Recensione “La perfezione non è di questo mondo” di Daniela Mattalia

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Nulla è perfetto, anche se la patina d’oro che riveste le cose ci abbaglia e sembra dire altro. Figuriamoci quante imperfezioni caratterizzano il mondo in cui viviamo, variopinto di sensazioni e persone stravaganti, le une diverse dalle altre. Un mondo dove possono coesistere le persone fatte di carne e ossa e i fantasmi, che si aggirano indisturbati nei reparti degli ospedali, oppure un mondo dove un cane può, con la sue semplice esuberanza, farti incontrare qualcuno che non ti aspettavi.

È quello che succede ai personaggi di questo sorprendente romanzo; “La perfezione non è di questo mondo” di Daniela Mattalia, edito Feltrinelli.
Sono quattro le vite, i micromondi, che ci permettono di costatare quanto tutto sia relativo e importante allo stesso tempo, come le diversità sono spesso i poli di una calamita che si attraggano. Infatti, cosa avranno da spartire un ex professore di filosofia, Adriano, da poco vedovo che pur vede ancora il fantasma della moglie nelle corsie di un ospedale, e Fausto, giovane illustratore impigliato in un vita apparentemente perfetta, ma restando a galla come un pesce in difficoltà? E cosa potranno mai dirsi nelle loro conversazioni del sabato Olga, anziana ex infermiera dalla vita impeccabile e Gemma, libraia di ventinove anni in cerca di solide risposte e alla prese con una madre che lei reputa troppo ingenua per difendersi da sola?Lo so, la risposta potrebbe essere “nulla”. Ma così non è, e ciò rende questo romanzo così particolare, rende i suoi personaggi comuni ma avvolti in una luce particolare, perché sono lì nel posto giusto al momento giusto. Un po’ come Ernesto, che in questo romanzo sembra solo una comparsa, ma saprà dare una chiave di lettura particolare.

” […] Allora, vuol sapere le cose che fanno male?”
” […] Le cose che fanno male? Lo sanno tutti. Le sigarette, troppi dolci, troppi grassi, troppo alcool, stare sempre seduti.”
“Sbagliato. Fa male vivere in modo impeccabile.”
(Ernesto a Olga)

Un romanzo leggero, che si legge in poche ora, ma non banale. Le vite qui racchiuse di respirano con l’aria e ci rimangono dentro, a riscaldarci il cuore e a far spuntare un sorriso sulle labbra.
Una scia di inchiostro e sentimenti autentici ma mai perfetti, ma proprio per questo, importanti.

Buona lettura.

 

 

Recensione del libro “Misery” di Stephen King

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Uno scrittore. Un’ex infermiera. Un’eroina di libri rosa. Cosa mai possono avere in comune tra loro? È può mai un personaggio di fantasia condizionare e scandire le vite delle persone nella vita reale? Stephen King pensa di sì e la sua personale visione è riversata nell’ormai capolavoro di “Misery”.
Il re dell’horror ci porta a scoprire cosa si nasconde dietro ad una pagina scritta, ad un pensiero distorto e ci mostra come la finzione possa condizione la realtà meglio dei fatti veri in questo libro che nasce da un fatto vero, anche se non così drammatico: lo scrittore infatti subì un incidente stradale che lo gli diede lo spunto per questo capolavoro.

Il protagonista è Paul Sheldon, affermato scrittore statunitense che deve la sua fama alla saga sentimentale di “Misery”dove si narrano le vicende amorose di una donna dell’ottocento. Nonostante debba a questi libri il suo successo, Sheldon odia profondamente la sua stessa eroina, ritenendola la causa del suo mancato affermarsi tra gli scrittori che contano.

“Lui era Paul Sheldon e scriveva romanzi di due tipi, quelli che contano e i bestseller.”

Per questo decide di farla fuori nel suo ultimo romanzo, così da potersi dedicare ad un nuovo progetto, migliore di quella donnicciola che tiene incollate ai suoi lavori una buona fetta della popolazione femminile. Ma Paul sheldon non ha fatto conto con il destino che nel suo caso ha le sembianze dell’ex infermiera Annie Wilkes, donnona amante della saga di Misery che vive al di fuori del mondo, odiando e odiata da tutti. Sarà lei a trarlo in salvo quando Sheldon subisce un violento incidente stradale e sarà sempre lei a tenerlo prigioniero per farne un suo scrittore personale, facendosi paladina di una personale concezione di volontà di Dio.

Tra le pagine di Misery il lettore assiste inerme a quelli che sono i risultati di una mente deviata, si addentra nelle paure create dalla reclusione e la forzatura, si avvicina con il protagonista alla consapevolezza che un libro può salvare la vita. Perché Paul Sheldon alla fine dovrà resuscitare la sua odiatissima eroina se vuole sopravvivere, attingendo alle qualità che hanno fatto di lui un grande scrittore.

“Perché gli scrittori ricordano tutto, Paul. Specialmente quello che fa male. Denuda uno scrittore, indicagli tutte le sue cicatrici e saprà raccontarti la storia di ciascuna di esse, anche della più piccola. E dalle più grandi avrai romanzi, non amnesie. Un briciolo di talento è un buon sostegno, se si vuol diventare scrittori, ma l’unico autentico requisito è la capacità di ricordare la storia di ciascuna cicatrice.
L’arte consiste nella perseveranza del ricordo.”

Un romanzo che ti lascia con il fiato sospeso fino alle ultime pagine, uno dei tanti ma mai scontati capolavori dei Stephen King.

E allora, cosa aspettate? Misery vi aspetta.

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Recensione “La vita e così sia”- Giuseppe Zanzarelli

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Per trovare un po’ se stessi occorre leggere e leggere poesie. Ne sono da sempre consapevole e la silloge “La vita e così sia”ha confermato ciò.

L’autore è Giuseppe Zanzarelli, poeta e scrittore de Le Mezzelane, che sa sprigionare, attraverso l’inchiostro, parole profonde e significative, istantanee di una vita che ci portiamo dentro, spesso chiusa in gabbie di convenzioni. Ogni poesia ha una storia, un nucleo proprio che racconta i sentimenti e i pensieri.

Troviamo interrogativi esistenziali, che scandiscono il tempo sia dentro l’anima che fuori:

“È forse vita l’attesa senza scopo,
un treno senza sorprese,
una canzone che ti coglie […]”
(È forse vita)

Si percepisce la nostalgia di ciò che ci circonda e non possiamo avere, o che non v’è più:

“Di te ricordo la voce
e qualche sogno, […]
i tuoi occhi,
che mia vidi,
che mai mi videro”
(Di te)

Una silloge di immagini lievi e soffici come nuvole, ma intonse di emozioni forti, che creano eco nell’anima.
Un autore Zanzarelli che sa cogliere gli attimi che ognuno vive sia nell’abbandono che nel ritrovarsi, che cattura un’istantanea della propria vita, fatta dell’arte delle parole e della musica che spesso suona per noi, senza saperlo:

“Mi ritrovo qui, tra i rami del luppolo giovane,
tra i poeti che cantano le stagioni migliori,
tra le note e le strofe del mio maestro […]”
(Occhi dispersi nelle crepe delle strade)

Poesie, dunque, vive che ci germogliano dentro appena la voce le fa rivivere, che pongono domande sul domani e su di noi, disegnando con chiarezza ciò che ci aspetta al di là del presente:

“Si va su una strada ripida e sconnessa,
che da dentro appare lenta,
e nessuno conosce la propria fermata,
magari un dolore procura ansia,
poi passa, si sogna l’eternità […]”
(Si va…)

Poesie, sì, parole, certo, ma non è solo questo. C’è tanta forza in quest’opera, in ogni sua pagina che racconta un po’ dell’autore e un po’ di noi, se saremo così attenti da saper cogliere le similitudini.

Buona lettura.

Recensione Antologia del 2° concorso “La pelle non dimentica”

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La violenza in generale, quella sulle donne nello specifico, è una realtà palpabile, che attanaglia la nostra società. Si può fare molto per fermarla, sopratutto educando le nuove generazioni.

Questa antologia è il risultato del II° Concorso de “La pelle non dimentica“, indetto dalla Casa Editrice Le Mezzelane: una raccolta di racconti e poesie che interpreta questa triste realtà della violenza spesso casalinga contro le donne.

Nelle sue pagine si legge delle difficoltà psicologiche e fisiche che sono alla base delle violenze vere e proprie: ci si addentra nel mondo nascosto del dolore di tante donne che spesso hanno paura di parlare.

La casa editrice Le Mezzelane con questa antologia vuole contrastare questa triste realtà,  attraverso la lettura e la diffusione dell’opera.

Il ricavato sarà devoluto ad Artemisia Centro Antiviolenza: un’associazione fiorentina che offre consultazioni  e sostegno per donne che si trovano in difficoltà.

Recensione “I Malavoglia”- Giovanni Verga

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Chi non storceva il naso davanti alla lezione di letteratura dove si leggevano i passi di libri considerati vecchi e obsoleti? Chi più, chi meno, tutti nel tempo abbiamo snobbato molt
i dei più grandi capolavori della nostra cultura letteraria.
Essendo nella mia fase di “riscoperta” dei classici ho voluto recuperare la mia scarsa conoscenza de “I Malavoglia” di Giovanni Verga… e me ne sono innamorata.
Non ricordavo bene la trama, ma sapevo che avrei avuto a che fare con un racconto di gente semplice che arrancava nella miseria. Così è, infatti.

La storia narra i tentativi di una famiglia siciliana di spezzare la catena della fame e del duro lavoro attraverso nuovi espedienti lavorativi. Padron ‘Ntoni, capostipite della famiglia che tutti conoscono con la “‘ngiuria”, il sopranome, Malavoglia, vede partire a malincuore il nipote più grande, chiamato anche lui ‘Ntoni, per la leva militare: un fatto catastrofico, che toglie braccia al lavoro in mare.

Per me io voglio morire dove son nato […] Ringrazia Dio piuttosto, che t’ha fatto nascer qui; e guardati dall’andare a morire lontano dai sassi che ti conoscono.”
(pardon ‘Ntoni)

Per questo decide di compare dei lupini a credito, dall’usuraio/benefattore del paese, zio Crocifisso che non perde l’occasione di rifilare al vecchio una merce già infiacchita ad un prezzo che gli deve essere restituito con gli interessi.
Il tentativo di cambiare la propria condizione viene brutalmente fermato dall’incidente della piccola imbarcazione di famiglia, “la Provvidenza“, che ha solo il nome di propizio: infatti affonda con i lupini e il figlio di ‘Ntoni, Sebastiano. Da questo momento in poi ogni tentativo di rifarsi, di pagare i debiti, di ripristinare la vecchia condizione si scontra con una barriera eretta da un destino beffardo e capriccioso: il giovane ‘Ntoni si rivela uno sfaticato una volta ritornato dalla leva militare, la nipote Mena vede sacrificare la sua dote e i suoi sogni di matrimonio per il bene della famiglia e gli altri sono vittime a loro volta di un fato poco benigno. Un velo nero e consistente sembra cadere su questa famiglia di pescatori che assiste inerme ad un imperativo costante: non tentare di cambiare la propria sorte.


Alla fine della lettura la mia memoria ha dovuto ripescare il pensiero di Verga che si riassume nel “Ciclo dei vinti“: una serie di storie con una teoria comune, ossia che nessuno può ambire a qualcosa a cui non è destinato, guai a cambiare la propria sorte o solo tentare!
Ovviamente non condivido questo pensiero e anzi ho letto dei protagonisti di questa storia con molta partecipazione: l’autore li descrive nella loro quotidianità che potrebbe essere la nostra e quasi a malincuore leggevo sperando che almeno per Mena innamorata, o per Luca, il secondogenito di Sebastiano, ci fosse sorte diversa.


“I Malavoglia” non è il classico polpettone che mi ero aspettata, ma anzi è una storia che scorre leggera anche attraverso termini più dialettali, più vicini al siciliano dell’ottocento che non all’italiano degli anni duemila, eppure regala emozioni e riflessioni. Come quella che a scuola dovrebbero farci amare questi capolavori e non disprezzare attraverso letture veloci e senza senso.
Infine, lo consiglio caldamente a chi come me è alla scoperta dei grandi classici, ma invito tutti a soffermarsi su queste storie che risultano più che mai attuali.