Sabato pomeriggio, da buon italiano medio, propongo alla mia compagna di andare a mangiare una pizza in qualche locale della zona.
Proposta accolta quasi con entusiasmo, ma si in fondo una pizza è sempre una pizza.
Inizia la cernita dei locali, perché abbiamo deciso per una volta di abbandonare il solito locale.
Io propongo un posto, lei un altro.
Il mio è figo, giovanile, forse anche caotico, e ovviamente con una vasta scelta di birre.
Il suo non è figo, è signorile, forse anche un poco elegante anche se di un’eleganza datata.
Capisco che il mio locale non la intriga minimamente per cui chiamo nel suo, il telefono è occupato, riprovo ed è ancora occupato, riprovo per l’ennesima volta ma niente, continuo a ricevere il segnale di occupato.
Sono pronto a comporre il numero del mio locale, ma in un momento di sano altruismo o masochismo ricompongo il numero del suo locale, è libero, mi risponde Alice e prenoto il nostro tavolo per le 21.00.
Arriviamo nel suo locale, ci fanno accomodare nella saletta pizzeria, l’arredo, tavoli e sedie, è più alla moda di quanto non sia quello della sala ristorante, mentre la controsoffittatura è invece tipicamente anni 70, ricorda parecchio la sala bar delle navi della tirrenia, ma in fin dei conti la cosa importante è che la pizza sia buona.
La sala è deserta e silenziosa, solo un’altra coppia occupa un tavolo centrale, noi invece ci defiliamo e iniziamo a studiare il menù.
Non so perché ma nonostante i menù delle pizzerie siano tutti abbastanza simili ogni volta mi ci perdo per poi salvarmi con una delle mie solite tre pizze, questa volta pomodorini freschi e bufala, lei, la mia compagna, pivella, pischella, squinzia opta per la solita ortolana.
Io ordino anche una birra al frumento da 50 cl, mi viene inizialmente proposta con un banalissimo bicchiere da pizzeria, alla mia richiesta di poter avere un bicchiere da birra mi portano un bicchiere da birra alla spina da 25 cl.
I miei gioielli iniziano a friggere, ma a sollevare la fiamma ci pensa un cameriere che entra in sala, che ormai conta anche altri clienti, e accende la musica, musica… reggaeton.
Inizialmente ci scherzo su, speravo fosse un brano, due brani tre brani, e invece no per oltre 90 minuti mi hanno tartassato orecchie (e palle) con questo ritmo musicale che secondo me non può mai essere un piacevole sottofondo per chi mangia e spera di poter scambiare due parole coi commensali.
Terminato di mangiare le pizze e passati i primi 90 minuti sono iniziati anche i tempi supplementari, anche se in realtà il reggae ton aveva abbondantemente vinto contro di me.
Ormai i gioielli di famiglia sono praticamente carbonizzati.
Aspettiamo 5, 10, 20 minuti che qualcuno si avvicini al tavolo per chiedere se gradiamo un dolce o anche solo un caffe e un digestivo ma niente, dimenticati da tutto e da tutti.
Mi alzo, vado alla cassa, pago e chiudo la porta alle mie spalle con le palle rotte, l’umore di merda e la compagna incazzata nera col sottoscritto perchè convinta che tutto nascesse dal fatto che non siamo andati nel mio locale figo, giovanile, forse anche caotico, e ovviamente con una vasta scelta di birre…