265. di palme e d’altro, da un cronopio

La palma ha le radici nell’acqua e la chioma nel fuoco.
proverbio arabo

No, qui da me niente palme. Ulivi. Rami d’ulivi per festeggiare la Domenica delle Palme.
La prima e unica palma della zona dove abito è nel giardino di una cara amica,  pianta esotica che piaceva ai ricchi dei primi del Novecento. La piantò suo nonno. Simbolo di agiatezza, di possibilità di movimentare pezzi di mondo, di una sfida vinta con la natura se la palma, nativa di calde terre lontane, continuava a vivere anche qui, “da noi”.
La palma è una pianta che per molti anni mi è stata completamente indifferente, poi iniziai a guardarla con curiosità, poi diventò una specie di simbolo delle diversità che ci sono nel mondo, poi immagine di terre lontane e desiderate come meta di viaggi, poi, e poi, e poi.
Passo dopo passo, la palma è arrivata a incantarmi, ma così, sentimento, emozione, impressione e nessuna conoscenza specifica. Sì, c’era un sentore di qualcosa, sì, quel qualcosa che senti, a cui spesso non dai ascolto, e che a un certo punto, invece,si rivelerà essere stata una profezia. Insomma, cose così con la palma.
E poi, in una vetrina di una libreria, un giorno vedo un libro con una copertina gialla su cui spiccano due foglie verdi che sembrano danzare. Il titolo è già accattivante: “Il botanista“, ma il sottotitolo è il motivo reale per cui compro il libro: “Il racconto di uno scienziato sognatore, custode della ricchezza vegetale della Terra“. Praticamente mio fratello, penso. Più preparato di me per muoversi nell’amato mondo vegetale, anche quello un mondo di fratelli e sorelle.
Non avevo ben capito che le due foglie verdi in copertina fossero di palma, anzi, mi sembravano di monstera: la prospettiva con cui sono disegnate rendeva possibile il mio errore.

E quindi eccolo, un nuovo fratello-libro entra in casa. Faccio sempre trascorrere un po’ di tempo prima di  leggere un libro che ho comprato. Lo faccio abituare al nuovo mondo in cui si trova, gli faccio conoscere gli altri libri, gli faccio sentire i suoni e gli odori e i silenzi e i movimenti della nuova casa.
Danno soddisfazione, devo dire. Molta di più di tanti umani che hanno varcato la soglia di casa, che sono stati accolti come fratelli e sorelle, ma che tali non erano. I libri hanno ben chiaro che quando varcano la soglia di una casa e di un cuore, bisogna saperlo e volerlo fare. Eh, sì, danno tanta soddisfazione questi amici silenziosi: si aprono con le loro pagine dove ci sono scoperte e viaggi, ci permettono di essere letti da noi con la nostra voce interiore, che a volte diventa una voce a due con quella – immaginata- dell’autore o dell’autrice, oppure diventa le voci dei personaggi: e in noi scopriamo -anche così- inimmaginati pezzetti di noistessi-mondo.

D’estate, prendo il nuovo fratello-libro, lo metto nella borsa di quelli da leggere in vacanza e me lo porto in viaggio con me.
Ritorno a casa e lo metto nel gruppo “leggere quanto prima”. Intanto avevo capito che parlava di palme  e che è scritto a quattro mani: Marc Jeanson, dal 2013 giovane Responsabile dell’Erbario del Museo Nazionale della Scienza di Parigi, e Charlotte Fauve, architetto paesaggista, giornalista e autrice di documentari.
Mio padre aveva appena trascorso un lungo ricovero in ospedale, tra luglio e agosto, ed era tornato a casa con le condizioni di salute in ulteriore peggioramento, sebbene al momento ancora sotto controllo.
E’ così, e non so perché, che comincio ad ascoltare quella specie di voce interiore che mi spinge verso quel libro, che mi spinge a leggerlo prima degli altri previsti.
Adesso so che è stato un caso editoriale, presentato alla Fiera di Londra  e poi venduto agli editori di tutta Europa ancora prima di essere pubblicato. Allora non lo sapevo, pensavo di avere un “semplice buon libro” che trattava uno degli argomenti di cui mi interesso. Ma aprirlo e iniziare un bellissimo volo fu tutt’uno. Tanto da dover rallentare la lettura per l’emozione, chiudere il libro, rendermi conto, rituffarmi poi in quelle  pagine meravigliose che sono un inno alla natura e alla cultura. Lasciavo passare anche giorni prima di riaprire il libro e spesso non sapevo il perché, il perché oltre la meraviglia e l’emozione che invece mi trascinavano a leggerlo.
Intanto scoprivo la bellezza delle palme, la loro importanza in qualche evento della storia del mondo, gli elementi della biografia dell’autore, metodi, modernità e tradizioni .

Intanto mio padre peggiorava.
E “Il botanico” fu il libro che portai con me durante gli ultimi suoi tre lunghi ricoveri.
Pochissime righe lette ogni volta. Di giorno, di notte. Poche.
Anche perché vedevo sempre più mio padre come una palma.
Lui, che prima avevo  paragonato alla quercia e all’ulivo, lui adesso era una palma: una bellezza che vedevo per la prima volta, un’importanza e una diversità che mi si disvelava giorno dopo giorno, riga dopo riga, dolore dopo dolore.
L’albero esotico che i ricchi del primo Novecento piantavano nei loro giardini, l’albero delle terre lontane che sono anche dentro di noi, la palma-padre adesso era nel  giardino del mio cuore.
La ricchezza di informazioni profuse nel testo diventava la ricchezza immensa dell’uomo che stavo conoscendo in un continuum; e mi sentivo fortunata di non aver ancora definito mio padre, di non averlo relegato e limitato nel recinto dell’illusione a cui troppo spesso diamo il nome di  conoscenza.
Riga dopo riga, poche; e poi chiudevo il libro, e poi guardavo mio padre che stava ad occhi chiusi, e poi non c’era più nulla oltre quel tempo che, da fuori, sembrava inerte, e che invece stava arando la mia terra  interiore per renderla pronta ad accogliere la palma-padre.

La palma è un albero dalla simbologia bellissima: la pace, la vittoria, l’ascesa, la rinascita, l’immortalità; per i primi cristiani era il simbolo della Resurrezione di Gesù. Simboleggia, insomma, il trionfo della Vita sulla Morte.
Questa simbologia l’ho appresa dopo che mio padre non era più con me; solo dopo sono andata a leggere questi aspetti allegorici della palma. Erano quelli che avevo sentito risuonare in me, erano quella voce interiore che mi ha guidata ad aprire quel libro al momento giusto: perché conoscessi ancora di più mio padre; perché  sapessi la vastità del suo animo e del suo cammino su questa terra, così prezioso da piantarlo nel giardino del mio cuore; per rendermi una donna ricca e poter far vedere quanto sono ricca, io, che potevo permettermi di far arrivare una palma fin qui, da mondi lontani e diversi; fin qui, al centro del mio cuore-giardino, la mia palma-padre.
La palma-pianta mi si è messa vicino proprio nel giusto periodo, attraverso un libro incontrato per caso.

Che “caso” non è mai quando si parla di cuore e di ascolto.

E ora sorridi con me, babbo. Ho deciso che da oggi in poi per te sarò un cronopio, sorridiamo e immaginiamo insieme. Io qui, tu lì, tu qui, io lì, noi un po’ qua e un po’ là, ricordando e vivendo insieme in questo nuovo modo diveniente, viaggiando da ricchi quali siamo adesso, con tutte le palme del mondo nei nostri giardini.

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Viaggi, in Julio Cortázar, Storie di cronopios e di famas

Quando i famas fanno un viaggio, le loro abitudini, quando si fermano a dormire in una città, sono le seguenti: un fama va all’hotel e prudentemente vuol sapere il prezzo della camera, rendersi conto di persona della qualità delle lenzuola e del colore dei tappeti. Il secondo va al commissariato e stila una dichiarazione sui beni mobili e immobili dei tre, e fa anche l’elenco del contenuto delle loro valigie. Il terzo fama va all’ospedale e prende nota dei medici di turno nonché delle loro specializzazioni.
Finite queste incombenze, i tre viaggiatori si riuniscono nella piazza principale della città, si comunicano le rispettive osservazioni, ed entrano in bar a prendere un aperitivo. Prima però si prendono per mano e fanno un girotondo. Questa danza è detta: “Allegria dei famas”.
Quando i cronopios fanno un viaggio, trovano tutti gli alberghi al completo, i treni partiti, piove come dio la manda e i taxi non li vogliono far salire a meno che non siano pronti a farsi spellare vivi. I cronopios non si scoraggiano perché credono fermamente che queste cose capitino a tutti, e prima di andare a dormire si dicono l’un l’altro: “Ma che bella città, una città proprio bella”. E sognano tutta la notte che la città è in festa e che loro sono invitati a tutti i ricevimenti. Il giorno dopo si alzano allegri, ed è così che viaggiano i cronopios.
Le speranze, sedentarie, si lasciano viaggiare dalle cose e dagli uomini, e sono come le statue che bisogna fare un viaggio per vederle perchè loro non si disturbano.

Ricordi, in Julio Cortázar, Storie di cronopios e di famas 

I famas, per conservare i loro ricordi seguono il metodo dell’imbalsamazione: dopo aver fissato il ricordo con capelli e segnali, lo avvolgono dalla testa ai piedi in un lenzuolo nero e lo sistemano contro la parete del salotto, con un cartellino che dice: “Gita a Quilmes”, oppure: “Frank Sinatra”. I cronopios invece, questi esseri disordinati e tiepidi, sparpagliano i ricordi per la casa, allegri e contenti, e ci vivono in mezzo e quando un ricordo passa di corsa gli fanno una carezza e gli dicono affettuosi: “Non farti male, sai”, e anche: “Sta attento, c’è uno scalino”. Questa è la ragione per la quale le case dei famas sono in ordine e in silenzio, mentre le case dei cronopios sono sempre sottosopra e hanno porte che sbatacchiano. I vicini si lamentano sempre dei cronopios e i famas scuotono la testa comprensivi, e vanno a vedere se i cartellini sono sempre a loro posto.

265. di palme e d’altro, da un cronopioultima modifica: 2021-03-28T20:11:31+02:00da mara.alunni