La poesia ai tempi del coronavirus

   Le anime affini sono tali anche in tempi di coronavirus; ad esempio, quelle poco avvezze a una pluralità di esternazioni (canti e balli sul balcone con o senza sventolamento del tricolore, solo per citare le dinamiche liberatorie più folkloristiche) trovano nei toni mesti e nella lettura la dimensione più congeniale per fronteggiare la paura del presente e, diciamocelo, della morte. Non è un caso, quindi, che un’amica, in una pausa da divinazione del futuro, mi abbia girato questa poesia. Aggiungendo che, in ossequio alla nostra originaria attitudine, torneremo presto a costruire metafore indovinando la forma delle nuvole.

 E la gente rimase a casa
e lesse libri e ascoltò
e si riposò e fece esercizi
e fece arte e giocò
e imparò nuovi modi di essere
e si fermò
e ascoltò più in profondità
qualcuno meditava
qualcuno pregava
qualcuno ballava
qualcuno incontrò la propria ombra
e la gente cominciò a pensare in modo differente
e la gente guarì.

E nell’assenza di gente che viveva
in modi ignoranti
pericolosi
senza senso e senza cuore,
anche la terra cominciò a guarire
e quando il pericolo finì
e la gente si ritrovò
si addolorarono per i morti
e fecero nuove scelte
e sognarono nuove visioni
e crearono nuovi modi di vivere
e guarirono completamente la terra
così come erano guariti loro.

Kathleen O’Meara