Settembre 2018: Sonic Youth – DAYDREAM NATION (1988)

Daydream nation

 

Data di pubblicazione: Ottobre 1988
Registrato a: Greene Studios Recording (New York)
Produttore: Nick Sansano & Sonic Youth
Formazione: Thurson Moore (voce, chitarre, piano), Kim Gordon (basso, voce), Lee Ranaldo (chitarra, voce), Steve Shelley (batteria, voce)

 

Lato A

 

                        Teen age riot
                        Silver rocket
                        The sprawl

 

Lato B

 

                        ‘Cross the breeze
                        Epic’s trip
                        Total trash

 

Lato C

 

                        Hey Joni
                        Providence
                        Candle
                        Rain king

 

Lato D

 

                        Kissability
                        Trilogy

  • The wonder
  • Hyperstation
  • Z Eliminator Jr.

 

 

Gli estremi sono veramente eccitanti!
(Thurston Moore)

 

Il rumore è musica? O meglio, può essere definito musica? Spesso ci si imbatte in gente che di fronte a qualcosa che non le aggrada, etichetta subito quel qualcosa come “rumore”, livellando la discussione su un piano di poco interesse, forse senza nemmeno sapere di cosa realmente si sta parlando.
I Sonic Youth invece sono qui a volerci dimostrare che si, il rumore è musica, così come la confusione è sesso, e gli estremi, per ridirla con Thurson Moore, sono eccitanti, più delle accomodanti vie di mezzo, tanto rassicuranti, quanto spesso povere di vero e proprio senso del rischio. I Sonic Youth raccoglievano quella sfida lanciata negli anni ’60 dai Velvet Underground, che intravedevano nei vari strumenti, e nel loro suono sporco una possibilità del tutto nuova e stimolante di produrre della musica, dell’ottima musica. Ed è così che una delle prime cose che si avvertono nel suono distorto e dissonante di questa “gioventù sonica” è un approccio del tutto nuovo al suono delle chitarre, imponendo un carattere espressivo attraverso la sperimentazione, il feedback, accordature “alternative”, divenendo di fatti uno dei fenomeni rock dell’ambiente alternativo newyorkese più interessante e influente di tutti i tempi. Non pochi devono il proprio tributi ai Sonic Youth, e non pochi generi musicali sono in debito con la band per il proprio apporto, a cominciare dal Noise e arrivando a imbastire alcune trame tanto care al Grunge e allo Shoegaze. La band di New York si è quindi distinta per innovazione e senso alternativo dell’approccio agli strumenti e alla possibilità che potevano offrire. Sostiene Thurston Moore in un’intervista degli anni ’80: “La scena inglese aveva annunciato la morte della chitarra elettrica. I Sonic Youth, in un minuto d New York, spazzarono via quell’idea”.
Le loro prime mosse si rintracciano nei primi anni ’80. Thurston Moore e Lee Ranaldo avevano già una buona esperienza come punk rockers in diversi gruppi, spesso suonando anche assieme. Erano legati quindi da una buona amicizia. Thurston Moore però dal canto suo aveva già legato con Kim Gordon (che poi sposerà nel 1984), ed entrambi erano entrati nel giro di Glenn Branca. Da qui si muovono i primi passi dei Sonic Youth (nome di Moore prenderà da Fred “Sonic” Smith e Big Youth). Prima apparizione sarà un omonino ep molto austero, caratterizzato da un suono particolare della chitarra. Quanto a questo strumento, era vezzo dei componenti della band fare uso di chitarre economiche, che con una particolare tecnica di accordatura potevano emanare un suono del tutto affascinante e minaccioso, nuovo, elettrizzante.
Con qualche aggiustamento in rotta della line-up, il gruppo fa il suo esordio discografico adulto con Confusion is sex, album aggressivo e denso di rumore, giungendo al concept più maturo e ammiccante piccoli ma importanti accenti pop in Bad moon rising, da alcuni giudicato come una delle prove più mature de gruppo. Evol e Sister proseguiranno con risultati eccellenti nella dimensione sperimentale, e il capolavoro per eccellenza giungerà nel 1988 con Daydream nation, che poi sarà il ponte di lancio per la band nel mondo della Geffen, che da lì a poco metterà sotto contratto i Nirvana.
Daydream nation è un album complesso e iconico, nel senso che si riserva di diritto di essere uno specchio dei tempi e degli umori della band in un determinato periodo, cogliendone sia la paura che l’euforia, sia quel senso di disorientamento che si coglie quando con la fine di un decennio si avverte la fine di un’era (in questo un ruolo determinato è giocato dalla copertine, con una candela che illumina uno sfondo nero). Del resto “non si esce vivi dagli anni ’80”, dicevano gli Afterhours, e i Sonic Youth in qualche modo riflettevano questo stato di cose nella loro musica, e con un disco dotato di un impeto possente e quasi orchestrale, e di una bellezza piena di escoriazioni assolutamente nuova nell’ambito del rock alternativo americano.
Apre l’anthem distorto di Teen age riot, aggirandosi nelle pozzanghere di un’America sommersa, ai margini, dei luoghi occulti che nessuno vuole vedere, in netto contrasto con la società raeganiana fatta di magnificenza e capitalismo selvaggio. Silver rocket si erge col suo possente muro di chitarre e distorsioni assordanti, mentre la lunga e vagamente progressiva The sprawl introduce elementi di complessità sempre più crescente nel resto del disco.
Il secondo lato del primo Lp si apre con la furia vagamente hard di ‘Cross the breeze, che unitamente all’idea proveniente dal mondo metal, apre con pochi accordi acustici e poi si dipana in tutta la sua furia assassina. Eric’s trip omaggia in un certo qual modo il garage rock degli anni ’60, ma pur sempre in modo dissonante e dissacrante, e Total trash riporta alla memoria quei terreni sonori già battuti da Lou Reed e i Velvet Underground. Chiudiamo il primo lp. Mettiamo su il secondo.
Hey Joni sprizza umori psichedelici, mentre lo schizzo rumorista di Providence, fatto di registrazioni disturbate, sottofondi pianistici e voci confuse lega a Candle, ballata dolce che si incattivisce nel crescendo, echeggiando il mai dimenticato garage rock. Il muro di chitarre che apre Rain king è ancora una volta un assalto sonico di ultraviolenza.
Kissability apre l’ultima facciata, e vede una Kim Gordon al canto con un fasciano maliardo e sinistro. Il disco si chiude con la suite Trilogy, divisa in tre parti, quasi un compendio della loro arte e di tutta l’espressivtà densa contenuta in questo disco, pietra miliare di una band fenomenale e coraggiosa, e così volutamente fuori dagli schemi.
Dopo questo album la band si accaserà alla Geffen, ottenendo anche dei buoni riscontri commerciali con album più immediati, ma non per questo privi dell’oscuro fascino, come Goo e Dirty. Dopo questi i Sonic Youth si assesteranno su un livello mai basso, ma forse mai più così alto e definitivo come invece era accaduto nei loro anni ’80, divenendo band promotrice di nuove idee, influenzando gente disparata e interessante come le primissime Hole, quelle del sinistro Pretty on the inside, i My Bloody Valentine, e persino i Marlene Kuntz, che non a caso avevano intitolato un loro pezzo Sonica. Ci saranno anche ottimi dischi da solista da parte dei membri della band, e la chiusura dei Sonic Youth giunta col divorzio tra Thurston Moore e Kim Gordon avvenuto nel 2011. Ma l’eterna giovinezza sonica resta, a colpi di feedback e frastuoni, dove la curiosità di esplorare è instancabile, e l’accordatura un dettaglio da non rispettare.

 

I Sonic Youth potevano permettersi solo chitarre a buon mercato, e ovviamente queste sembravano tali. Ma con strane accordature e qualcosa di particolare inceppato sotto i tasti, quegli umili strumenti suonavano in modo del tutto sorprendente. Battere un bastone di tamburo su una di queste chitarre e girare l’amplificatore all’interno di un pollice, e queste suonavano come delle campane in chiesa
(Michael Azzerad)

Settembre 2018: Sonic Youth – DAYDREAM NATION (1988)ultima modifica: 2018-09-10T09:25:01+02:00da pierrovox

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