Agosto 2018: Arcade Fire – FUNERAL (2004)

Funeral

Data di pubblicazione: 14 settembre 2004
Registrato a: Hotel 2 Tango (Montreal)
Produttore: Arcade Fire
Formazione: Win Butler (voce, chitarra, basso, tastiere), Régine Chassagne (voce, tastiere, xilofono, percussioni), Richard Reed Parry (chitarra, tastiere, pecussioni, cori), Tim Kingsbury (basso, chitarra, cori), William Butler (chitarra, basso, percussioni, cori), Sarah Neufeld (violino, cori), Jeremy Gara (chitarra, percussioni, cori)

 

Tracklist

 

                        Neighborhood 1 (Tunnels)
                        Neighborhood 2 (Laika)
                        Une annés sans lumiere
                        Neighborhood 3 (Power out)
                        Neighborhood 4 (7 kettles)
                        Crown of love
                        Wake up
                        Haiti
                        Rebellion (Lies)
                        In the backseat

 

 

We’re just a million little gods causin’ rain storms,
turnin’ every good thing to rust

 

Spesso l’hype alimenta grandi rivoluzioni o cocenti illusioni, smisurati abbagli che svaniscono giusto il tempo di una stagione. E di hype attorno ai canadesi Arcade Fire se ne era creato un bel po’, soprattutto dopo le “benedizioni” autorevoli di gente come David Byrne, David Bowie e Bono, tanto che la loro fama precedeva la loro musica. In casi come questi però si può facilmente creare un tale clima da aspettativa, che si può risolversi in una sorta di ansia da prestazione che ha portato non poche band a fare i conti con precoci crisi d’ispirazione (si vedano i casi dei Muse o dei Coldplay per rendersene conto). Gli Arcade Fire invece hanno saputo rappresentare diligentemente tanto una sorta di rivoluzione nel mondo dell’indie pop del nuovo millennio, tanto dosare con intelligenza il rapporto tra successo e creatività. La loro formula, fatta di un pop dalle tonalità orchestrali, è un vero e proprio inno alla vita, ricco di sfumature, grazie anche alla ricchezza sonora che offre una band variopinta e numerosa, capace di caratterizzarsi in armonizzazioni complesse, di far interagire diversi stili musicali, oltre che esprimere un’estetica del tutto elettrizzante in chiave moderna. E quindi si può giustamente ritenere che l’hype generato attorno ai canadesi non è certo da ritenere frutto di un abbaglio di massa, ma di qualcosa di notevole, e che merita la giusta attenzione.
Espressione scintillante della propria arte non può che essere il loro disco d’esordio, che seguiva di un anno l’omonimo ep che li aveva lanciati sul mercato discografico. A dispetto del titolo, Funeral è un album gioioso, seppur intriso di una latente malinconia dettata dagli ambienti che l’hanno ispirato. Il disco si apre con la prima delle Neighborhood previste in scaletta, col sottotitolo di Tunnels. Il brano è un pulsante elettro pop come solo i New Order potrebbero pensare ed eseguire, ma si staglia su un’interpretazione di Wim Butler decisamente epica e fluttuante, imponente ed emotivamente d’impatto. La seconda Neighborhood, Laika, invece incede su sonorità balcaniche, dove è la fisarmonica a reggere l’intero impianto di un pezzo che sa mescolare sapientemente la new wave urbana dei Talking Heads e il provincialismo etnico di Goran Bregovic. Di certo una delle punte di forza del disco. Une année sans lumiere invece è un lento dolcissimo, che si prende l’onere di mettere insieme le due anime del Canada, sia quella anglofona che quella francofona. Abbiamo poi spazio per le altre due Neighborhood: Power out richiama nuovamente i New Order festaioli di Technique, 7 kettles invece addirittura segue un’estetica più elegante, con qualche timido richiamo addirittura al country.
Crown of love si potrebbe tranquillamente ritenere la loro Everybody hurts, perché proprio come i R.E.M. gli Arcade Fire sanno dosare dolcezza divenire stucchevoli, e cantare di un amore tormentato e pieno di dolore. A questa segue la corale festa rock di Wake up, dove gli echi dei cori diventano la struttura portante del pezzo, divenuto uno dei loro inni, tanto che gli U2 lo usavano nel 2005 come apertura dei loro concerti del Vertigo Tour. E difatti il pezzo risente anche di quel particolare pathos epico che tanto appartiene alla band dublinese. Haiti invece è un delizioso pezzo discopop, dove è invece Regina Chassagne a prendersi l’onere di cantare i versi principali. Rebellion (Lies) invece segue nuovamente il filone del revival della new wave, che in quel periodo vide all’opera band come Interpol, Strokes, Franz Ferdinand, Bloc Party. Chiude la nenia di In the backseat, dove è di nuovo Regina a prendere il posto al microfono, avvicinando la band alle atmosfere sospese e liquide di Bjork e di Beth Gibbons.
Funeral divenne da subito un classico, seppur dovette essere parecchio spinto dal tour degli U2 per potersi piazzare degnamente all’attenzione del grande pubblico. Un album capace di spaziare attraverso le varie anime musicali, e di saper attingere da diverse fonti d’ispirazione, e che è divenuto una specie di pietra miliare del nuovo millennio. Gli farà seguito un altrettanto grande Neon bible, dove le atmosfere si faranno più cupe, ma la classe diventerà ancora più imponente tanto da diventare fonte di ispirazione stessa per alcuni dei loro maestri (si ascoltino alla bisogna alcuni pezzi di Songs of innocence degli U2 per potersene rendere conto). E poi altri due album decisamente sopra la media come The suburbs e Reflektor, esprimendo una potenzialità compositiva e una capacità di cambiare sonorità come solo i grandi sanno fare! E gli Arcade Fire grandi lo sono sul serio!

 

C’è stato un momento in cui gli Arcade Fire mi hanno parlato di genitori che morivano e di vicini di casa che impazzivano. Ora è solo giusto che mi parlino di cosa significhi scendere in strada e fare rumore. Gli Arcade Fire sono la grande band che ci meritiamo. Per una volta, non è insulto a noi stessi né a loro
(Chiara Durastanti)

Agosto 2018: Arcade Fire – FUNERAL (2004)ultima modifica: 2018-08-20T08:56:42+02:00da pierrovox

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