FED, a Jackson Hole fari accesi sul discorso di Powell

Finisce oggi la vacanza dei banchieri centrali. C’è infatti il tradizionale appuntamento estivo (che si protrarrà anche domani) organizzato dalla FED a Jackson Hole, nel Wyoming. Anche se ufficialmente il tema del simposio di quest’anno è l’impatto economico dei “nuovi monopoli” creati dalle super imprese (tipo Amazon), di sicuro i vertici della politica monetaria internazionale toccheranno anche altri temi caldi come i dazi e la crisi turca.

Tutti gli invitati sono giunti ieri alla spicciolata. Circa centocinquanta, tra speaker e invitati. La cena di benvenuto all’ombra delle montagna del parco nazionale del Gran Teton ha formalmente aperto le danze di questo nuovo appuntamento annuale della FED. C’è però un vuoto… ingombrante: Mario Draghi e l’intero comitato esecutivo della Bce. Ma non ci sarà neppure il governatore della Bank of Japan Haruhiko Kuroda. Per l’Italia è però presente il vicedirettore della Banca d’Italia Luigi Federico Signorini.

L’intervento del capo della FED

Il momento più atteso del primo giorno è l’intervento del presidente della Fed, Jerome Powell, atteso per venerdì mattina (nel pomeriggio in Italia). Dal suo discorso gli investitori cercheranno di avere ancora più indizi sul percorso di rialzo dei tassi che intende perseguire la FED. Anche se in realtà le minute del FOMC nei giorni scorsi hanno fatto già capire che non saranno accettate le critiche di Trump, che vorrebbe una Federal Reserve più colomba per tenere il dollaro il più debole possibile. Tuttavia sarà interessante la prima “risposta ufficiale” di Powell alle critiche di Trump.

I mercati si attendono un aumento dei tassi da parte della Federal Reserve per altre due volte: una a settembre, e un’altra forse a dicembre. Resta un po’ di dubbio però, da quando Powell (a luglio) disse che gli aumenti graduali dei tassi restano appropriati “per ora”.

Gli investitori si focalizzeranno anche su altri aspetti che di sicuro verranno toccati. Ad esempio le condizioni di un’economia globale meno rosea di quella americana, i timori per il destino dei mercati emergenti e soprattutto della questione turca.