A 27 anni di distanza resta il mistero sulla morte di De Grazia e dei fusti della Motonave Rosso

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Oramai nessuno si occupa più delle navi dei veleni, che restano nei fondali del mediterraneo con i loro carichi radioattivi, 12 di queste davanti le coste calabresi. E’ un argomento tabù per la politica italiana e la grande stagione del 2009 quando la Procura di Paola, con il procuratore Giordano Bruno, deceduto a dicembre del 2018 all’età di 66 anni, finì miseramente con il governo Berlusconi che ne decretò l’inesistenza, anche grazie all’apporto dell’allora Procuratore nazionale dell’antimafia  Pietro Grasso . Tutte le procure che avevano aperto inchieste sulle navi dei veleni, da quelle del nord a quelle della Calabria archiviarono i vari casi, nonostante nei loro fascicoli ci fossero prove inconfutabili su chi aveva commesso gli affondamenti, chi li aveva sovvenzionati e con quali coperture nella stessa magistratura e servizi segreti dello stato. Davanti Cetraro il pentito Fonti aveva indicato un punto dove lui stesso affondò la nave Cunsky aiutato dalla cosca locale alla quale versò 200 milioni di vecchie lire. Era la seconda volta che si parlava di navi dei veleni in Calabria. Una stagione iniziata nel 1990 con lo spiaggiamento della Motonave Rosso davanti Campora San Giovanni e terminata con l’omicidio del capitano di corvetta Natale de Grazia il 12 dicembre del 1995. Tutto iniziò con un’inchiesta aperta dal Procuratore Neri della Procura di Reggio Calabria al seguito dell’affondamento della nave Rigel nel 1987 davanti le coste di Reggio Calabria e poi dello spiaggiamento della Motonave Rosso davanti Campora san Giovanni.   La pista che si seguì fu quella della mafia locale che sicuramente aiutò la compagnia marittima a nascondere in loco tutto ciò che era nascosto nella nave. Un’operazione che avvenne nella stessa notte del naufragio, fatta in fretta e furia. Lo dimostra uno squarcio fatto nella stessa nave, dall’interno stesso con un potente muletto. Forse per farla affondare al largo del tirreno, ma forse anche, una volta arenata sulla spiaggia per  trasportare immediatamente all’esterno tutto quanto vi si nascondeva. Ma come è stato possibile mettere in moto un’operazione di questo genere senza che  alcuno si accorgesse di cosa accadeva ? Di certo c’è che nella notte del 14 dicembre del 1990 un via vai di camion sconvolse la cittadina tirrenica. Si parlò di un via vai di camion verso la discarica comunale in contrada Grassullo , sita a pochi chilometri dal centro tirrenico e posta proprio al centro fra Amantea ed il luogo dell’arenamento della nave, verso il fiume Olivo dove esisteva una cava controllata dalla mafia di Cetraro. La discarica di Grassullo, venne usata dal comune di Amantea fino al 1997 quando a seguito del commissariamento  nella gestione rifiuti in Calabria tutte le discariche comunali vennero chiuse. In seguito a questa chiusura però questa discarica non venne bonificata dall’Ufficio di commissariamento e tutto il contenuto venne coperto da terra oltre che da una provvidenziale frana che si abbattè su tutta l’area della discarica . Se i fusti o le scatole di latta contenente chissà cosa furono portate in quella discarica e ivi sotterrate, sono certamente ancora lì, così come sono lungo il fiume Olivo. L’inchiesta sull’arenamento venne affidata ad un gip della procura di Paola, tale Domenico Fiordalisi, che non parlò assolutamente di nave dei veleni e mise subito a tacere tutto archiviando e dando l’ordine di demolizione della nave, dopo qualche mese dallo spiaggiamento,  senza attendere ulteriori indagini.

Il capitano Natale De Grazia un capitano molto coraggioso e soprattutto onesto,  che collaborando con la procura di Reggio Calabria girava in lungo e in largo l’Italia e l’Africa seguendo come un segugio le rotte delle navi dei trafficanti di rifiuti tossici cominciò ad occuparsi di questo caso.

La storia  di queste navi fantasma e dei veleni cominciò esattamente  nel giugno del 1987 quando a La Spezia vennero imbarcate 200 mila tonnellate di rifiuti tossici, destinazione Guinea Equatoriale. Nello stesso periodo la Rigel partita dalla vicinissima Marina di Carrara per l’ultimo viaggio, affonda il 21 settembre del 1987 davanti alla costa calabrese denominata Capo spartivento. Venti persone verranno processate per naufragio doloso.  E poi la Radhost, la Latvia, e la “Jolly Nero”, tutte partite tra gennaio e ottobre del 1988 per l’Africa.  Il 18 gennaio del 1989 direttamente da Beirut attracca la “Jolly Rosso” con un carico di 4000 bidoni. Per quattro anni e mezzo il materiale tossico e’ stoccato alla Spezia poi il 9 luglio del 1993 riparte.  Il 5 marzo del 1994 arriva alla Spezia dal Libano la “Jolly Rubino” con materiale ferroso proveniente dall’ex unione sovietica, con destinazione Sudafrica. In otto containers e’ misurata una radioattivita’ di 600 bequerel. Sessanta di quei fusti tossici andranno poi in Austria dopo il transito in Sudafrica.

Il capitano di corvetta Natale De Grazia, 39 anni, consulente tecnico del pm reggino Francesco Neri, parte il 12 dicembre del 1995 con l’incarico di interrogare proprio l’equipaggio della Jolly Rosso ma a La Spezia non arriverà mai. L’ufficiale ha un misterioso malore durante il viaggio dovuto molto probabilmente ad un avvelenamento. L’autopsia, eseguita una settimana dopo il decesso e dietro pressioni dei magistrati, non conferma l’ipotesi dell’infarto.

Sembra che il capitano De Grazia sia stato anche ad Amantea e che qui abbia parlato con qualcuno del luogo. Ma se De Grazia è stato ad Amantea in modo ufficiale non dovrebbero esistere verbali di eventuali incontri ufficiali in qualche ufficio della capitaneria di Porto di Cetraro o Vibo o in qualche caserma dei carabinieri ?

Dopo 27 anni qualcuno sarà disposto ad aprire questa enorme botola o come siamo abituati oramai da decenni in Calabria finirà tutto a taralluzzi e vino ?

A 27 anni di distanza resta il mistero sulla morte di De Grazia e dei fusti della Motonave Rossoultima modifica: 2021-12-15T07:27:08+01:00da sciroccorosso