156. figure di donna 15: io ti vedo

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La sera ha già scurito il cielo e sono visibili alcune stelle, lucenti come l’aria di tramontana che ha portato via le nuvole.
Sta scendendo la notte e io sono qui, nel silenzio a me caro tanto quanto mi fu cara la tua voce che pronunciava il mio nome per dire la parola amore.
Oggi è la “Giornata mondiale contro la violenza sulle donne” e io, per quanto ne so del potere creativo del linguaggio, preferisco pensare a una “Giornata per lo sviluppo di animus e anima” o a una “Giornata di radicamento degli archetipi del femminile e del maschile negli uomini e nelle donne”, ma …
Ti penso in questa giornata, sperando che animus a anima vengano a farci crescere e confortarci a vivere con la loro incommensurabile completezza.
Quando ti conobbi era ancora in me un briciolo di fiducia, credevo ancora di poter vivere un rapporto sano con qualcuno, avevo granelli di sogno sparsi nel mio cuore.
Dopo che te ne sei andato, un vento tempestoso ha portato via anche quei frammenti di speranza, lasciando una terra di deserto e le mie lacrime.
Spero che arriverà il momento in cui sarò capace di non pensarti più, l’attimo in cui le  lacrime risveglieranno i semi che ogni terra, anche la più desertica, ha in sé copiosi e inaspettati.

Io non ero un porto di mare, come non lo sono adesso; non faccio sesso come sport; non vado alla ricerca di uomini con cui saziare voglie. Sono una persona, come lo sei tu; sono un essere umano, come lo sei tu; ho desideri, speranze, dolori, progetti, lacrime, sorrisi, proprio come te. Ma probabilmente abbiamo un modo molto diverso di considerare tutto questo.
Sei arrivato colmo di fascino avvolgente, sembravi il luogo magico dove potevo poggiare tutta la mia vita, l’inaspettata radura dentro un bosco che, negli anni, si era fatto oscuro e inestricabile.
Si può uccidere in tanti modi, per esempio avvicinandosi come un dio e poi allontanandosi come un bambino ferito; e in mezzo la progressiva discesa da dio a uomo a bambino arrabbiato. Tu lo hai fatto, all’inizio ammaliando con ogni mezzo quella mia speranza e alla fine allontanandoti per conservare tutto quello che per breve tempo sembravi aver messo in discussione. Come sono strane quelle persone che si riassettano in un loro mondo palesemente in crisi, falciando da se stesse rami e radici vitali per la sopravvivenza…
Ma all’inizio era tutto meraviglioso: l’impossibile sembrava diventare possibile.
Altrimenti perché ti eri mosso? Perché eri uscito dalla tua vita certa e costruita? Perché eri uscito verso me?
Io non pensavo che certi passi si facessero per scherzare, per vedere come va, per fare un tipo di sesso che potrebbe essere soddisfatto in altro modo.
Perché io? Questa domanda è l’aratro che spacca la terra di tutto ciò che sono, e spero che i solchi aperti prendano tutta la pioggia e il sole e l’aria necessari a che nuova vita rinasca da quelle ferite.
Ho una ferita a forma di speranza, lo dico da sempre, e tu hai preso quella speranza per farla diventare l’arma con cui aprire ancora di più quella ferita.

Non lo so perché hai fatto questo con me. Perché ti sei affacciato, perché hai navigato,  perché hai scrutato un altro mondo e ti sei fermato al mio porto; o, forse, ‘anche’ al mio porto, uno dei tanti, uno insignificante per te; qualsiasi cosa per dimenticarti un po’, o per ricordarti.
Non lo so, tu non hai dato spiegazioni, sono io a dover arrovellarmi per trovare un senso che mi salvi.
Tu potevi fare tutto, anche offendermi, anche dirmi impunemente che forse amavi un’altra. Io, appena manifestato il mio disagio, sono stata lasciata in un angolo del tuo cammino, senza una parola, senza chiedere scusa. In quel mutismo sono affondata e nessuna barca è passata a salvarmi.
Si uccide anche così. Non mi hai vista, non mi hai voluto vedere; e ciò che hai visto di me lo hai usato per farmi del male.
Pensavo all’amore, io che ci credo davvero. Tu a farti una passeggiata dentro la mia vita.
Tutto qui.
Con la scusa di una moglie che non ti soddisfaceva sessualmente; con la scusa che eri single perché non avevi trovato quella giusta; con nessuna scusa, seducendo e basta; con la scusa che ti eri innamorato ma che non potevi lasciare la tua vita; con la scusa che eri mio marito; chiunque tu fossi e qualunque cosa tu dicessi non ti palesavi per chi eri né eri sincero. E quali altre scuse? Non le ricordo più tutte quante, ma sono variazioni su questi temi.
E arrivando da me su vascelli di eleganza, cultura, simpatia, disponibilità, per poi chiudermi appena dopo dentro il buio spazio dell’abuso, perché non c’era un patto alla pari, ma solo la tua strategia, il tuo scopo, di cui solo tu conoscevi la reale entità, che tenevi ben nascosta dietro i tuoi trucchi da quattro soldi.
Ce l’hai fatta ancora una volta a succhiare l’energia vitale da qualcuno, e questa volta ero io.
Così va il mondo, diresti dal luogo dove ti metti, pensando che sia alto e irraggiungibile per eccellenza e perfezione.
Invece il mondo va come lo mandiamo noi esseri umani.

E io sono orgogliosa di non averti trattato come tu hai trattato me. Sono orgogliosa di averti rispettato, accolto, amato; di aver messo fiducia tra me e te.
Di aver mandato il mondo, mentre ti frequentavo, nella direzione verso cui indirizzano animus e anima, verso l’armonia.

E’ scesa la notte e il silenzio è ancora più avvolgente. E’ buio in casa, la luce del camino manda i suoi bagliori sulle pareti e sul mio viso, mentre il crepitio della legna secca che brucia interrompe ogni tanto la quiete di questa solitudine.
Anche questa solitudine è a forma di speranza. Io so che tu mi saprai amare,  so che io saprò amare te.
E finiranno queste Giornate di ricorrenze amare. E nasceranno giorni fatti da donne e uomini, e ci saremo anche noi. Senza ferite e senza speranze.
Con la splendida certezza di essere cresciuti e di saper amare.
Sapremo dirci “io ti vedo”, nella pienezza del suo significato.

 

156. figure di donna 15: io ti vedoultima modifica: 2019-11-25T20:10:52+01:00da mara.alunni

2 pensieri riguardo “156. figure di donna 15: io ti vedo”

  1. Ti ho mai fatto leggere quella storia (testo dell’immenso Carlos Trillo, disegni del grande Enrique Breccia) in cui i protagonisti attraversano (letteralmente) l’universo per arrivare di fronte a un grande saggio (forse completamente pazzo) al quale chiedere una risposta a tutta una serie di “perché”, con lui che li ascolta per poi girarsi e rispondergli ripetutamente “perché sì” ?

    1. No, ancora non me l’hai fatta leggere, spero che me la porterai quando torni. Di Carlos Trillo mi hai regalato tutta la serie di Cybersix, meravigliosa. Spero che anche il racconto di cui dici sia bellissimo come quelli di Cybersix.
      “Perché?” è la domanda che tutte le donne si pongono, è la domanda comunque delle vittime; è anche la domanda di Giobbe a cui il Signore suo risponde più o meno allo stesso modo del saggio. Al limite umano non basta quella risposta, né basta al dolore, alla violenza subita. Io ho immaginato una situazione intimistica, ho immaginato una donna perché ieri nel mondo si ricordava la necessità che finiscano le violenze sulle donne, ma la situazione è più vasta, ed è allucinante pensare a quanta violenza ci sia nel mondo.
      No, non credo che basti quella risposta. E bisogna che finisca anche quel tipo di domanda, quel perché lancinante gridato da milioni di voci.

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