Il ritorno di Mussolini

Benito Mussolini. Il coraggio del Ricordo. – Il blog di Nino Spirlì

In cima alla top ten dei libri più venduti questa settimana c’è M. Gli ultimi giorni dell’Europa, terzo capitolo della saga dedicata al Duce. Che un personaggio di tal fatta continui a suscitare interesse nei nostalgici del Ventennio, come pure nei suoi detrattori, mi fa specie e non riesco ad ascriverlo alla prosa eccellente di Antonio Scurati. C’è solo da augurarsi che dietro al successo della trilogia M. vi sia il bisogno di capire meglio un periodo storico che, seppur conclusosi quasi un secolo fa, continua a incombere sinistro anche se più nella forma di speculazioni dialettiche.  Tuttavia, a ben guardare, è un bene che se ne parli ancora purché lo si faccia nell’ottica di un Pessoa che del fascismo disse: “Non è azione né reazione bensì mera brutalità partitica, i muscoli di una mezza idea diventata epilettica“.

Dall’incipit:

Li uccido e salvo milioni di vite oppure non li uccido e salvo la mia?

Questo il menu del secolo. Morire, essere ammazzati, scannati, scuoiati, farciti per il banchetto degli dei pestilenziali, quella è un’ovvietà. Uccidere, però, è ben altra cosa. Uccidere o non uccidere, il dilemma è tutto qui.

L’attesa è stata lunga, spossante, settimane di fantasticherie e impotenza. Lui è soltanto un professore – un archeologo, uno studioso di arte antica, bassorilievi romani e sarcofagi etruschi – che l’ottusità di burocrati ministeriali ha catapultato dalla sua cattedra dell’Università di Pisa sulla ribalta della storia. E per far cosa, poi? La guida turistica ai carnefici in visita di Stato.

Per settimane si è tormentato. Foderarsi di esplosivo (ma chi glielo dava l’esplosivo)? Affidarsi alla vibrazione sicura delle armi da taglio (ma chi glielo dava il coraggio di squarciare una gola)? Indicare a un complice il punto esatto in cui l’auto presidenziale avrebbe, su sua indicazione, rallentato e abbassato i finestrini per ammirare un palazzo o un panorama? Ma complici non ne aveva.

Ha perfino fatto le prove, il professore. È uscito di casa a orari improbabili per scoprire se era sorvegliato. Nulla. Si è mostrato in pubblico con notori antifascisti, persino a piazza Venezia e nelle trattorie vicine, per accertare l’eventuale controllo di polizia. Niente di niente. Tutto sarebbe stato possibile. Possibile e inverosimile.

Ora, però, la vigilia è finita“.

Antonio Scurati, M. Gli ultimi giorni dell’Europa

Mussolini e Hitler non fanno ridere

Mussolini e Hitler. Due dittatori a confronto (2). Il famoso incontro di Roma del maggio 1938 - Ponza Racconta

In occasione dell’uscita del terzo volume di M., Antonio Scurati, intervistato da Luca Mastrantonio, ha espresso un punto di vista controcorrente e per questo degno di nota.

Luca Mastrantonio: “Mi ha colpito la fine di Angelo Fortunato Formìggini, un intellettuale ebreo, editore di testi comici, che si getta dalla torre della Ghirlandina a Modena. Di fronte alla tragedia la comicità si suicida. Non è possibile riderne“.

Antonio Scurati: “Premetto di non condividere quanti dicono che si debba arretrare di fronte alla rappresentazione dell’ineffabile, del male assoluto, qui Hitler. Ammetto però una mia idiosincrasia verso la comicità applicata ai dittatori e ai loro crimini. Per me anche Il grande dittatore di Chaplin, nonostante l’evidente genialità, ha avuto conseguenze nefaste: rappresentare Mussolini come personaggio comico o buffo, per esempio, ha dato luogo a un grande equivoco in ambienti anglo-americani riguardo il Duce e il fascismo, che sono stati sottovalutati”.

L. M.: “Non crede alla virtù salvifiche dell’ironia?

A. S.: “Non fermi i dittatori, i carri armati o le camere a gas con l’ironia! Prendo a prestito una frase di Godard che indicò come suo grande rimpianto non aver potuto impedire a Spielberg di realizzare Schindler’s List. Ecco, direi che se avessi potuto impedire a Roberto Benigni di girare La vita è bella, l’avrei fatto e sarei stato felice”.

È una castroneria storica quella che autorizza a ridere di tutto per sdrammatizzare. Il dramma, e ancor meno la tragedia che per sua natura chiude a ogni speranza, nulla condividono con la risata, e per dirla tutta neppure con il sorriso. A meno che non sia amaro.

Sul Mussolini che dopo il sesso pensava al cappello (e su chi gli somiglia)

MEMORABILE La mia vita. Diario di guerra di Benito Mussolini - Ferraraitalia.it - Quotidiano glocal indipendente

A fronte di un successo immenso, M. Il figlio del secolo, con cui Antonio Scurati ha vinto lo Strega nel 2019, diventerà uno spettacolo teatrale che certamente non deluderà chi il libro l’ha letto, e neppure lo spettatore che se ne accosti a digiuno. Ora, sulla valenza letteraria di Scurati c’è poco da dire: il suo Mussolini, solo per restare al libro in oggetto, surclassa quella pantomima di romanzo che anche Vespa ha dedicato al Duce, ma qui riporto l’onestà con cui Scurati ha affrontato l’argomento maschio contemporaneo, in un’intervista di Antonio Carioti e Laura Zangarini per il Corriere. Cito:

“Uno degli aspetti di M. che si riverberano sulla nostra sensibilità odierna è che, se noi maschi siamo onesti con noi stessi, leggiamo in noi residui di quel machismo, di quel maschilismo, della misoginia soggiacente a quel modo di pensare – un misto di paura, terrore e odio nei confronti del sesso femminile. Se noi maschi, dicevo, siamo onesti e guardiamo dentro noi stessi, nel nostro abisso, quelle parole, le parole del fascismo, le sentiamo riecheggiare. (…) Cito sempre un appunto di Mussolini, uno dei pochissimi testi privati che il Duce lasciò, a fronte di numerosi volumi pubblici di scritti e discorsi, nel quale dice: “Nessuna donna potrà mai dirsi soddisfatta dall’intimità con il sottoscritto“, e con intimità intendeva quella sessuale, “perché pochi istanti dopo averla goduta, io vengo irresistibilmente attratto dall’immagine del mio cappello“. All’epoca tutti gli uomini indossavano il cappello: evocarlo in questo modo, esprime la pulsione a indossarlo e andarsene. (…) Oggi, per la nostra sensibilità, questa dichiarazione è quasi una professione di impotenza; per la mentalità dell’epoca invece era un pronunciamento di virilità, perché anche nell’atto sessuale il maschio guardava sempre e solo al proprio piacere, non prendendo minimamente in considerazione – non volendo nemmeno riconoscere, ammettere, l’esistenza di una sessualità femminile con i relativi piaceri, disgusti, dinamiche. Quindi molto è cambiato. Nessuno di noi oggi direbbe pubblicamente una cosa del genere. Se ascoltiamo però la voce del profondo, quella mentalità misogina la sentiamo riecheggiare – tra i più onesti – in noi. C’è ancora molta strada da fare. E, senza voler fare lo psichiatra d’accatto, nelle centinaia di omicidi di donne che si consumano ogni anno sono sicuro che è quella stessa voce, o qualcosa di assonante, che parla”.

E già me li immagino, tanti maschietti, scambiarsi cauti cenni d’intesa, mossi da quel degradante retaggio culturale di cui sopra.