chiamarmi dal bagno. Mi avvicinai alla porta chiedendole se fosse tutto ok, lei mi rispose di si, che aveva lasciato la porta aperta e mi invitò ad entrare un attimo.

Era completamente nuda.

Mi sorrise mentre si insaponava, strofinandosi con delicatezza, soffermandosi sui seni, sul ventre, indugiando all’altezza dei peli pubici.
Ricambiai il sorriso, e nel mentre cercavo qualcosa da dire, sentii aprirsi la porta e la voce di Martina: “Ah … siete qui!” mi disse, con la massima spontaneità; io rimasi di sasso, irrigidito a causa di quella intrusione, impreparato com’ero;
era prima volta che mi trovavo in una situazione del genere, ma lei sembrò non notarlo, come se fosse abituata.
Sai, sono cotta”, continuò, “troppo sole! mi faccio una bella doccia anch’io”.
Quindi si diresse verso il water. I miei occhi restano incollati al movimento agile delle sue lunghe gambe, all’attaccatura delle natiche, forti e piene, messe ancor più in evidenza dal costume che le era rientrato in parte nel solco.
Sfilò gli slip, mentre io distolsi lo sguardo, si sedette sulla tazza. Sentì gorgogliare la pipì. Iniziai ad avere una fortissima erezione; se ne sarà accorta? pensai.
Il suo essere nuda, il suo fare pipì con tanta naturalezza, in un certo senso mi eccitavano da morire, mi davano un senso di familiarità, di intimità, erano emozioni troppo intense, mi spaventavano.
Mi girai verso il lavabo, lavandomi la faccia in fretta con acqua fredda e per uscire da questa situazione di grande imbarazzo e turbamento. Stavo per varcare la porta del bagno, quando entrambe mi chiesero sorridendo di restare.

Martina ormai tutta nuda e sorridente, entrò in doccia. Erano entrambe nude sotto la doccia.
Io evitavo di guardarle agendo con la massima naturalezza possibile; fu uno sforzo notevole, bisogna riconoscerlo.
Mi diressi verso lo specchio accendendomi una sigaretta. Davanti al water erano rimaste le mutandine del costume di Martina, abbandonate, invitanti.
Cercai di ignorarle ma la tentazione fu troppo forte, e io ormai ero molto indebolito da quella girandola improvvisa di emozioni che mi confuse e mi stupì.
Mi guardai intorno, ascoltando il getto d’acqua che scorreva nella doccia, le presi in mano furtivamente e le annusai.
Erano impregnate di umori, emettevano un odore acre, amarognolo, molto acuto che subito agì da afrodisiaco per me.
Martina mi guardò, mi sorrise di nuovo e con un filo di voce mi sussurrò: “Guardaci” mentre Sonia sempre con fare sorridente aggiunse: “Non hai mai visto due ragazze masturbarsi, vero?”

Iniziarono a toccarsi.

I loro corpi erano scossi da brividi fulminanti, ricoperti da una patina di acqua e dalla pelle d’oca.
Le loro mani esploravano senza sosta ogni centimetro della loro pelle in un movimento continuo, ora leggero ora più marcato, sempre incessante.
Si sentivano solo i loro sospiri prolungati. Allargarono entrambe le gambe, infilandosi una mano in mezzo, sfiorandosi le labbra con i polpastrelli.
Martina sussurrò come fra se, in trance:
Piano, fai piano… senza fretta… sfiorati su tutto il tuo corpo… cerca di concentrarti solo sulle tue reazioni, come me… impara a sentire le onde che crescono e crescono… dentro di te… lasciati cullare… abbandonati”.
Le mani di Sonia scivolarono leggere, accarezzandosi le braccia, come in un abbraccio, si tocco i seni gonfi, aumentati di volume per la voglia; li modellava, si trastullava i capezzoli tra il pollice e l’indice, poi scese verso l’ombelico, il ventre, poi i fianchi, le cosce.
Palpò le carni tumide e gonfie della vulva, si massaggiò le labbra della figa spalancata evitando il clitoride; ogni contatto lievissimo sul clitoride la faceva trasalire.
Gli sfuggì dalle labbra un lungo gemito di piacere.

Così… brava…” incitava Martina, che nel frattempo si stava soffermando tra le cosce, stimolandosi ‘dietro’ con le sue lunghe dita, sottili e agili:
mi apro per te… guarda…” e così dicendo spalancò le labbra, mostrando gli umori copiosi che gocciolano fuori;
La sua mano destra indugiava, posso ancora vederla muoversi, ruotare, come se volesse saggiare la consistenza del suo pertugio più segreto.
Non riuscivo più a staccare gli occhi da quei corpi stupendi, corpi che avevano cominciato a vibrare di continuo, con spasmi sempre maggiori.
Le guardavo quasi incredulo. Non l’ho mai visto due donne sotto questo aspetto. E quello che vedevo mi mandava in estasi.
Poi Martina si voltò, sorprendendomi, si alzò sulle ginocchia, mostrandomi il culo sodo, la pelle morbida e tesa.
Si piegò chinandosi davanti ai miei occhi, per darmi la visuale migliore, si portò le due mani sul culo, lo sculacciò una, due, tre volte con un secco schiocco, lasciando segni scuri delle dita sulle chiappe rosee.
Si accarezzò il culo per qualche secondo, sensuale, poi cominciò ad allargare le chiappe sempre più, lentamente, rivelando il secondo centro del piacere.
Il mio sguardo era fisso sulle sue sfere, piene, allettanti. Verso l’interno, una rossa valle bagnata al cui centro troneggiava la rosa dell’ano e più in basso il taglio verticale, racchiuso tra le pieghe della vagina.

Era una visione inebriante; il respiro mi si spezzò.

Ti piace guardarci, vero?” Esclamò Martina: mentre facciamo le porche… per te…” mi disse, con parole roche e spezzate. Mi mancava la voce, farfugliavo:
Sì, ragazze… mi eccitate… non fermatevi, vi prego…”.
Si masturbarono con maggiore intensità, spiando i movimenti e l’eccitazione dell’altra.

La loro resistenza era ormai al limite, la razionalità era del tutto scomparsa; c’era solo istinto animale, incontrollato.
Erano gli ultimi attimi prima dell’acme, quando tutto il corpo si prepara a prostrarsi di fronte all’esplosione definitiva.
E’ fu Martina ad annunciarla per prima:
Ecco… amore … ci sono quasi… sto per venire… guardami, piccola…”, il suo corpo si irrigidì di colpo, scosso da un unico, lungo fremito che la fece vibrare violentemente.
Si inarcò in maniera innaturale mentre spingeva in avanti il bacino con sussulti sempre più frequenti, due dita si intrufolarono nella fessura, entravano ed uscivano dalla figa ormai fradicia di umori, trascinando all’esterno piccoli fiotti di liquido che colava per giù per le cosce.
Sonia intensificò i movimenti come una folle finché non avvertì i primi sussulti del piacere.
Si inarco anch’essa, spalancando le gambe sino allo spasimo, con lo sguardo annebbiato, fisso sul pube di Martina.
Il suo culo pulsava e si scuoteva con spasmi sempre più brevi e frequenti, la sua voce scandiva i tempi del suo orgasmo:
Sta arrivando… amore… lo sento… sì, sììì, sììììì…. vengo… guardami Martina, vengooooooooo… ahhhgghhhh… godoooooo…”.

Urlarono insieme, fremendo.

Io fui come spazzato via da qualcosa più potente di ogni sensazione mai provata. Ogni fibra, ogni cellula del mio corpo sembrava aprirsi, tendersi, premere verso l’esterno come se volesse schizzare via.
Vedere l’orgasmo squassare dai corpi di Martina e di Sonia, fu qualcosa di inebriante, un eccitazione all’ennesima potenza, che dovetti reprime.
Quel gioco di guardare e non toccare mi arrecò molto più piacere di quanto ne avessi provato partecipando al ménage.

Dopo che le ragazze furono fuori dal bagno, mi immersi io in una lunga doccia rinfrescante. Non mi masturbai, anche se la tentazione era enorme.
Giusto il tempo di asciugarmi e indossare al volo qualcosa, che la pizza era pronta in tavola.
Ignari di tutto ciò che ci circondava, mangiammo, bevemmo e ridemmo con piacere di quello che eravamo e saremmo stati da quel momento in poi, amici, complici di un gioco che non prevedeva bigottismi, scintillanti di una gioia mai sperimentata.
Immersi in un oceano d’estasi, alchimia e di vodka.

Teresa

Conobbi Teresa in un noiosissimo party poco prima di Natale organizzato dall’azienda per cui prestavo servizio in quell’anno. Di lei, mi aveva colpito particolarmente il suo sapere stare tra la gente, parlava quando occorreva, sorrideva di gran gusto, e teneva la coppa di champagne tra la mano con l’altra mano poggiata sotto il suo gomito. A Capodanno già stavamo insieme, mentre poco dopo l’arrivo della primavera si era già trasferita da me. Il nostro rapporto funzionava bene: avevamo un’ottima intesa sia mentale che fisica, ci dicevamo sempre tutto e ci capivamo al volo, adoravamo discutere e confrontare le nostre idee, a letto tutto funzionava splendidamente, lei sembrava soddisfatta ed io impazzivo letteralmente per quel suo corpo perfetto: il seno non troppo grande, delle bellissime gambe, dei piedi molto attraenti. Quel che accadde invece in un caldo giorno d’agosto, è ciò che sto per raccontarvi, un qualcosa che stravolse totalmente il nostro rapporto rendendolo qualcosa di estasiante.

Eravamo al mare, per ragioni di lavoro non distanti dalla nostra città, ed era ormai giunta l’ora di andar via con il sole quasi già tramontato, quando per scherzo la buttai in acqua. “Bravo” fece lei, uscendone “ed ora come faccio col costume bagnato? Si asciugò con il telo, poi raccolse tutte le nostre cose dicendomi di sbrigarmi, infine con fare sicuro afferrò quello che lei definiva “copricostume” e che per me invece era un eccitantissimo vestitino di colore blu, molto corto e scollato, e lo indossò,  quindi si sedette sul lettino e slacciò il “top” del bikini che con abile mossa venne sfilato via, infine guardandosi intorno con aria circospetta sfilò via anche le mutandine, dicendo “andiamo, speriamo di non trovare traffico!” In macchina le chiesi “non vorresti aspettare che si asciughi il costume prima di tornare a casa?”, mi rispose “non ce la faremmo mai, e poi non ti eccita la situazione?” In realtà, da quando si era sfilata le mutandine del bikini, ero in preda ad una violentissima erezione, ma mi sforzavo di mostrare grande indifferenza in modo da coinvolgerla in una specie di sfida! Durante il tragitto in auto parlammo di varie amenità senza affrontare nessun tema “caldo”.

Erano quasi le venti, quando ci eravamo lasciati alle spalle il traffico della statale, quando poco prima dell’uscita lei mi chiese di fermarci in una piccola area di sosta con un bar. Uscendo dall’auto un movimento brusco le scoprì completamente il pube provocandomi quasi l’esplosione del costume che indossavo, la presi per mano, e ci incamminammo verso il bar che all’apparenza sembrava completamente deserto, entrammo e ci dirigemmo dinanzi al banco del bar, esclamando a gran voce: “Non c’è nessuno?” Dopo un po’ comparve il barman, viola in viso e che con gli occhi bassi, mi chiese cosa gridavamo, io gli sorrisi per tranquillizzarlo e gli ordinai due caffè, lui si prodigò subito nel prepararli e Teresa mi disse in un orecchio “Chissà cosa farebbe se sapesse che sono completamente NUDA!” Le risposi “A me sembra già eccitato! Bevemmo il caffè, pagammo il conto e uscimmo dal bar con passo lento. Camminando mi disse: “Non so se mi giudicherai male, ma sono eccitatissima solo all’idea che quel ragazzo abbia capito che sotto il vestitino sono completamente nuda, voglio scopare appena arriviamo in macchina!” E nel camminare lei sollevò leggermente il vestitino da farlo arrivare a toccare la mia mano che era appoggiata sul fianco destro di lei: praticamente camminò per alcuni secondi col culo completamente di fuori, ma eravamo ormai abbastanza lontani dal bar e non incontrammo neanche nessuno nel tragitto fino al parcheggio.

Arrivammo alla macchina, e appena entrati, lei si sfilò completamente il vestitino, restando praticamente nuda. Io nel frattempo, mi ero tolto il costume e mi stavo masturbando furiosamente; e balbettando le dissi: “Ma ti rendi conto che sei completamente nuda in un parcheggio pubblico?” Lei non rispose, guardò la mano, appoggiò entrambi i piedi sul cruscotto, e iniziò anche lei a masturbarsi. Fu subito poco dopo che, guardando nello specchietto retrovisore dell’auto, mi resi conto che il ragazzo del bar ci stava spiando da dietro un albero poco lontano. Con gesto del capo gli feci segno di guardare nello specchietto, Teresa alzo lo sguardo, vide il ragazzo, sorrise, e mi chiese di ritrarre al massimo il mio sediolino. Si si mise a cavalcioni su di me con una gamba tra sedile e portiera e l’altra tra i due sedili, ed io iniziai a spingerle il mio pene sempre più in profondità; i suoi seni saltavano al ritmo della scopata, quando le dissi: “Sai, il ragazzo si sta masturbato guardandoci!” “Cooome?” fece lei fermandosi per un attimo, “Sì, è proprio li, appena dietro l’albero!” Riprese a cavalcarmi come una forsennata, questa volta impostando lei il ritmo; mentre scopavamo mi chiedeva: “Ci sta ancora guardando?” e via un gemito, “si è proprio li col cazzo di fuori!” e giù un urlo, “Si masturba col cazzo di fuori mentre io e te scopiamo?” e via ancora più veloce fino all’urlo finale causato dall’orgasmo raggiunto. Le urlai a mia volta: “Staccati, sto per venire!” Mi rispose: “Non me frega niente, voglio sentirti venire dentro!” E così fu: le venni dentro la fica, urlando come un pazzo!

Dopo, entrambi esausti, ci rendemmo conto che eravamo completamente nudi, fermi in macchina in un parcheggio e non era ancora notte! “Te ne importa?” Mi chiese. “A me no!” le risposi, aggiungendo però che in futuro avremmo dovuto fare attenzione perché, purtroppo, non tutti la pensano come noi, e la possibilità di beccarsi una bella denunzia per atti osceni in luogo pubblico esiste sempre! Poi mi chiese, mentre amorevolmente mi asciugava il sudore con un fazzolettino di carta: “Ho capito che mi fa eccitare da pazzi il mostrarmi nuda, ma tu come mi giudichi?” “Una donna meravigliosa, carica di sensualità!” risposi e aggiunsi “Penso che ogni donna abbia piacere a mostrarsi: è un fatto naturale, fa parte del gioco della seduzione che è sempre esistito e che è funzionale alla continuazione della specie! Sono solo i retaggi della società, cosiddetta civile, che impediscono alle donne di mostrarsi senza pudori e agli uomini di godere nell’esibire le proprie donne, passando per maniaci o per cornuti! Il vero tradimento sta nel non rispettarsi, nel non essere reciprocamente sinceri, nel non donarsi totalmente!” “Ti amo!”, mi rispose baciandomi teneramente, “Senza di te non sarei mai stata capace di comprendere a fondo il mio essere donna!

Quel che accadde in un caldo giorno d’agosto, è ciò che vi ho raccontato, un qualcosa che stravolse totalmente il nostro rapporto, rendendolo qualcosa di estasiante, fino a quando per altri motivi, io e Teresa prendemmo due strade differenti.

La leggenda del Ponte dell’Arcobaleno

I nostri amici a quattro zampe sono parte integrante della famiglia, con loro condividiamo la quotidianità, stringendo un legame indissolubile.

È per questo che quando ci lasciano, viviamo un vero e proprio lutto da elaborare nel tempo. Ognuno esprime le emozioni come meglio crede, ma questa leggenda forse può essere un aiuto per chi è in questa fase dolorosa.

La leggenda del Ponte dell’Arcobaleno

Proprio alle soglie del Paradiso esiste un luogo chiamato il Ponte dell’Arcobaleno. Quando muore un animale che ci è stato particolarmente vicino sulla terra, quella creatura va al Ponte dell’Arcobaleno.

È un posto bellissimo dove l’erba è sempre fresca e profumata, i ruscelli scorrono tra colline ed alberi ed i nostri amici a quattro zampe possono correre e giocare insieme. Trovano sempre il loro cibo preferito, l’acqua fresca per dissetarsi ed il sole splendente per riscaldarsi e così i nostri cari amici sono felici: se in vita erano malati o vecchi qui ritrovano salute e gioventù, se erano menomati o infermi qui ritornano ad essere sani e forti così come li ricordiamo nei nostri sogni di tempi e giorni ormai passati.

Qui i nostri amici che abbiamo tanto amato stanno bene, eccetto che per una piccola cosa, ognuno di loro sente la mancanza di qualcuno molto speciale che ha dovuto lasciarsi indietro.

Così accade di vedere che durante il gioco qualcuno di loro si fermi improvvisamente e scruti oltre la collina, tutti i suoi sensi sono in allerta, i suoi occhi si illuminano e le sue zampe iniziano a correre velocemente verso l’orizzonte, sempre più veloce.

Articolo preso dal web: https://www.greenme.it/abitare/cani-gatti-e-co/ponte-arcobaleno/

Lara, ora so, dove sei.

lara

Andrew Faber

Ricorda:
Le donne che mangiano verdure scondite ancora fumanti, specie se broccoletti o cicoria molto amara raccolta ai bordi delle strade, senza dire: ma che è sta puzza!!
Quelle che le prendono dallo scolapasta/vaporiera scottandosi le dita per intenderci, ecco: bisogna starci attenti.
Prestarci attenzione.
Leggono poesie e ascoltano musica.
Piangono e ridono forte.
Conoscono i tempi.
Sono pericolose.
Sono eversive e rivoluzionarie.
Sono da amare.
“Andrew Faber”
 ——————————————————————————————-
Mi sono imbattuto per puro caso in questo post di questo giovanissimo autore italiano: Andrea Zorretta in arte Andrew Faber.
Devo ammettere che è un post che mi piace molto, un post che solleva un’onda anomale, ma nello stesso istante mi fa sorgere un dubbio:
Valgono anche quelle che sono felici mangiando Bucatini alla amatriciana, bevono birra scura e adorano la ” trippa”?

La Sconosciuta

Successe tutto nella primavera del 2010. 
Erano gli anni del “cammin di nostra vita”, per dirla alla Dante, e la mia vita era leggermente più caotica della normalità, sennonchè mi rendo conto tutt’ora che per me il leggermente caotico è la normalità.
In quel periodo non mi ero mai sentito più sano di mente o più felice, mi ero trasferito già dall’inverno precedente in un piccolo centro tra le colline bolognesi, e la mia vita scivolava in una disciplinata armonia in quattro tempi.
La mattina era dedicata all’attività con cui pagare vitto e alloggio ed il lavoro mi teneva occupato ben oltre l’orario da pranzo. Mangiavo qualcosina sempre al solito ristorantino all’angolo quasi sempre fuori orario, rientravo in ufficio spesso saltando anche il caffè, e ci rimanevo fino alle diciotto, se era la mia giornata fortunata.
La seconda attività era quella che chiamavo: la quiete dopo la tempesta. Me ne tornavo a casa, quasi sempre a piedi, camminando lentamente per quasi un’ora, incontrando di tanto in tanto qualche faccia già nota, e guardando le vetrine dei pochi negozi, soffermandomi poi nell’unica libreria del centro che fungeva anche come edicola. Sfogliavo qualche libro e compravo il solito quotidiano, ecco, adesso come all’ora, penso di essere uno dei pochi che legge il quotidiano, quando le notizie sono già scadute, o quanto meno già aggiornate.
Il terzo atto invece, ero quello dedicato alla casa e alla cucina, con cui avrei dato un senso alla parola “mangiare” facendolo in assoluta tranquillità, gustandomi ogni pietanza senza dover rispondere continuamente a chiamate e messaggi, e senza occhi accusatori del cameriere di turno, che mi implorava con lo sguardo di finire in fretta per andare a godersi il suo meritato riposo.
Ma il cuore della giornata era senz’altro, il quarto e ultimo tempo che dedicavo a quello che ritengo essere uno dei più grandi piaceri della vita, un semplice, caldo, morbido, quasi amaro, caffè.
Dalle 21 fino a quasi mezzanotte, erano le poche ore che potevo dedicare completamente a me stesso, e pur avendo tutta l’attrezzatura necessaria per produrre un caffè decente a casa, il richiamo seducente della notte, dei suoi colori, dei suoi profumi e l’insegna del bar che scorgevo dalla mia finestra, erano fin troppo irresistibili anche per un quasi pantofolaio come me.
E quella sera, nelle ultime tre ore di un qualunque giorno di aprile, un semplice caffè divenne un ricordo che tutt’ora continua a pulsare nei meandri della mia mente.

Era un bar assolutamente anonimo, anche se abbastanza grande.
Un bar di quelli aperti probabilmente negli anni 80, senza grosse pretese, ne tv a led che trasmettono musica rumorosa ad altissimo volume, ne di quelli pieni di ragazzi con l’entusiasmo a mille e improbabili ordinazioni di cocktail dal tasso alcolico fuori dal comune.
Facevano però un ottimo caffè e tanto bastava per essere sempre pieno di persone del posto, lavoratori, gente comune e di tanto in tanto qualche avventore.
Quando era libero, il mio tavolino preferito era quello rivolto verso l’entrata, in un certo senso il sedermi li mi dava un’idea malsana di avere tutto sotto controllo, anche se poi, il mio sguardo era sempre quasi rivolto verso il quotidiano nel mentre leggevo notizie che oramai già ero a conoscenza.
Avevo già preso il caffè, quando ad un tratto il suono della campanellina collegata alla porta in vetro del bar, attirò la mia attenzione.
Lei entrò affrettata, quasi danzando in un abito nero che le fasciava i fianchi, cominciò a parlare con il barista, ordinò qualcosa, e si sedette appena qualche fila di tavolini poco distante da me, ci guardammo, con uno sguardo fugace che subito torno al proprio posto, dopo appena qualche secondo.
Il giornale continuava a raccontarmi notizie già vecchie, ma i miei occhi, già poco interessati, facevano fatica a restare su quelle pagine. Lei non era bellissima, eppure qualcosa aveva attirato tutto il mio interesse, forse i suoi capelli appena lunghi sulle spalle, il suo modo di “entrare in scena”, le sue movenze. Forse il modo con cui beveva la sua bevanda, credo fosse un succo d’arancia, ma soprattutto il suo modo di incrociare il mio sguardo, quasi sapesse l’istante in cui, i miei occhi si fossero sporti a guardarla.
In quel momento il tempo sembrava fosse dilatato, più lento. Il quotidiano oramai, serviva soltanto a coprire il mio viso quasi imbarazzato, e tutti i miei pensieri erano concentrati sul come trovare un modo quanto meno non ridicolo e goffo per avvicinarla, quando ad un tratto lei si alzò.
Si avvicinò verso di me con il suo passo danzante, si sedette proprio di fronte a me al mio tavolo, mi avvicinò un pezzettino di carta e disse con voce sinuosa ma decisa “Leggilo, appena sarò uscita”.
Si alzo con un gesto finale, poi andò via senza voltarsi indietro, mentre l’aria che respiravo aveva il sapore impossibile di confusione e immagini.
Appena la porta in vetro si chiuse alle sue spalle, aprii quel pezzettino di carta frettolosamente, convinto di trovarci il classico numero di telefono, ma la sorpresa di leggere quell’unica parola, dilatò ancora di più il tempo e la mia confusione. C’era scritto un’unica parola: “Seguimi”
Mi alzai di scatto, in maniera cosi repentina che quasi rischiavo di buttar giù il tavolo, pagai velocemente il conto, uscii dal Bar e la intravidi poco distante, nel suo abito nero, ancora più scuro nel bagliore della notte. Incominciò ad incamminarsi lentamente ma con passo deciso, ed io, tra un misto di eccitazione e timore, iniziai a seguirla, con la salivazione che oramai rasentava lo zero.
Dopo qualche centinaio di metri, si fermo all’angolo di una stradina buia, si girò a malapena lanciandomi un ultimo sguardo quasi a dirmi, ci siamo, poi si voltò e spari avvolta nel buio.
Ad un tratto mi resi conto, che tutto intorno a me era deserto, ero cosi concentrato a seguire la sua scia e ad elaborare pensieri, che non sapevo neppure dove mi trovato, e se qualcuno ci avesse visto camminare poco distanti. In quell’istante fu come destarsi da un sogno, ma ormai ogni tentativo di razionalità aveva lasciato la mia mente, volevo solo raggiungerla, non sapendo nemmeno il perchè.

Entrai nel vicoletto buio e mi resi conto che era senza uscita. Alcune auto erano parcheggiate in fila sul fianco destro della strada, e subito dopo l’ultima auto, c’era Lei, ferma, rivolta verso di me, ad aspettarmi. Mi avvicinai, accelerando leggermente il passo, e nello stesso istante in cui mossi le labbra per dire qualcosa, le sue mani si aggrapparono alla mia camicia, mi trascinò verso di lei, e mi baciò. Non c’erano più pensieri nella mia testa in quel momento, sentivo solo le sue braccia intorno al mio collo e le sue labbra sulle mie. Ad un tratto lei iniziò a accarezzare le mie labbra con la punta della sua lingua, con la mano schiuse le mie labbra e iniziò a morsicare la mia, gli accarezzai la schiena e sentii il calore del suo corpo contro la mia mano. Era bello sentire le nostre labbra giocare, era fantastico sentire le nostre lingue sfiorarsi gentilmente, era come se tutto in quegli istanti fosse dannatamente perfetto.
Senza mai staccare le sue labbra dalle mie, le sue mani iniziarono a sbottonarmi la camicia, e lentamente i suoi baci passarono dalla mia bocca, al mio mento, e poi sul mio petto. Si abbassò delicatamente, accarezzando i mie fianchi, e con un gesto deciso, sbottonò i miei pantaloni.
Era da quando avevo letto quel pezzettino di carta che ero già abbastanza eccitato, ed erano bastati appena qualche secondo delle sue labbra, per rendere il mio pene decisamente turgido. Lei non sembrò affatto stranita da tutto ciò, alzo leggermente lo sguardo guardandomi dritto negli occhi, e senza mai abbassare lo sguardo, mi calò giù gli slip, e iniziò e leccarlo. Sentivo il piacere inondare ogni angolo del mio corpo, mentre lei continuava alternando momenti di delicatezza ad altri decisamente più intensi, fino a quando ad un tratto si fermò.
Si rialzò, mi bacio di nuovo sulle labbra, e con quella sua voce ora molto più ansimante mi disse: “non porto mai gli slip, in certe occasioni, ora voglio che entri dentro di me”
La feci appoggiare al muro, le alzai quanto basta il vestito, e lasciai che le sue gambe avvolgessero i miei fianchi, Lei avvolse di nuovo le sue braccia intorno al mio collo, e questo gesto, mi eccitò ancora di più. Fui sorpreso io quando al primo contratto mi resi conto che anche Lei era completamente bagnata, entrai dentro di lei molto lentamente e tenni un ritmo lento ma deciso per abbastanza tempo, godendo del piacevole suono del suo ansimare. Appena decisi di alzare il ritmo mi resi conto che facevo molta fatica nel contenere l’eccitazione ma non volevo assolutamente mettere da parte il piacere che in quel momento stavo provando nell’essere dentro di lei.
Avrei voluto lasciarmi andare in una lunga esplosione di piacere, ma questo era inevitabilmente fuori discussione, ma ormai non potevo resistere al suono del suo godere, volevo in qualunque modo arrecarle piacere, e tenendola in piedi davanti a me, mi abbassai posando la mia calda lingua sul suo ventre e iniziai a sfiorarle lentamente il suo sesso. Il suo piacere cadde sulla mia bocca caldo, intenso, lento come scivola il miele, e quel suo leggero gridolino, non fece altro che donarmi altrettanto piacere, tant’è che lei mi rispose: “adesso mi vendico nella stessa maniera”. Le sue labbra di nuovo sul mio sesso, mi fecero letteralmente impazzire fino a raggiungere un esplosione di piacere immenso.

Restammo qualche istante abbracciati, io ero ancora mezzo nudo, lei a malapena più ricomposta.
Fermi, immobili, stretti l’uno all’altro, giusto il tempo almeno per me, di riordinare le idee, lei ancora avvinghiata a me.
Con uno scatto deciso si staccò, si ricompose e mi guardò, senza dire nulla.
Fu giusto un istante, e poi mi resi conto che nemmeno io sapevo cosa dire in quel momento, a ripensarci bene, credo che nemmeno sapessi se stessi sognando oppure no, ma proprio in quel frangente lei mi anticipò e disse: “Ora devo scappare”.
Una moltitudine di parole, di frasi sconnesse e di domande, mi balzarono in mente, tutte in fretta: avrei voluto chiedere chi fosse, dove abitasse, se e quando avremmo potuto rivederci, ma dalla mia bocca non uscivano parole. L’unica cosa che riuscii a profilare fu: “ma non so nemmeno come ti chiami”, Lei mi guardò un ultima volta, si avvicinò baciandomi delicatamente le labbra, con la sua voce sinuosa che ancora oggi risuona nella mia mente e rispose: “Chiamami La Sconosciuta”. Mi accarezzò una guancia, e poi, con passo lento, si allontanò.

Successe tutto nella primavera del 2010.
In quel periodo non mi ero mai sentito più sano di mente o più felice, e la mia vita scivolava in una disciplinata armonia in quattro tempi.
Non ho mai saputo chi fosse “La Sconosciuta”, ne mai l’ho più rivista. Non so cosa faccia, dove sia, non so nemmeno se anch’essa ricordi tutto ciò.
Io di Lei, porto ancora un segno, indelebile, nella mia testa e nella mia anima.

Notturno alle Tre…

Chiàmmame.. (Chiamami)

Basta con queste lacrime, non ce la faccio più a guardarti.

Ora è arrivato il momento di stringerci, poi vedremo cosa possiamo fare.

Chiamami, io sono sempre qua, sempre pronto a buttarmi nella mischia.

 

Sai che non puoi vincere quando il tavolo non lo permette,

hai imparato a perdere, ora impara a morsicare

chiamami, io sono sempre qua:

pronto a dare a mazzate, anzichè prenderle.

 

E pensa prima di parlare per non dire fesserie,

prendi tutto a ridere, e nascondi questa malinconia,

chiamami, o passa a trovarmi, se sei solo e vuoi parlare.

Lascia a casa i debiti, e scendi giù per strada,

tanto non ci crederai, ma ha i debiti anche Dio,

chiamami, io sono sempre qua:

pronto a dare a mazzate, anzichè prenderle.

 

E se cammini dento l’oscurità, e non riesci a vedere,

metti la mani avanti e cerca di non cadere,

sii sempre sicuro di te stesso, più sicuro di te stesso,

mordi, arrabbiati e datti coraggio.

 

Cento stelle brillano, alza le mani che potrai prenderle,

cento fuochi bruciano, nel tuo petto e vorresti spegnerli

Chiamami, io sono sempre qua, sempre pronto a buttarmi nella mischia.

Quanti galli cantano, ma il mattino tarda ad arrivare,

e quanti asini ragliano, e credono di comandare,

chiamami e impariamo a vivere,

andiamo a dare mazzate, anzichè prenderle.

 

“Amo profondamente questa canzone, del grande Eduardo de Crescenzo.

Chiàmmame, fa parte dell’album d’esordio del cantautore Napoletano, unico disco della sua discografia ad essere cantato interamente in dialetto.

Siamo in pieno periodo post terremoto (quello dell’Irpinia), e Napoli come tante altre città del sud, cerca una nuova rinascita da un’ennesima tragedia che ha colpito e cambiato profondamente e non solo geoligicamente la Campania e buona parte delle regioni limitrofe.

Questa canzone è un inno a rialzarsi, a dare di più, a credere in se stessi, magari facendosi leva a quelle poche persone che possiamo ritenere amici. E sopratutto è una canzone che ci spinge a prendere, anzichè aspettare che tutto ci arrivi dal cielo.”

Chiàmmame

Ne Approfitto Per Fare Un Pò Di Musica

Dai su, accomodati, beviamo qualcosa assieme, come ai bei tempi.

Come stai?
Effettivamente è  da un po’ che non ci vediamo.
Spero mi perdonerai se gli impegni degli
ultimi tempi ci hanno fatto un allontanare un poco, ma credo
tu sappia, comunque, che ho sempre pensato a te come a un amico e
che, quando mi è stato possibile, sono stato un tuo fedele e felice
compagno di viaggio. Così come ugualmente vicino ti ho sentito anche
quando la mia presenza si è fatta più saltuaria. Ma non sono mai
scomparso. Anche se non ho dato troppo a vederlo, ti ho seguito; in
silenzio, ma ti ho seguito. Te lo assicuro, soprattutto, nelle tue
evoluzioni  e metamorfosi (che sono poi la ragione stessa della tua
esistenza).

Per tutto questo, credo che io possa permettermi di parlarti
francamente. Non ti arrabbierai, spero, se mi è venuta voglia di
dirti una cosa. Inoltre, sono sicuro che tu non sia così permaloso da
non poter accettare qualche parola da uno dei tuoi più vecchi e cari
amici.

Scusami, se ogni tanto potrò sembrarti un poco contorto. Il fatto è
che, a volte, anche se credo di conoscerti bene, mi dimentico che il
nostro legame è relativamente giovane. E poi, sai, non è affatto
facile parlare con uno come te. Con uno dalla personalità così
frizzante, creativa, ma – lasciamelo dire – talvolta anche un poco
spiazzante e dispersiva.

Sai, la mia impressione è che a volte tu non sia stato sempre sincero.
Di aver taciuto su te stesso, sul tuo umore, sui i tuoi stati d’animo. Eppure sai che, hai sempre potuto contare su di me, sull’amico pronto ad ascoltarti a qualunque ora del giorno e persino della notte.

Ma in fondo, so bene che i tuoi momenti no, si consumano nell’arco di una sigaretta, e che basta abbracciare una chitarra, buttare giù un po’ di vodka e qualche nota, e torniamo a ridere come due stupidi bambini.

Abbiamo la musica no? Ci siamo sempre detti che una decina di LP rigorosamente in vinile, avrebbero risolto tutti i nostri problemi. E sarà cosi anche stasera. Ho comprato una bottiglia di Jack, ho tirato fuori  la vecchia fender, non fa cosi nemmeno tanto freddo come avevano annunciato, quindi, brindiamo!

In quarantasei anni che ti conosco, non sei riuscito mai a prendere un Sol7correttamente …

“Ne approfitto per fare un po’ di musica
Nell’ipotesi che mi ascolterai
Tra le stelle e i lampioni non saprei
Spicchio di luna questa notte dove sei?”

Spicchio di Luna

 

La mia giovinezza..

Bevo tanta acqua, anche d’inverno.

Ci sono delle giornate in cui, ho talmente tanta sete, che un solo bicchier d’acqua non è mai all’altezza del compito, ne deve seguire almeno un altro, o addirittura due.

Qualche tentativo di auto spiegazione spicciola, è quella in cui, riconosco di avere un metabolismo lento soprattutto di sera, e l’acqua probabilmente mi aiuta a digerire.

Quindi per questo motivo ci sono dei periodi in cui rientro in possesso di lucidità mentale, e quasi mi comporto come una “persona” modello: faccio la barba tutti i giorni, lavo l’auto almeno una volta a settimana, stiro io stesso le camicie, addirittura cucino e mangio solamente alimenti sani.

E un periodo che dura poco sia chiaro, qualche settimana, al massimo un mese. Poi, prendo tutti i buoni propositi, li impacchetto con cura e li mando affanculo! (In quest’era di assurdo “politically correct”, si può dire fanculo, o qualche associazione in difesa dei culi, griderà allo scandalo?)

Si, perchè in fondo non sono tipo da buoni propositi. C’è la metto tutta, sia chiaro, ma poi mi basta pensare che un minuscolo parassita obbligato ci può mandare dall’altra parte del fiume da un momento all’altro, per lasciarmi andare ai miei soliti vizi: mangiare bene, bere bene, fumare bene.

Ieri sera mi sono proprio dedicato al trittico descritto sopra, tra due giorni compio gli anni (ve lo scrivo proprio per farmi fare gli auguri, e magari sperare in qualche anima pia, che voglia farmi addirittura un regalo) e ho deciso di regalarmi una settimana intera di benessere, una SPA immersa sul divano con il mio amico del cuore (lettore cd), e ad analizzarmi in forma psicoterapia psicodinamica.

Anche perchè ieri mattina, una cara amica mi ha detto che io pretendo molto della persone, gli ho risposto che non è vero, che forse pretendo molto, ma da me stesso. Poi ieri sera appunto, riflettendo sulle sue parole, ho pensato: e se avesse ragione Lei?

Non sono riuscito a trovare la risposta, ma in cambio ho scoperto quanto sono buone le Olive Nere Infornate (ripiene) abbinate ad un Sangiovese di Romagna Superiore.

“Non ho mai tradito la mia giovinezza
Non devo provare la mia innocenza
Sono colpevole d’aver nutrito
L’amore e altre deviazioni
Come la malinconia
Come la nostalgia”

P.S. : Ci sono sere in cui, se non ci fosse Ivano Fossati, andrei a letto subito dopo cena.