Febbraio 2020: Edoardo Bennato – LA TORRE DI BABELE (1976)

La torre di Babele

 

Data di pubblicazione: 1976
Registrato a: Ricordi Studio (Milano)
Produttore: Sandro Colombini & Edoardo Bennato
Formazione: Edoardo Bennato (voce, chitarra, armonica, kazoo), Tony Esposito (percussioni), Eugenio Bennato (plettri), Roberto Ciotti (chitarra dobro), Francesco Bruno (chitarra), Stefano Sabatini (pianoforte), Gigi De Rienzo (basso), Sandro Lorenzetti (batteria), David Walter (batteria), Robert Fix (sassofono), Lucio Fabbri (violino), Patrizia Lopez (cori)

 

Lato A

 

                        La torre di Babele
                        Venderò
                        EAA
                        Franz è il mio nome
                        Ma chi è?

 

Lato B

 

                        Viva la guerra
                        Cantautore
                        Quante brave persone
                        Fandango
                        Cantautore “ma non è giusto”

 

Sono solo canzonette

Così le definiva, e così si intitolava uno dei suoi album più celebri, ma il potere delle “canzonette” è qualcosa che ha decisamente rivoluzionato la cultura del Novecento da divenire una delle espressioni portanti della cultura popolare di qualsiasi paese. In genere con questo termine si identifica quella specie di melodia semplice, un tantino banalotta, fatta a posta per intrattenere il popolo nei suoi momenti di spensieratezza. C’è di certo una parte di verità, ma la canzonetta, oltre a saper intrattenere, riesce a veicolare dei messaggi importantissimi. E questo lo sapeva bene Edoardo Bennato, una delle voce eminenti del folk “da combattimento” della scena partenopea degli anni ’70. La sua arte, popolana e nello stesso tempo aperta alla contaminazione delle spinte della modernità, è l’espressione più sincera e autentica dell’incontro delle melodie del Belpaese con le istanze del rock, divenendo, assieme a Vasco Rossi, Rino Gaetano e Ivan Graziani, una delle voci più espressive di una nuova forma di cantautorato, che non vuole solo fermarsi all’aspetto squisitamente poetico, ma vuole imbracciare nuovi modi, nuovi suoni, nuove peculiarità, del tutto inedite in Italia.
I primi passi Edoardo li muove negli anni ’60, dove si fa decisamente le ossa, trasferendosi da Napoli a Milano, dove viene in contatto con la Ricordi di Vincenzo Micocci. Quest’ultimo poi fonderà un’etichetta personale, la Parade, e Bennato sarà uno dei primi ad essere messo sotto contratto. Micocci cerca di spingere alcune delle prime canzoni del promettente cantautore napoletano, presentandole dapprima a Bobby Solo, e poi convincendo il giovane Edoardo ad esprimersi in prima persona. Tutta una serie di avvicendamenti lo portano in contatto con Mauro Pagani, e poi con Mogol e Battisti, che lo mettono sotto contratto della loro Numero 1. I primi singoli comunque stentano a decollare, e così Sandro Colombini, che si propone come suo produttore, lo convince a tornare alla Ricordi.
I tempi sono maturi, e nel 1973 Edoardo Bennato incide e pubblica il suo primo lp, Non farti cadere le braccia, forte di un’esperienza importante vissuta dal suo autore a Londra, dove incontra nuovi modi di fare musica. L’album ha una forte personalità sperimentale, anche se ancora piuttosto passatista. Ma è solo il trampolino di lancio per tutta una serie di grandissimi capolavori che da lì in poi Edoardo Bennato infilerà uno dietro l’altro, a cominciare da I buoni e i cattivi pubblicato l’anno successivo, Io che non sono l’imperatore, con tanto di copertina rappresentante il progetto (mai realizzato) della rete metropolitana di Napoli, La torre di Babele e Burattino senza fili. Veramente difficile scegliere tra questi l’album che possa rappresentarlo, e nello stesso tempo possa rappresentare quel movimento musicale all’epoca in fermento nel rock italiano. Ci orientiamo verso la varietà stilistica de La torre di Babele, indiscutibilmente uno dei suoi dischi più belli, assieme a quelli già citati.
L’album si apre col forsennato folk-rock della title-track (il cui significato è ben rappresentato dal disegno di copertina realizzato dallo stesso Bennato), dove si decantano le imprese umane, dalle antiche civiltà alle conquiste spaziali. Un brano che possiede pure una sinistra carica ironica, e non a caso Marco Risi l’ha scelto come didascalia sonora per le immagini di Torre Annunziata nel suo film Fortapàsc dedicato a Giancarlo Siani, mettendo in risalto le brutture della camorra in netto contrasto con le parole del pezzo. Segue la bellissima ballata folk di Venderò, scritta da Eugenio Bennato, suo fratello, dove si decanta il benessere umano e spirituale, anche condito dalla stessa carica ironica, dove si stigmatizza la vendita della libertà per una manciata di accomodante benessere. EAA invece è un meraviglioso boogy supersonico che narra le vicende di un mezzo di trasporto impazzito che finisce giù per un burrone, un po’ come La locomotiva per Francesco Guccini. Si giunge così alle profondità emotive della bellissima ballata anticapitalistica di Franz è il mio nome, dove si denunciano le illusioni della società dei consumi, denominata come Paese dei balocchi. Questa sarebbe Berlino Ovest. Una canzone che ha fatto molto discutere dopo la caduta del muro, ma a ragion veduta la sua invettiva anticapitalistica è ancora molto attuale. Chiude il primo lato uno schizzo di follia chiamato Ma chi è? Sonorità che fanno pensare al Rock di Canterbury, eppure si avvertono meravigliosi gli echi dei vicoli napoletani, i suoi rumori, i suoi richiami.
Il secondo lato è aperto dalla sarcastica ballata pianistica Viva la guerra, in cui ci si fa sberleffo della follia delle armi, della “sacralità” della guerra, di cui oggi si avverte tragicamente l’attualità. Segue il folk tenue, che impazzisce col crescendo, di Cantautore, ottenuto da una registrazione live, e nella quale Bennato esprime tutta l’assurdità della vita delle celebrità con un sarcasmo sferzate e autoironico. Quante brave persone offre un saggio di blues partenopeo. Prima della chiusura affidata al reprise di Cantautore, c’è spazio per Fandango, che tra tango e folk offre un delizioso esperimento del tutto originale, bizzarro, a tratti persino surreale.
La torre di Babele è la sarcastica celebrazione del caos che ci circonda, dell’assoluta mancanza di senso delle ambizioni umane e delle sue esigenze. Tutti sono sotto accusa: da sé stessi alle celebrità, senza risparmiare nessuno. Un disco forse anche un tantino sottovaluto, forse perché gli seguì un capolavoro incredibile come Burattino senza fili, che vantava la presenza di un evergreen come Il gatto e la volpe, ma La torre di Babele vanta, rispetto a quest’ultimo un’attualità ancora molto forte, iconica.
La storia di Bennato proseguirà con dischi gli permetteranno di ottenere un successo straordinario, tanto da diventare il primo cantautore italiano a raccogliere sessantamila persone allo Stadio San Siro il 19 luglio 1980, ma via via la qualità dei suoi dischi comincia a scendere, nonostante la grande popolarità che lo porterà a comporre l’inno dei Mondiali di Calcio di Italia ’90 con Gianna Nannini. Il tempo riserverà purtroppo anche tristi vicende personali, come la morte della sua compagna in un incidente stradale nel gennaio del 1995 in Romagna, che segnerà profondamente l’animo di Bennato. Ciò non toglie però che il suo personale contributo alla storia della canzone italiana abbia lasciato segnali importantissimi, che non fatichiamo a definire storici.

Febbraio 2020: Edoardo Bennato – LA TORRE DI BABELE (1976)ultima modifica: 2020-02-17T09:20:39+01:00da pierrovox

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