Marzo 2018: Johnny Cash – AT FOLSOM PRISON (1968)

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Data di pubblicazione: Maggio 1968
Registrato a: Folsom State Prison (Folsom)
Produttore: Bob Johnston
Formazione: Johnny Cash (voce, chitarra, armonica), June Carter (voce), Marshall Grant (basso), W. S. Holland (batteria), Carl Perkins (chitarra elettrica), Luther Perkins (chitarra elettrica), The Statler Brothers (cori)

 

Lato A

 

                        Folsom Prison blues
                        Dark as a Dungeon
                        I still miss someone
                        Cocaine blues
                        25 minutes to go
                        Orange blossom special
                        The long black veil

 

Lato B

 

                        Send a picture of mother
                        The wall
                        Dirty old egg-suckin’ dog
                        Flushed from the bathroom of your heart
                        Jackson
                        Give my love to Rose
                        I got stripes
                        Green, green grass of home
                        Greystone chapel

 

Ho provato le droghe e un po’ di tutto il resto, ma non c’è nulla
al mondo che mi dia più soddisfazione che avere il Regno di Dio che
si costruisce dentro di te, e in fretta
(Johnny Cash)

 

Predicatore viandante, uomo solitario, fuorilegge, prediletto del Signore, ma soprattutto poeta degli ultimi, degli emarginati, dei cani randagi: tutto questo è stato il “man in black”, Johnny Cash. Un uomo per il quale di parole ne sono state spese tante, e tutte possono essere ritenute inadeguate per esprimerne la grandezza e lo spessore. Perché Johnny Cash è più di un divo del folk-rock: non è il nuovo Elvis, né il nuovo Dylan. Lui è Johnny Cash e basta! Lui è il cantore cupo e tormentato, il romantico “delinquente” e la pecorella sperduta di cui il Signore stesso va in cerca.
La sua carriera ha marchiato a fuoco la cultura popolare americana e non solo, attraverso una poetica discorde, scostante, e delle canzoni semplici e così terribilmente sempre attuali, perché la problematica di cui si occupa Cash non è quella che fa da semplice tema alle protest songs degli anni ’50: la sua tematica principale è l’uomo, in tutte le sue condizioni, soprattutto quando è più vulnerabile. Amore, giustizia, dolore, religione, politica… tutto questo fa parte della grande tematica che troneggia nelle canzoni di Johnny Cash: l’uomo.
L’amore che brucia l’anima (come si intitola il passabile e un tantino retorico biopic di James Mangold, Walk the line, che ripercorre la sua prima parte di carriera, con punto d’arrivo il leggendario concerto alla prigione di Folsom) è appunto l’anello di fuoco che ha abbracciato per primo la sua stessa di vita, dai suoi primissimi passi nella sua famiglia, dove, quarto di sette figli, vive una situazione di povertà e di precarietà, acuita dalla morte di uno dei suoi fratelli, Jack. Sin da ragazzo Johnny esprime interesse grande per la musica, la passione principale che gli brucerà l’anima, partendo dagli inni religiosi che ascolta in chiesa, e l’ascolto delle canzoni country alla radio. Nel 1950 si arruola nell’Esercito Americano, sezione Air Force, e questo lo porterà ad un’esperienza di servizio in Germania, dove compra una chitarra, e inizia un percorso di formazione musicale da autodidatta, fondando peraltro il suo primo gruppo, fatto da compagni commilitoni. Quattro anni più tardi sposerà Vivian Liberto, con cui vivrà una complicata relazione matrimoniale, terminata nel 1967, usurata dai suoi eccessi e dalla sua dipendenza dalle droghe.
Il 1955 si rivela un anno importante per il “man in black”, poiché ottiene il suo primo contratto con la Sun Records, che gli permetterà di pubblicare le sue prime importantissime canzoni, tra le quali è bene ricordare Cry, cry, cry e Folsom Prison blues. Due anni più tardi pubblicherà il suo primo lp, Johnny Cash with his hot and blue guitar. La stragrande maggioranza dei brani è fatta di cover, da Leadbelly ad Hank Williams. Tre anni dopo giunge il passaggio alla Columbia, e da qui la sua carriera prende definitivamente il volo, seppur spesso sia intervallata da episodi spiacevoli derivanti dalla sua dipendenza da alcool e droghe. Nello stesso tempo incontra la cantante country June Carter, con la quale comincerà a condividere la propria passione per la musica, oltre ad una relazione amorosa, che poi sfocerà nel matrimonio celebrato nel 1968. È qui che nasce la celeberrima Ring of fire, uno dei suoi inni più conclamati, frutto di una passione bruciante e di un amore eterno. Per certi versi la canzone che più identifica Johnny Cash e la sua personalità. Le sue canzoni hanno una particolare aspetto: grazie alla straordinaria versatilità di Cash e alla decisa incisività delle sue composizioni, il gospel, il blues, il folk, il rockabilly, la protest song, si fondono in un motivo particolare di fare musica, rendendo il loro autore un perfetto punto di incontro tra tradizione e innovazione, aventi sempre quell’animo selvaggio che sceglie di stare dalla parte degli ultimi. Scegliere quindi quale disco sia più idoneo a rappresentarlo, è tanto arduo quanto duro, quindi è bene scegliere un momento: il concerto al Folsom Prison.
Quando Johnny Cash varca i cancelli della prigione di stato di Folsom, la sua popolarità comincia ad avere qualche contraccolpo, per via della sua dipendenza dalle droghe, il suo matrimonio naufragato, e la sua musica che ha cominciato “a passare di moda”. Mettiamoci anche le perplessità della Columbia Records nel voler registrare e poi pubblicare un live così atipico da sembrare surreale. C’era il serio rischio che questo potesse realmente trasformarsi nel capriccio di una rockstar in fase decadente. E invece fu proprio, con persone perdenti come lui, che Johnny Cash trovò la sua vera dimensione. Cantare di libertà e di desiderio di passione bruciante diventa retorico in uno studio televisivo, ma dietro le sbarre di una cella, diventa il canto di una speranza, di un’utopia che si vuole raggiungere. È qui che Johnny Cash trova i diseredati della vita cui cantare di morte, speranza, amore. In mezzo ci sono i tentativi di suicidio (The wall), lettere scritte per i propri cari a casa (Send a picture of mother), canti di solitudine (I still miss someone), lo spettro della morte (The long black veil), dipendenze (Cocaine blues), amore (Give my love to Rose, cantata con June Carter), tentativi di metterla sull’ironia (Green, green grass of home), fuga dalla realtà (25 minutes to go), ma anche ricami country nella celeberrima Jackson, anche questa cantata con June Carter e Orange blossom special. C’è il canto dei disperati nell’iniziale Folsom Prison blues, ma anche altre canzoni tese a saper insegnare come cadere e poi rialzarsi, come combattere con i proprio demoni interiori, dedicando spazio e tempo alla speranza aperta dalla fede religiosa, dalla dolce fuga della disobbedienza, dalla convivenza con la propria umana miseria. I detenuti della prigione di Folsom si ritrovarono meno soli, e al termine della serata, solo allora, dopo aver assaporato la brezza della vera libertà, sentirono quella cella come un vero e proprio carcere.
At Folsom Prison ricevette un successo enorme, ed è rimasto, tra i dischi di Johnny Cash, un vero e proprio manifesto della libertà sia interiore che sociale. Un manifesto di purezza e ribellione. Qualcosa di veramente irripetibile, che condensa la vitalità di un’artista straordinario, uomo in nero e poeta viandante. Ci sarà un degno seguito nel concerto alla prigione di San Quentin.
Dopo la carriera di Johnny Cash proseguirà sulla stessa grandezza, confezionando un grandissimo capolavoro come Man in black. Il tempo e la musica che cambiava rimise però in ombra nuovamente la sua grandezza popolare, nonostante l’eccellente progetto Highwayman, con gente del calibro di Willie Nelson, Waylong Jennings e Kris Kristofferson. Ripartirà alla grande nella prima metà degli anni ’90, quando gli U2 lo chiameranno ad interpretare la loro The wanderer per il loro disco Zooropa. Scelta di notevole coraggio per una band che stava esplorando nuovi territori sonori, tra musicalità elettroniche e devastazioni culturali. Da lì iniziò l’interessamento di Rick Rubin per il man in black, con cui inizierà il percorso dei bellissimi American recordings, in cui reinterpretava in chiave nuova, classici del passato e del presente, spesso prendendo spunto da artisti di generi decisamente diversi dal suo. È bene ricordare in questa sede la bellissima rivisitazione di Hurt dei Nine Inch Nails, di One degli U2, di Personal Jesus dei Depeche Mode, e tantissime altre non inferiori a queste.
Percorso che porterà avanti fino alla sua morte, giunta un triste 12 settembre 2003, esattamente quattro mesi dopo quella di June Carter, amore della sua vita, lasciandoci un’eredità di bellezza grezza e bruciante passione. E se l’amore ha bruciato la sua anima, di certo la sua musica ha infiammato la nostra vita!

 

Mi ha mostrato la sua casa, il suo ranch, il suo zoo, la sua fede, la sua musicalità. Johnny Cash era più di una persona saggia: in un giardino di erbacce lui era la quercia!
(Bono)

Marzo 2018: Johnny Cash – AT FOLSOM PRISON (1968)ultima modifica: 2018-03-01T10:57:18+01:00da pierrovox

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