Una pace che resta

 

Una pace che resta

 

MARTEDÌ 18 OTTOBRE 2022

SAN LUCA, EVANGELISTA – FESTA

LITURGIA DELLA PAROLA    (clicca qui)

Prima lettura: 2Tm 4,10-17b

Salmo: Sal 144 (145)

Vangelo: Lc 10,1-9

 

“Pace a questa casa”.

Una pace che resta e viene donata, è la pace dei figli di Dio, che come agnelli in mezzo a lupi vivono il Vangelo. Il Signore non parla di difesa, ma di pace, una parola che soprattutto in questo periodo sentiamo di aver bisogno. Bisogna pregare per la pace a partire dalle nostre case, solo cosi si diffonderà nel mondo intero.

La pace di Cristo non esclude la fatica, ma da un forza in più: quella di essere amati. L’agnello, allora, non è un debole, ma è condividere con Cristo, l’Agnus Dei, la sua vita fatta di offerta e sacrificio per tutti. Se Cristo attingeva la sua forza dal Padre, noi possiamo affidarci a Lui e stringere il cuore a Dio che ci chiama a portare pace: un nuovo Volto in risposta alla violenza e al dolore, nella semplicità del nostro quotidiano.

“È vicino a voi il regno di Dio”. Si, in ognuno di noi è già presente quel regno di pace che il Signore è venuto a portare nelle nostre case, nel nostro cuore. Sia da noi accolto e testimoniato, amato e diffuso come un dono santo.

 “Signore,

dona pace al mio cuore,

e sostegno alla fatica.

A te chiedo la forza per affrontare le mie battaglie,

non con la durezza del cuore,

ma con la determinazione del Tuo amore.

Insegnami a camminare sulla strada che ci hai lasciato,

cosi che la pace non sia più una cosa da chiedere,

ma un dono da vivere e far vivere”.

(Shekinaheart Eremo del Cuore)

 

 

Come il suo maestro

 

come il suo maestro

 

09 SETTEMBRE 2022

VENERDÌ DELLA XXIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)

LITURGIA DELLA PAROLA    (clicca qui)

Prima lettura: 1Cor 9,16-19.22b-27

Salmo: Sal 83 (84)

Vangelo: Lc 6,39-42

 

“Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro”.

Quello che fa la differenza è il “come”, ovvero simile, è un ricordare agli altri il Maestro, in fondo è far memoria prima a noi stessi che siamo fatti ad immagine e somiglianza di Dio.

Si, a volte siamo ciechi, a tratti sordi, ma non è il tutto di noi e il Signore lo sa. Possiamo sbagliare, perderci, sederci lungo il cammino e il Maestro ci sarà sempre per precederci e indicarci il “come”.

Affidiamoci a Lui, alla Sua Parola, perché è il nostro filo che ci tiene uniti a Dio e in cordata tra noi. Se non avessimo la parola, sarebbe difficile comunicare e noi ogni giorno abbiamo il dono di poter incontrare La Parola che si è fatta carne, in modo da non essere solo comunicabile con la voce, ma con tutto il corpo: occhi, gesti e soprattutto cuore.

Lasciamo che sia il Maestro a parlare nelle nostre vite, così che la nostra vita sia un parlare del Maestro. Questo sarà il vero miracolo: riconoscere che la nostra storia è all’interno di un progetto di Dio, già amata, redenta e soprattutto accolta in tutte le sue parti.

Il Vangelo è una storia buona da raccontare dove tra fatiche e inciampi, emerge l’amore di Dio più forte di ogni dolore, peccato o tradimento e come discepoli di Cristo, siamo chiamati a credere con il Maestro in noi e nella Sua possibilità.

“Signore,

chiamati da ogni parte,

veniamo a Te, cosi come siamo.

Siamo ciechi, sordi, malati

e Tu ci rendi guaritori feriti,

capaci di comprendere il Tuo Amore

e poterlo testimoniare agli altri.

Libera il nostro cuore dalla paura dell’errore

e dalla delusione del nostro peccato,

perché Tu sei un Dio di pietà e di pace

e nel Tuo cuore c’è posto anche per noi

senza dover attendere quando o come,

ma semplicemente, vivendo adesso”.

(Shekinaheart Eremo del Cuore)

 

 

 

 

Essere chiamati

 

essere chiamati

 

06 SETTEMBRE 2022

MARTEDÌ DELLA XXIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)

LITURGIA DELLA PAROLA   (clicca qui)

Prima lettura: 1Cor 6,1-11

Salmo: Sal 149

Vangelo: Lc 6,12-19

 

La chiamata dei dodici è preceduta da una notte in preghiera. Il nostro stare con Lui, nasce direttamente da una relazione con il Padre. Nella preghiera in un dialogo di amore, nasce il nostro essere chiamati a Gesù, è come se Dio avesse suggerito i nostri nomi e non dobbiamo dubitare di esserci, perché nel cuore di Dio ci siamo proprio tutti.

Cosa faremo per Lui, cosa diventeremo? Semplicemente noi stessi! Ai discepoli non vengono dati incarichi particolari, ma l’unica cosa che conta è riconoscerci lì anche noi, amati da Cristo, uniti con il Padre.

Non c’è storia d’amore più bella, ed è propria a partire da essa che le nostre relazioni, gli incontri, gli impegni quotidiani, acquistano forma e significato.

Il Signore ha scelto di chiamarci a sé perché ci ama e perché questo amore fosse la nostra forza in ogni circostanza. Quando ci sembra che dobbiamo fare necessariamente qualcosa o ci irrigidiamo per il nostro medesimo sbaglio, alziamo gli occhi al cielo, sentiamoci su quel monte semplicemente amati. Egli sapeva già tutto di noi e ci ha scelto accanto a sé, perché non siamo l’errore che commettiamo, non pretende da noi chissà che cosa, però ne spera solo una: riconoscerci da Lui amati, voluti e desiderati, e questo è già abbastanza.

“Signore,

davvero ami il Tuo popolo.

Se siamo tutti qui per ascoltare la Tua voce,

è grazie a questo amore.

Scopro che ci sono anch’io,

non sono uno spettatore che si immagina la scena,

hai chiamato anche me.

Cosa potrò darti? Cosa potrò fare?

Nulla, rispetto al dono che mi hai fatto.

Potrei solo dire, che nonostante il tempo passato

dinanzi a questo Vangelo, io già c’ero.

Prima di me, era già preparato un posto accanto a Te

e da oggi desidero annunciarlo!”

(Shekinaheart Eremo del Cuore)

 

 

 

“Nessuno potrà togliervi la vostra gioia”

 

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LITURGIA DELLA PAROLA   (clicca qui)

Prima lettura: At 18,9-18

Salmo: Sal 46 (47)

Vangelo: Gv 16,20-23a

 

La gioia che proviene da Cristo non sarà mai tolta: è una promessa!

Il dolore che stiamo vivendo, o abbiamo vissuto è circoscritto e non dura per sempre. Gesù per farcelo capire, ci fa l’esempio della donna che al momento del parto prova dolore e poi la gioia della nascita, prevale su quella sofferenza.

Ci sono, però, dei dolori difficili da superare, e non portano a una vita che nasce, per questi Egli è venuto: per essere sollievo nei cuori chiusi da tanta sofferenza, perché a volte, siamo proprio noi ad aver bisogno di rinascere da quel dolore.

Quanto è dura Egli lo sa, ha sperimentato per primo il dolore, la fatica, lo smarrimento, e parlare ora della gioia, non è dimenticare cosa vuol dire soffrire o non aver tatto per chi soffre, anzi è un incoraggiamento alla speranza. C’è una possibilità accanto a noi ed è Cristo stesso, Lui che ha fatto della morte una vita, ora fa del nostro dolore una rinascita. L’ostrica che non è stata ferita non produce perle.

Il Signore è Colui che vuole garantirci una vita, dove il dolore non sia l’ultima parola, e se anche i ricordi riaffioreranno, nessuno potrà toglierci la nostra gioia. La gioia che proviene dall’aver incontrato Colui che desidera riportarci non indietro, al momento del dolore, ma avanti, così che l’esperienza di Dio possa risanarlo. Sarà quella gioia scoperta, riconosciuta come un dono, a essere la forza per non domandare più nulla.

Affidiamo a Dio il nostro dolore, affinché lo trasformi. Lasciamo che il Suo amore entri nel cuore per risanare, lenire, curare e tocchi profondamente ogni momento della vita, così da sperimentare la Sua gioia e credere che non ci sarà mai tolta e sarà la nostra forza!

 

 

Cristo in quella roccia

 

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LITURGIA DELLA PAROLA   (clicca qui)

Prima lettura: Is 50,4-7

Salmo: Sal 21 (22)

Seconda lettura: Fil 2,6-11

Vangelo: Lc 22,14-23,56

 

Cominciamo la settimana Santa con la lettura della Passione secondo Luca. Abbiamo scelto di proporre una meditazione della Parola per immagini, ovvero: dare delle immagini “chiavi”, che possano aiutare ad addentrarci nei testi.

L’immagine è quella della roccia.

Giuseppe d’Arimatea, “si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto.”

Giuseppe era considerato uomo buono e giusto, che aspettava il regno di Dio. Il Signore aveva promesso il Regno e di fronte alla Sua morte, apparente fallimento, non perde la speranza, egli si fidava delle Sue parole. Giuseppe con riguardo, dà a Gesù una degna sepoltura, dona a quel corpo ferito, morto, la cura e il rispetto, avvolgendo in un telo e deponendolo in un sepolcro scavato nella roccia.

Il Signore roccia della nostra vita, risorgerà da quella stessa roccia, trasformandola da luogo di morte a segno di vita. Sarà proprio quel sepolcro vuoto, ad essere segno che Gesù è risorto. Egli desidera essere la nostra roccia, un luogo sicuro, stabile, dove poter risorgere, perché con Lui che è possibile!

Risorgiamo anche noi dalle nostre fatiche, dalle sofferenze e dai dolori, spostiamo quelle pietre che ci ostacolano con la forza di Dio, non abbattiamoci davanti alle difficoltà. In questa lotta non siamo soli, l’apparenza del nostro sentire, non deve superare la fede in quel Volto presente in noi, da sempre.

Come Giuseppe d’Arimatea ha creduto fino alla fine, anche noi deponiamo i nostri pensieri, le preoccupazioni e persino le nostre paure, che sanno di morte, in quella roccia da cui scopriremo uscirà la vita, risorgerà in noi la speranza e la morte non sarà più l’ultima parola.

 

Per riunire insieme i figli di Dio

per riunire insieme i figli di Dio

 

 

LITURGIA DELLA PAROLA   (clicca qui)

Prima lettura: Ez 37,21-28

Salmo: Ger 31,10-12b.13

Vangelo: Gv 11,45-56

 

L’antifona alla comunione, prendendo dal Vangelo della liturgia di oggi, cita: “Cristo è stato consegnato alla morte per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi”.

Domani cominciamo la settimana Santa, Gesù si sta avvicinando sempre più alle ore cruciali, c’è un’intensità in questi testi che coinvolge anche noi. Egli è venuto per offrire la Sua vita, affinché non fossimo dispersi: non c’è amore più grande!

Il Signore ci invita a sentirci raggiunti, recuperati da un amore che non ragiona secondo la logica del merito, ma del dono. Le difficoltà della vita, a volte, ci portano a dubitare persino di Dio, e non dobbiamo vergognarci se mai ci fosse capitato, ma provare a leggere questo versetto come rivolto a noi:

“Cristo è stato consegnato alla morte per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi”.  

Siamo anzitutto Figli di un Padre che è nei cieli, e per Lui siamo così importanti da mandarci Suo Figlio, che nutre gli stessi sentimenti del Padre: un amore che non vuole vederci perduti, abbandonati. Si può essere fragili, aver sofferto tanto, ma Dio vuole dirci che non siamo Figli persi, siamo nelle Sue mani e desidera per noi una vita viva, nella certezza che gli stiamo a cuore.

Ora con Gesù possiamo fare delle nostre morti, di quei dolori che rimangono dentro, spazi di Risurrezione, dove la vita è raggiunta da un Amore più grande. Siamo Figli creati dalle mani di Dio e se le nubi ci hanno avvolto arriverà un vento a toglierle, così da poter vedere riflettere il sole, nel cielo del nostro cuore.