BALLATA

 

La ragazza che mi ruba il sonno

JOSEP PALAU I FABRE

BALLATA

La ragazza che mi ruba il sonno
aveva occhi scuri, molto scuri.
Al tramontare del sole
diventavano anche più scuri.

La ragazza che mi ruba il cuore
ha le mani bianche, molto bianche.
Tutto in me si mutava in oro
se mi toccava con le mani bianche.

La ragazza che si è presa tutto
ha un segreto nel suo intimo,
per questo veglio sul mio sonno
e medito alte lune.

(da Poesie dell’alchimista, 1943)

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Della ballata tradizionale questa poesia di Josep Palau i Fabre conserva alcune peculiarità: la ripetizione innanzitutto, il brusco salto temporale e quel tono popolare di fondo. Il poeta catalano la adatta alla sua ricerca alchemica dell’amore e della poesia.

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ILLUSTRAZIONE DI CHRISTIAN SCHLOE

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MI SVESTO MI VESTO

Mi svesto mi vesto

SARAH KIRSCH

CHICCHI NERI

Il pomeriggio prendo un libro in mano
il pomeriggio metto via un libro
il pomeriggio ricordo che c’è guerra
il pomeriggio dimentico ogni guerra
il pomeriggio macino il caffè
il pomeriggio ricompongo
il caffè macinato
a ritroso bei
chicchi neri
il pomeriggio mi svesto mi vesto
prima mi trucco poi mi lavo
canto sto muta.

(da Incantesimi, 1973)

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Cominciamo subito con il dire che ho scelto questa poesia perché bene si attaglia ai tempi del coronavirus: è un’impietosa fotografia delle vite di molti di noi, stravolte dalla forzata presenza a casa. Ma c’è ben altro nei versi della poetessa tedesca Sarah Kirsch, c’è una sottile noia, una paziente sofferenza di vivere che trova nei gesti della quotidianità una specie di conforto, “scomponendo il mondo in variopinte tessere emotive”, come nota Michele Sisto.

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FELICE CASORATI, “RITRATTO DI SIGNORA”
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Un grande lutto

libri
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CI HA LASCIATO LUIS SEPULVEDA!

Il celebre scrittore cileno è scomparso a 70 anni a causa del Coronavirus. Con romanzi come “Il mondo alla fine del mondo” e favole come “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” ha fatto sognare i lettori: “Vola solo chi osa farlo”

“La felicità è un diritto umano”

Insieme alla libertà, tra i diritti degli uomini c’è la necessità di essere felici. “La felicità è un diritto umano – spiega sempre in un’intervista lo scrittore -. Allo stesso modo in cui ho combattuto, più che per l’idea di libertà, per non dimenticare che sono un uomo libero: quando difendo il diritto alla felicità, lo faccio per non dimenticare che io sono stato e sono immensamente felice”.

ALLA SIGNORINA P.

I cannoni delle indolenze

GUILLAUME APOLLINAIRE
RICONOSCENZA
Alla signorina P.

Una sola betulla crepuscolare
Impallidisce sulla soglia dell’orizzonte
Dove fugge la misura angolare
Dal cuore all’anima e alla ragione

Il galoppo azzurro delle ricordanze

Attraversa i lillà degli occhi

E i cannoni delle indolenze

Sparano i miei sogni verso
i
cieli

(da Calligrammi, 1918 – Traduzione di Sergio Zoppi)

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Su un treno che lo riporta al reggimento a Nîmes il 2 gennaio 1915, il poeta francese Guillaume Apollinaire incontra una ragazza algerina, di Orano, Madeleine Pagès, in viaggio tra Nizza e Marsiglia: ne nasce un breve amore che sfocerà in una promessa di matrimonio mai mantenuta. Ma in quella primavera del 1915 l’animo di Apollinaire è innamorato e sereno nonostante si trovi nei pressi del fronte ed esprime così, con i suoi versi che precorrono il surrealismo, la poesia di un paesaggio che sa ispirare sogni e ricordi.

.Austin

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ACQUARELLO DI BRIDGET AUSTIN
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Pasqua – Ada Negri

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E con un ramo di mandorlo in fiore,
a le finestre batto e dico: «Aprite!
Cristo è risorto e germinan le vite
nuove e ritorna con l’april  l’amore
Amatevi tra voi pei dolci e belli
sogni ch’oggi fioriscon sulla terra,
uomini della penna e della guerra,
uomini della vanga e dei martelli.
Aprite i cuori. In essi irrompa intera
di questo dì l’eterna giovinezza ».
lo passo e canto che la vita è bellezza.
Passa e canta con me la primavera.

CORONAVIRUS

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Che cos’è che in aria vola?
C’è qualcosa che non so?
Come mai non si va a scuola?
Ora ne parliamo un po’.

Virus porta la corona,
ma di certo non è un re,
e nemmeno una persona:
ma allora, che cos’è?

È un tipaccio piccolino,
così piccolo che proprio,
per vederlo da vicino,
devi avere il microscopio.

È un tipetto velenoso,
che mai fermo se ne sta:
invadente e dispettoso,
vuol andarsene qua e là.

È invisibile e leggero
e, pericolosamente,
microscopico guerriero,
vuole entrare nella gente.

Ma la gente siamo noi,
io, te, e tutte le persone:
ma io posso, e anche tu puoi,
lasciar fuori quel briccone.

Se ti scappa uno starnuto,
starnutisci nel tuo braccio:
stoppa il volo di quel bruto:
tu lo fai, e anch’io lo faccio.

Quando esci, appena torni,
va’ a lavare le tue mani:
ogni volta, tutti i giorni,
non solo oggi, anche domani.

Lava con acqua e sapone,
lava a lungo, e con cura,
e così, se c’è, il birbone
va giù con la sciacquatura.

Non toccare, con le dita,
la tua bocca, il naso, gli occhi:
non che sia cosa proibita,
però è meglio che non tocchi.

Quando incontri della gente,
rimanete un po’ lontani:
si può stare allegramente
senza stringersi le mani.

Baci e abbracci? Non li dare:
finché è in giro quel tipaccio,
è prudente rimandare
ogni bacio e ogni abbraccio.

C’è qualcuno mascherato,
ma non è per Carnevale,
e non è un bandito armato
che ti vuol fare del male.

È una maschera gentile
per filtrare il suo respiro:
perché quel tipaccio vile
se ne vada meno in giro.

E fin quando quel tipaccio
se ne va, dannoso, in giro,
caro amico, sai che faccio?
io in casa mi ritiro.

È un’idea straordinaria,
dato che è chiusa la scuola,
fino a che, fuori, nell’aria,
quel tipaccio gira e vola.

E gli amici, e i parenti?
Anche in casa, stando fermo,
tu li vedi e li senti:
state insieme sullo schermo.

Chi si vuole bene, può
mantenere una distanza:
baci e abbracci adesso no,
ma parole in abbondanza.

Le parole sono doni,
sono semi da mandare,
perché sono semi buoni,
a chi noi vogliamo amare.

Io, tu, e tutta la gente,
con prudenza e attenzione,
batteremo certamente
l’antipatico birbone.

E magari, quando avremo
superato questa prova,
tutti insieme impareremo
una vita saggia e nuova.

(Roberto Piumini)

Ipotesi su Barabba

Cosa ne è stato di Barabba

ZBIGNIEW HERBERT

IPOTESI SU BARABBA

Cosa ne è stato di Barabba. Ho chiesto nessuno lo sa
Libero da catene uscì sulla bianca via
poteva svoltare a destra proseguire dritto svoltare a sinistra
girare in cerchio erompere in un canto di festa come un gallo
Egli Imperatore delle proprie mani della propria testa
Egli Governatore del proprio respiro

Lo chiedo perché in certo modo ho preso parte all’affare
Attratto dalla folla davanti al palazzo di Pilato gridavo
così come gli altri libera Barabba Barabba
Acclamavano tutti se io solo avessi taciuto
sarebbe accaduto esattamente quello che doveva accadere

E forse Barabba è tornato alla sua banda
Sulle montagne uccide rapido saccheggia per bene
Oppure ha messo su un negozio, fa ceramiche
e monda nell’argilla della creazione
le mani macchiate dal delitto
È portatore d’acqua mulattiere usuraio
proprietario di navi – su di una Paolo faceva vela per Corinto

oppure – cosa non da escludersi
è diventato una spia preziosa al soldo dei Romani

Guardate e ammirate il gioco da vertigine del destino
su possibilità potenze sorriso della fortuna

E il Nazareno
è rimasto solo
senza alternativa
con uno scosceso
sentiero
di sangue.

(da Elegia per l’addio, 1990 – traduzione di Valeria Rossella)

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Il poeta polacco Zbigniew Herbert nelle sue poesie ama presentare i protagonisti da una prospettiva intellettuale che mette in risalto la dignità degli esseri umani, rappresentandoli come inconsapevoli ingranaggi della macchina del destino: è il caso del Barabba raffigurato in questa “Ipotesi”, che ho scelto come personaggio sotto la lente della poesia in questo Venerdì Santo: «Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta. Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba. Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: “Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?”» (Mt, 27,15-17).
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ANTONIO CISERI, “ECCE HOMO”

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LA FRASE DEL GIORNO
Accettare / ma al tempo stesso / distinguere dentro di sé / e possibilmente / trasformare la materia della sofferenza / in qualcosa o qualcuno.
ZBIGNIEW HERBERT, Rapporto dalla città assediata

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