Contagi letterari tra colera cinese, peste e armi batteriologiche

   La letteratura è ricca di romanzi che si sono occupati di contagi e affini, e non solo in relazione a realtà distopiche. Stephen King, ad esempio, ne L’ombra dello scorpione, immagina un virus che, creato come arma batteriologica, sfugge al controllo. E scrive: “D’altronde, in tutte le città c’era una mucchio di gente che starnutiva e si soffiava il naso. I germi del raffreddore sono gente socievole, pensò. Ci tengono a dividersi il malloppo”.

   Ma come dimenticare il colera cinese presente ne Il velo dipinto di Somerset Maugham? Kitty, la protagonista, quasi in sfida al destino mangia verdura cruda nel luogo più infetto del mondo:”Cominciò a mangiarla, spinta da non sapeva che impeto di baldanza. Guardò Walter con occhi beffardi. Le parve che impallidisse un poco, ma quando l’insalata gli fu porta si servì. Il cuoco, visto che non la rifiutavano, ne mandava in tavola ogni giorno, e ogni giorno, vezzeggiando la morte, loro ne mangiavano. Era grottesco correre un simile rischio. Per Kitty, terrorizzata dalla malattia, era non solo una maligna vendetta su Walter, ma un modo di farsi beffe dei propri disperati timori”.

   In questi giorni di coronavirus, molti hanno ricordato La peste di Albert Camus. In rete sono presenti varie pagine. Una per tutte:

   “L’uomo onesto, colui che non infetta quasi nessuno, è colui che ha distrazioni il meno possibile. E ce ne vuole di volontà e di tensione per non essere mai distratti; sì, Rieux, essere appestati è molto faticoso; ma è ancora più faticoso non volerlo essere. Per questo tutti appaiono stanchi: stanchi: tutti, oggi, si trovano un po’ appestati. Ma per questo alcuni che vogliono finire di esserlo, conoscono un culmine di stanchezza, di cui niente li libererà, se non la morte. […] Di qui, so che io non valgo più nulla per questo mondo in se stesso, e che dal momento in cui ho rinunciato a uccidere mi sono condannato a un definitivo esilio. Saranno gli altri a fare la storia. So, inoltre, che non posso apparentemente giudicare questi altri; mi manca una qualità per essere un assassino ragionevole; non è quindi
una superiorità. Ma ora, acconsento a essere quel che sono, ho imparato la modestia. Dico soltanto che ci sono sulla terra flagelli e vittime, e che bisogna, per quanto è possibile, rifiutarsi di essere col flagello. Ho sentito tanti ragionamenti da farmi girar la testa e che hanno fatto girare abbastanza altre teste da farle consentire all’assassinio, che ho capito come tutte le disgrazie degli uomini derivino dal non tenere un linguaggio chiaro. Allora ho preso il partito di agire chiaramente, per mettermi sulla buona strada. Di conseguenza, ho detto che ci sono flagelli e vittime, e nient’altro. Se, dicendo questo, divento flagello io stesso, almeno non lo è col mio consenso. Cerco di essere un assassino innocente; lei vede che non è una grande ambizione”.