«Per decenni si è fantasticato su un futuro fatto di device medici commestibili, da utilizzare per la diagnosi o la cura di malattie». Ma perché il sogno diventi realtà di tutti i giorni «si dovranno affrontare i problemi di tossicità dei componenti di questi dispositivi». Per esempio le batterie. Parte da qui il lavoro di un team di scienziati della Carnegie Mellon University (Cmu) negli Usa, come spiega il ricercatore Christopher Bettinger. Per minimizzare i potenziali rischi di futuri device ingeribili, gli esperti hanno messo a punto una batteria che si mangia. È fatta di pigmenti di melanina che si trovano naturalmente nella pelle, nei capelli e negli occhi. Il loro lavoro è stato presentato al 252esimo meeting dell’American Chemical Society.
Il ricercatore Christopher Bettinger mostra la ‘batteria commestibile’ Circa 20 anni fa, ricordano gli autori, è stato sviluppato uno strumento complementare per le endoscopie, ingeribile a batteria, in grado di fotografare punti del sistema digestivo inaccessibili per l’endoscopio tradizionale. Ma, fanno presente gli esperti, era progettato per passare attraverso il corpo ed essere escreto. Per un singolo utilizzo, il rischio che la fotocamera con una batteria convenzionale rimanga bloccata nel tratto gastrointestinale è piccolo. Ma le possibilità che qualcosa vada storto aumenterebbero in modo inaccettabile se i medici volessero usare un device più spesso su un singolo paziente, spiegano dall’ateneo a stelle e strisce. Per esempio, per applicazioni da ripetere più volte come l’uso di dispositivi ingeribili per il rilascio di farmaci nell’organismo, l’ideale sarebbero batterie non tossiche e degradabili. «Per definizione un dispositivo degradabile e ingeribile resta nel corpo per non più di 20 ore o giù di lì», dice Bettinger. «Questo è tutto ciò che serve». Per risolvere il problema della tossicità, gli scienziati hanno cercato fra i composti presenti in natura. Nella pelle, nei capelli e negli occhi, i pigmenti di melanina assorbono la luce ultravioletta per estinguere i radicali liberi e proteggono da eventuali danni. E capita anche che leghino o separino ioni metallici. «Questo, abbiamo pensato, è fondamentalmente una batteria», dice Bettinger.
I ricercatori hanno dunque lavorato per creare una batteria che utilizzasse melanina sia ai terminali positivi che negativi, e altri materiali compatibili con l’organismo. «E abbiamo visto che funziona», afferma uno dei ricercatori del team, Hang-Ah Park. «I numeri esatti dipendono dalla configurazione, ma per esempio si può alimentare un dispositivo da 5 milliwatt per circa 18 ore, utilizzando 600 mg di materiale di melanina attivo come catodo». Il team lavora in parallelo anche alla produzione di batterie commestibili con altri biomateriali, come la pectina, un composto naturale ricavato dalle piante e utilizzato come agente gelificante nelle marmellate e gelatine. E infine hanno in programma lo sviluppo di un packaging per inviare in modo sicuro le batterie nello stomaco.