“Una stanza tutta per sé” di Virginia Woolf

“Per tutti questi secoli le donne hanno avuto la funzione di specchi, dal potere magico e delizioso di riflettere raddoppiata la figura dell’uomo.”

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“Una stanza tutta per sé” di Virginia Woolf

Una stanza tutta per sé” di Virginia Woolf è un lungo ed esaustivo monologo. Con attenzione ai dettagli, con curiosità, l’autrice ci fa sbirciare nel processo creativo della sua mente. Questo lavoro è un espediente per parlare del tema riassunto nel titolo “una stanza tutta per sé”.
È una frase del nipote di Jane Austen in riferimento alla zia scrittrice che ritroviamo nel libro che ha scritto su di lei. “È sorprendente (il fatto che scrivesse), poiché non aveva uno studio personale in cui isolarsi e la maggior parte della sua opera è stata scritta nella stanza di soggiorno comune, soggetta a ogni sorta di interruzione casuali.” E su questa considerazione ruota tutto il monologo-saggio della Woolf, ossia la grave assenza di opere femminili (nella letteratura, ma anche nelle altre arti) prima ancora dell’800: forse, sostiene l’autrice, perché esse non avevano uno spazio tutto per loro in cui riversare i propri talenti.

La società elisabettiana, per esempio, non era ben disposta ad accogliere lavori di matrice femminile,perché non era previsto che una donna uscisse fuori dallo schema di figlia-moglie-madre. Soprattutto,però, bisogna ricordare che la loro vita era articolata in un modo tale che solo chi aveva mezzieconomici ben sicuri poteva dedicarsi all’hobby della scrittura. Tutte le altre con una discretaeducazione, ma senza una rendita, potevano solo ritagliarsi spicchi di tempo in cui dedicarsiall’imbrattare fogli.

Le arti letterarie erano una prerogativa maschile e chi dell’altro sesso osava emulare, e perché no migliorare, questo campo con il suo contributo veniva accolta generalmente con molti pregiudizi. Come dice la Woolf, non perché pensassero che la donna fosse da meno perché il pensiero, così formulato, è sbagliato. Non si accusavano le donne di essere da meno, ma si lodava il talento naturale del mondo maschile: “quel desiderio profondo non tanto che lei sia inferiore, quanto che lui sia superiore”.

Sono poche le donne che riescono a emergere da questi limiti. La stessa poetessa Annie Finch, contessa di Winchilsea, evidenza come tale aspirazione sia mal vista:

“Ahimé! La donna che tenta la penna
è stimata creatura tanto presuntuosa
che nessuna virtù può redimere il fallo”.

Eppure si deve anche a questi primi passi, spesso disprezzati, se molte autrice sono diventate quelle icone della letteratura che noi conosciamo.”Perché i capolavori non nascono solitari e isolati; sono il risultato di molti anni di pensiero comune, il pensiero del corpo popolare, per cui dietro quella singola voce c’è l’esperienza della massa.

Questo è un lavoro introspettivo, che indaga e ricerca come le donne siano state relegate ai margini della creatività perché spesso ritenute senza molti talenti. Virginia Woolf ci mostra come spesso l’agiatezza economica e l’appartenenza al giusto sesso siano state la carta vincente per far conoscere la poesia, il romanzo, la pittura, perché “il poeta povero […] non ha uno straccio di opportunità”.

Cosa resta dunque a chi oggi vuole scrivere? La consapevolezza di essere una creatura fortunata, soprattutto se donna, perché se guardiamo indietro c’è chi ci ha spianato la strada. Se non ci fossero state le Austen le Bronte e le stesse Woolf difficilmente oggi le donne saprebbero che non solo sono capaci di scrivere, ma che lo fanno anche bene.

E avere una stanza tutta per sé non è dunque più una necessità, ma sicuramente una piccola conquista.