Lost in Austen: una mini serie sulle orme di Jane Austen

Lost in Austen

I libri hanno l’incredibile potere di regalare al lettore vite diverse nelle quali immergersi, spesso permettendo loro di compiere quei viaggi nel tempo preclusi, per adesso, all’uomo. È ciò che accade sovente ai lettori di Jane Austen catapultati nel fascinoso mondo fatto di balli, riverenze e matrimoni di convenienza. Tuttavia chiunque ami la cara zia Jane ha a disposizione un assai ridotto materiale a cui possono attingere avendo l’autrice lasciato numerosi lavori giovanili (ma spesso acerbi), e solo sei romanzi compiuti. Non appare stano, quindi, che si cerchi Jane in tutto ciò che da lei prende ispirazione o che graviti nel suo mondo. Basti pensare al riuscito libro e film “Il club di Jane Austen”, dove i protagonisti interpretano a loro insaputa i personaggi di cui leggono, o alla curiosità che spinge molti lettori nel ricercare quei testi che la stessa autrice, all’epoca, avrà letto (basti pensare al famoso “I misteri di Udolpho” di Ann Radcliffe citato in Northanger Abbay).
Spinta in questa direzione ho finalmente trovato, e visto, una mini serie scritta da Guy Andrews intitolata “Il romanzo di Amanda”( dall’originale “Lost in Austen”) dove una giovane donna inglese del 21° secolo viene catapultata nel libro che più di tutti, forse, rappresenta Jane Austen: “Orgoglio e pregiudizio”.

Lost in Aausten- mini serie

Lost in Austen- mini serie

La trama è semplice e spesso tragi-comica: Amanda Price è una londinese che rilegge all’infinito la storia d’amore di Elizabeth Bennet e Mr Darcy essendo insoddisfatta di quella vita che lei considera poco romantica. Quando si ritrova Miss Bennet in bagno, perciò, crede sia un’allucinazione e quasi stenta a credere che la porticina nascosta in quella stanza possa portare a Longbourn, la località in cui è ambientato il romanzo. Eppure, ben presto si accorge che è proprio così e, sotto i suoi occhi increduli, si ritrova a vivere le vicende che ben conosce in qualità di amica di Elizabeth, al momento assente. Iniziano così molti equivoci divertenti intorno ai personaggi principali che muovo passi, però, fuori la trama prevista dall’autrice: con crescente impaccio Amanda compie il possibile per ripristinare gli eventi così come li conosce ma i risultati saranno ben presto contro di lei.

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I personaggi della serie

La serie è piacevole, ma che lascia molto amaro in bocca. Si ride e si cerca di capire le prossime mosse dei personaggi, anche se si pensa di saperli e il risultato è un confuso quadro dove le cose più improbabili accadano, sfidando storia originale e, a volte, anche il buon senso. Assieme ad Amanda anche lo spettatore si chiede come sarebbero andate le cose se qualcosa avesse disturbato i piani abilmente intessuti dell’autrice: basta, infatti, l’assenza di Elizabeth Bennet perché il romanzo (o serie in questo caso) cambi completamente.

Il risultato è un prodotto leggero che pecca di precisione, però, in alcuni passaggi fondamentali. Come ogni buon lettore di Jane Austen sa in nessun caso Mr Wickham avrebbe potuto mettere piede a Pemberley con il permesso di Mr Darcy, mentre in una scena della serie la cosa accade senza che il padrone di casa abbia nulla a ridire. Lo stesso Wickham è quasi redento grazie alla confessione di Georgiana Darcy il che, lasciatemelo dire, è una coltellata al petto della nostra cara Austen.

Non solo, ma la stessa assenza di Elizabeth è vissuta con una leggerezza che insospettisce alla stessa maniera del modo scelto per congiungere due mondi agli antipodi per realtà e tempo vissuti. Sarebbe stato più coerente far incappare Amanda in una casa dove Jane avesse vissuto e qui inscenare una sorta di viaggio del tempo: perché infatti la via di Longbourn si aprirebbe solo nel bagno di Amanda? Per non parlare della naturalezza con cui tutti i personaggi sembrano accettare questa giovane donna mai vista prima, vestita in maniera assurda e con una piega di capelli che…beh, nel 18° secolo non sarebbe stata possibile.

Matthew Macfadyen nei panni di Mr Darcy

Matthew Macfadyen nei panni di Mr Darcy

La conclusione a cui sono giunta è che questa mini serie va vista senza troppe pretese: è un tentativo satirico di affrontare la storia con elementi spesso poco realistici persino per un romanzo. Anche il ritratto di Mr Darcy appare troppo serioso, anche per lo stesso personaggio creato dall’autrice. Qui appare una caricatura severa del normale Darcy serio che siamo abituate a conoscere: al momento l’unico in grado di interpretarlo magistralmente per me è Matthew Macfadyen nel film del 2005.

Un po’ tutte, a ogni lettura, ci chiediamo cosa avremmo fatto noi in un quel dato episodio e questo lavoro ci mostra una versione di come potrebbero svolgersi le cose con l’assenza della protagonista e una londinese moderna al suo posto. Se il risultato sia ben riuscito è lasciato al personale gusto dello spettatore. Da parte mia pensò che mi atterrò ancora una volta al mio originale cartaceo. Jane, credo, lo apprezzerebbe.

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Recensione di “Seconda possibilità” di Renato Ghezzi

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“Seconda possibilità” di Renato Ghezzi

I sogni nel cassetto sono la molla che spingono l’uomo a osare, a re-inventarsi, a trovare un motivo per andare avanti. Lo sa bene Richard Bower quando con i Terriers, la sua squadra di hockey, gioca una partita importante contro i Black Bears per aggiudicarsi la coppa NCAA. Un traguardo che sarà per lui un trampolino verso la meta tanto sognata: diventare un giocatore di hockey professionista. Un’occasione ghiotta che in qualche modo compensa quell’andare un po’ tutto a rotoli che lo circonda: i rapporti pessimi con il padre, che non ama l’hockey, le incomprensioni con la fidanzata Kate e una tesi in fisioterapia che sembra sempre più un miraggio. Rick, però, ha fiducia in se stesso e sa di potercela fare.

Così si apre “Seconda possibilità” di Renato Ghezzi, pubblicato dalla Casa Editrice LE MEZZELANE, fra incontri sul ghiaccio e la voglia di emergere che caratterizza il protagonista.

Ma cosa accade se le cose non vanno come sperato? Se la strada che sembrava già tracciata subisce delle deviazioni che aprono scenari impensabili? Difficile prova per un ragazzo giovane come Rick che si ritrova a cambiare i propri progetti dopo essersi trovato faccia a faccia con la foto di un noto giocatore di hockey della Germania degli anni’30. La chiave di lettura sarà incentrata sulla figura di Rudi Bauer e le scelte fatte per sopravvivere assieme alla sua famiglia: cosa mai può unire quest’uomo alla figura, quasi anonima, del nonno di Rick? Quali fili uniscono le vite di uno studente americano con quella di un uomo ebreo del periodo nazista? Quanto potere può avere il passato per tracciare il nostro futuro?
Il romanzo cattura fin dalle prime righe l’attenzione dei lettori, anche quelli poco avvezzi a seguire uno sport come l’hockey: tutto merito di Ghezzi ha la capacità di farti appassionare a quel disco che i giocatori si lanciano. La storia ha un crescendo molto intrigante man mano che il passato del protagonista emerge attraverso documenti e testimonianze orali: un susseguirsi di eventi che hanno la loro eco anche in realtà storiche ben più note. Come per il protagonista, anche il lettore viene catapultato in uno dei capitoli più bui della storia dell’umanità e che vide gli ebrei protagonisti involontari: l’antisemitismo. Emergono, così, fatti minori di uno sterminio che l’uomo non deve dimenticare per non ripetere mai più e che, in questo romanzo, seguono parallelamente i passi di un giocatore che amava l’hockey.

Il nazismo è purtroppo una traccia indelebile della storia più recente che influenzò persino lo sport. Significativa è la frase di uno dei personaggi del romanzo quando si parla di razze di appartenenza: “Io conosco solo due razze. […]Quelli che sanno giocare a hockey e quelli che non sanno giocare”, ma sappiamo bene che la distinzione per i vertici politici era assai più radicata.
Il lavoro di Renato Ghezzi è magistrale nella ricostruzione storica di eventi realmente accaduti che si fondono, in maniera impercettibile, con l’invenzione per restituirci un quadro molto intenso a cavallo fra due epoche lontane solo nel tempo. È il protagonista Richard a guidarci e a svelare i misteri della propria esistenza, a vedere realizzati quei cambiamenti che lo restituiranno alla sua vecchia vita con nuove idee e convinzioni:

“Aveva giocato la sua partita, aveva dato il meglio di sé contro un avversario molto più forte e aveva conseguito il miglior risultato possibile”.

Una regola che si applica tanto allo sport quanto alla vita vera.

Mi sono lasciata catturare da queste pagine in maniera totale, assorbendo le emozioni che le righe facevano trapelare attraverso un titolo molto evocativo: chi di noi, infatti, non vorrebbe una seconda possibilità quando tutto va a rotoli? Chi ci riesce a inseguirla? E come riesce l’uomo a riconciliare il famoso sogno nel cassetto con le occasioni e le sorprese della vita? Nel modo più semplice che esista e che Rick intuisce quando i pezzetti del puzzle saranno tutti a loro posto:

Bisogna sempre lasciare a chiunque una seconda possibilità”.

Buona lettura.

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FELTRINELLI

Recensione di “Nella mia selva sgomenta la tigre” di Moka

"Nella mia selva sgomenta la tigre" di Moka

“Nella mia selva sgomenta la tigre” di Moka

Immagini, suoni ricordi e sentimenti imprigionati dentro le parole. Un antico gioco dove il poeta erige città di versi non per nascondersi al mondo ma per rivelarsi a esso. Non è facile carpire i segreti dietro all’inchiostro: le poesie vanno lette più e più volte per carpine l’essenza e anche allora si intravede solo uno squarcio del mondo che il poeta voleva trasmettere.
Non può, dunque, bastare una sola lettura per “Nella mia selva sgomenta la tigre” di Moka, edito presso Le Mezzelane Casa Editrice: qui molti mondi e altrettanti sentimenti si mostrano al lettore attraverso la poesia che

«[…] scandisce la fioritura di un mondo imperfetto»
(Poesia romantica).

Si parte già dalla suggestiva copertina e dal titolo di questa raccolta di poesie che veste i panni della tigre, superbo felino che è forza e bellezza allo stesso tempo.

«In fondo alla radice dei tuoi sogni,
dove si nasconde la tigre,
là, nei tuoi occhi ti vedo»
(In fondo alla radice dei tuoi occhi)

Difficile scegliere dei versi su cui soffermarsi, perché in tutte le poesie c’è qualcosa, un richiamo ancestrale che richiede attenzione e vuol parlare di te, in un certo modo. A tratti questa raccolta appare come la ricerca di sé nel tentativo di spiegarsi a gli altri, cercando di distendere la stessa anima e sperando di andare oltre a ciò che la gente vede. Come nei versi di “Le ho raccontato di quanto acrobata fossi”:

«Un giorno le ho raccontato di quanto acrobata fossi
sul filo e tagliente del mio baratr

oppure in quelle di “Stagioni”:

«[…] l’uomo è l’ombra di versi inspiegabili.»

Una ricerca che spesso appare intensa, fotografia vera degli uomini in cerca di qualcosa nei posti sbagliati, agognando una vita in cui:

«[…] non ci strappiamo i sogni in solitudine»
(Dentro il corpo c’è un dolore).

Il mondo descritto da Moka ha, a tratti, il “sorriso amaro” di chi si adegua a una società che ci vuole perfetti, senza cercare di capirci (Schiava dal sorriso amaro); una realtà che lotta contro l’impetuosità dei sentimenti, ma è poi sempre più impigliata negli affetti che si palesano attraverso la violenza:

«[…] le pareti piangono anche quelle del cuore- anzi lo rivela»
(Violenza domestica).

Bisogna andare oltre, sembra volerci dire Moka, come in “Napoli”, quest’istantanea del capoluogo partenopeo:

«[…] ogni nota è apparenza di vita sconosciuta, matriosca di appartenenza».

Un concetto che riprende altrove e che spinge il lettore a vedere nei tanti “io” di cui siamo fatti. Non basta togliere lo stato esterno, perché le persone sono simili a tanti contenitori colmi di diversità che poi ci completano o che si lasciano influenzare dalle vite altrui:

«[…] parti di me lasciate ovunque
impressionate dall’esistere altrui»
(Matriosca di sentimenti)

Questa mia prima lettura mi dato l’impressione di un percorso, di una ricerca ed esplorazione dell’anima che può riguardare tutti anche se non sappiamo bene come leggere queste cose dentro di noi. Moka intravede questo nostro esserci persi senza aver mai intrapreso il viaggio:

«Forse,
non saremo mai ciò che vorremmo
Essere
eppure
non sappiamo ancora ciò
a cui vogliamo somigliare»
(La musa dell’incertezza)

Una raccolta che merita tempo e riflessioni. Buona lettura.

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