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Ascari: I Leoni d' Eritrea. Coraggio, Fedeltà, Onore. Tributo al Valore degli Ascari Eritrei.

 

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L'Ascaro del cimitero d'Asmara.

Sessant’anni fa gli avevano dato una divisa kaki, il moschetto ‘91, un tarbush rosso fiammante calcato in testa, tanto poco marziale da sembrare uscito dal magazzino di un trovarobe.
Ha giurato in nome di un’Italia che non esiste più, per un re che è ormai da un pezzo sui libri di storia. Ma non importa: perché la fedeltà è un nodo strano, contorto, indecifrabile. Adesso il vecchio Ghelssechidam è curvato dalla mano del tempo......

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Storia. Anni 1896-1897. Parte terza.

Post n°64 pubblicato il 18 Agosto 2008 da wrnzla

Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it

Storia. Anni 1896-1897. Parte terza.

IL TRATTATO DI PACE DI ADDIS ABEBA - LA POLITICA AFRICANA DISCUSSA ALLA CAMERA - L'ECCIDIO DI LAFOLÈ - UCCISIONE DEGLI ESPLORATORI VITTORIO BOTTEGO E MAURIZIO SACCHI - LA CAMERA APPROVA LA POLITICA COLONIALE DI RACCOGLIMENTO - FERDINANDO MARTINI GOVERNATORE CIVILE DELL' ERITREA - ABBANDONO DI CASSALA

IL TRATTATO DI PACE DI ADDIS ABEBA

Ma, pochi giorni dopo, e precisamente il 26 ottobre, NERAZZINI riuscì a concludere felicemente le trattative stipulando con MENELICK il seguente trattato:

Art. I. - Lo stato di guerra tra l'Italia e l'Etiopia è definitivamente cessato. In conseguenza, vi sarà pace ed amicizia perpetua non solo tra Sua Maestà il Re d'Italia e Sua Maestà il Re d'Etiopia, ma anche tra i loro successori e sudditi. Art. 11. - Il trattato concluso ad Uccialli il 2 maggio 1889 è e resta definitivamente annullato.
Art. III. - L'Italia riconosce l'indipendenza assoluta, e senza riserva, dell'impero abissino come Stato sovrano e libero.
Art. IV. - Le due potenze contraenti, non essendosi accordate sulla questione dei confini, e desiderose tuttavia di concludere subito la pace e di assicurarne così i benefizi ai loro paesi, hanno deciso che, nello spazio di un anno, a datare da oggi, alcuni delegati di fiducia di Sua Maestà il Re d'Italia e di Sua Maestà l'Imperatore abissino stabiliranno amichevolmente le frontiere definitive. Fino a quando non saranno fissate, le due parti contraenti convengono di osservare lo "status quo ante", impegnandosi rigorosamente da una parte e dall'altra a rispettare il confine provvisorio Mareb-Belesà-Muna.
Art. V. - Fino al giorno in cui non siano stati, di comune accordo, fissati i confini definitivi, il Governo italiano si obbliga di non cedere alcun territorio ad altra Potenza. Nel caso volesse spontaneamente abbandonare una parte di territorio, questa passerebbe sotto la dominazione dell'Abissinia.
Art. VI. - Allo scopo di favorire i rapporti commerciali e industriali fra l'Italia e l'Etiopia, potranno esser conclusi accordi ulteriori tra i due Governi.
Art. VII. - Il presente trattato sarà portato a conoscenza delle altre Potenze dai due Governi contraenti.
Art. VIII. - Il presente trattato dovrà essere ratificato dal Governo italiano nello spazio di tre mesi a datare da questo giorno.
Art. IX. - Il presente trattato di pace, concluso oggi, sarà scritto in amarico ed in francese, con i due testi assolutamente conformi, e fatto in due esemplari, firmati dalle due parti, di cui uno resterà nella mani di Sua Maestà il Re d'Italia e l'altro nelle mani di Sua Maestà l'Imperatore d'Etiopia. Essendo ben di accordo sui termini di questo trattato, Sua Maestà Menelick II Imperatore d'Etiopia, in suo nome, e Sua Eccellenza il maggiore, dottore Nerazzini, in nome del Re d'Italia, hanno approvato e sigillato".

Nello stesso giorno fu dagli stessi stipulata la seguente convenzione relativa ai prigionieri:

Art. I. - Come conseguenza del trattato di pace tra il Regno d'Italia e l'Impero d' Etiopia firmato oggi, i prigionieri di guerra italiani, trattenuti in Abissinia, sono dichiarati liberi, Sua Maestà l'Imperatore d'Etiopia si obbliga di riunirli nel più breve tempo possibile e di consegnarli nell'Harrar al plenipotenziario italiano, appena il trattato di pace sarà stato ratificato.
Art. II. - Per facilitare il rimpatrio di questi prigionieri di guerra e assicurare loro tutte le cure necessarie, Sua Maestà l'Imperatore d'Etiopia autorizza una sezione della Croce Rossa italiana a venire fino a Gildessa.
Art. III. - Il plenipotenziario di Sua Maestà il Re d'Italia, avendo spontaneamente riconosciuto che i prigionieri sono stati oggetto delle maggiori cure da parte di Sua Maestà l'Imperatore d'Etiopia, constata che il loro mantenimento ha cagionato spese considerevoli, e che, per questo fatto, il Governo italiano è debitore verso Sua Maestà di somme corrispondenti a tali spese. Sua Maestà l'Imperatore d' Etiopia dichiara di rimettersi all'equità del Governo italiano per il risarcimento di questi sacrifici".

Il 16 novembre del 1896 Umberto I, con un telegramma controfirmato dal presidente del Consiglio e dai ministri degli Esteri e della Guerra, annunciò al Negus la ratifica del "Trattato di Addis-Abeba" e subito iniziò il rimpatrio dei prigionieri, gli ultimi dei quali riuscirono a ritornare nella primavera del 1897.
Con la pace di Addis-Abeba, alcuni italiani sostennero che "la nostra vergogna fu completa. Più che gli Abissini in Africa avevano vinto i nostri demagoghi in Italia, tutti coloro che avevano predicato contro la politica di espansione, che avevano reclamato il ritiro delle truppe dall'Eritrea, che avevano chiamato sciagurata e maledetta l'impresa africana, che si erano con insano sentimentalismo preoccupati della sorte di un migliaio di prigionieri ed avevano trascurata quella della nazione".

L'onta di Adua poteva facilmente essere lavata, ma dal meschino governo e dai pigmei della Camera di allora non si volle eliminarla. Si ordinò il rimpatrio delle truppe prima che fosse conclusa la pace, non si volle - ed era agevole - conquistare l'Agamè e il Tigrè, fu imposto a BALDISSERA di ritirarsi dietro la linea Mareb-Belesà-Muna; ed infine si concluse una pace che diede il colpo di grazia al prestigio di grande potenza perché l'Italia dovette rinunziare al protettorato sull'Abissinia, impegnarsi a cederlo la colonia nel caso di un abbandono dell'Eritrea e pagare sotto il nome di spese per il mantenimento dei prigionieri un' indennità di guerra al nemico. Con questa vergogna il Gabinetto Di Rudini segnò la fine del grandioso sogno di un impero etiopico, che dopo Adua poteva diventare realtà, ma che per viltà di governanti tramontò per sempre.
Simili problemi la civilissima e democratica Inghilterra non se li pose; così la Germania, la Russia e così la Francia

LA POLITICA AFRICANA DISCUSSA ALLA CAMERA
L'ECCIDIO DI LAFOLE'
UCCISIONE DEGLI ESPLORATORI VITTORIO BOTTEGO E MAURIZIO SACCHI
LA CAMERA APPROVA LA POLITICA COLONIALE DI RACCOGLIMENTO
FERDINANDO MARTINI GOVERNATORE CIVILE DELL'ERITREA ABBANDONO DI CASSALA


Nella seduta del 30 novembre ci fu alla Camera lo svolgimento d'interpellanze sull'Eritrea. L'on. DAL VERME difese la condotta del Governo e in particolar modo del ministro della Guerra; tentò di dimostrare che non per pusillanimità si era ordinato lo sgombro dell'Agamè ma per la difficoltà del rifornimento dei viveri e che essendo impossibile la guerra a fondo con l'Abissinia, non rimaneva che concluder la pace; propose la cessione parziale del territorio dell'Eritrea, dietro adeguato compenso, e concluse affermando non essere in questione l'onore della bandiera, che anzi non era mai stato così alto come dopo le lotte strenuamente sostenute da Dogali a Cassala, nella buona e nell'avversa fortuna.

L'on. AGNINI sostenne che l'Italia non aveva regioni commerciali e morali di rimanere in Eritrea e consigliò, anche a nome di altri deputati, di abbandonare la colonia. L'on. Di SAN GIULIANO disse che, "dopo la guerra, l'Eritrea aveva perduto molto del suo valore economico, ma niente del suo valore politico". Credeva anzi che questo fosse aumentato, trattandosi di posizione in cui "si poteva esercitare una azione efficace pro o contro determinate potenze; di posizione fra le più importanti del teatro mondiale per l'egemonia tra la razza slava e quella anglosassone, di una posizione che si connetteva alla situazione dell'Inghilterra in Egitto ed al vasto disegno coloniale della Francia".

La discussione continuò nella seduta del l° dicembre. L'on. IMBRIANI disse ancora una volta di esser favorevole all'abbandono assoluto della colonia, dichiarò di approvar pienamente il Governo che aveva sottoscritto la pace con l'Abissinia, disapprovò l'ordine del ministero della Guerra a Baldissera di mantenere l'occupazione di Cassala e concluse dicendo che "l'Italia in Africa aveva rinnegato il suo diritto pubblico ed era andata ad offendere il diritto altrui, profondendo centinaia di milioni e il suo miglior sangue, ma sul campo di battaglia l'onore era rimasto integro e più alto di prima, perché i soldati avevano dimostrato quale fosse la loro ubbidienza al dovere".

DI RUDINI, rispondendo ai precedenti oratori, spiegò le ragioni della conservazione di Cassala e del ritiro da Adigrat, rivolse un caldo elogio al maggiore Nerazzini per lo svolgimento e la conclusione dei negoziati con Menelick, affermò che con il trattato l'Italia si vedeva riconosciuto il diritto di sovranità su due nuove province d'Africa, l'Acchelò Guzai e il Seraè, parlò delle difficoltà di trasformare l'Eritrea da colonia militare in colonia puramente civile e commerciale, e concluse:
"Grandi amarezze ha dato all'animo mio questa politica africana, grandi amarezze ha dato al popolo italiano, il quale ha trovato la sconfitta, là dove cercava la vittoria e la gloria .... Non ci lasciamo traviare da miraggi che si trovano nel deserto ! Non lasciamo che il nostro pensiero si allontani da questa Madre-patria, che dobbiamo rendere grande, forte e potente! Ma di questo siate persuasi, o Signori, che questa patria non sarà grande, che l'Italia non sarà davvero una grande potenza, ed una potenza di prim'ordine, fintanto che sarà impigliata in imprese coloniali, sproporzionate alla condizione nostra ed ai nostri interessi".

L'on. IMBRUNI presentò, anche a nome di altri, la seguente mozione: "La Camera, riconoscendo esiziale per gl'interessi morali e materiali del paese il mantenimento della Colonia Eritrea, ne delibera il totale abbandono". Ma il giorno dopo la Camera respinse la mozione con 184 voti contrari, 26 favorevoli e 53 astenuti.

Il 3 dicembre l'Agenzia Stefani comunicava la triste notizia che a Lafolè, a 20 chilometri da Mogadiscio, una spedizione composta dei comandanti MAFFEI della Staffetta e MONGIARDINO del Volturno, del geometra QUIRIGHETTI, degli ufficiali di marina SMURAGLIA, BATALDI, DE CRISTOFORO, SANFELICE, GUZZOLINI, BARONI E GASPARINI, del macchinista OLIVIERI, del fuochista ROLFO, del domestico CARAMELLA, del timoniere VIANELLO e dei marinai GREGANTE e BONASERA, guidata dall'illustre esploratore ANTONIO CECCHI e scortata da 70 ascari, era stata nelle prime ore del mattino del 26 novembre attaccata da un'orda di Somali. Dopo accanita resistenza, 14 dei 17 italiani erano stati uccisi; si erano salvati solamente VIANELLO, BONASERA e GREGANTE; degli ascari 18 erano caduti e 17 erano rimasti feriti.
Quel giorno stesso sull'eccidio della "spedizione Cecchi" presentarono alla Camera, interrogazioni gli onorevoli RUBINI, DONATI, DI SAN GIULIANO, MACOLA e CANZI.
VISCONTI-VENOSTA, ministro degli Esteri, rispose che dalle notizie avute risultava che una punizione era già stata inflitta ai colpevoli e che il Governo aveva dato istruzioni e avrebbe preso tutti i provvedimenti perché tale punizione fosse veramente esemplare.
Di RUDINÌ non si lasciò sfuggire l'occasione per dichiarare che, quando l'Italia, si era accinta ad occupare la costa del Benadir, lui aveva alzato la voce in senso di diffidenza, per rammentare che non era stato troppo favorevole alla spedizione Bóttego e per dire che il Governo intendeva limitare la sua azione in Somalia alla difesa e protezione dei nostri stabilimenti sulla costa.

Alcuni mesi dopo e ne dava notizia il maggiore Nerazzini, il 23 aprile del 1897, altre vittime cadevano. Erano il capitano VITTORIO BÓTTEGO e il dottor MAURIZIO SACCHI, capo, il primo, di una spedizione di cui facevano parte il sottotenente di fanteria CARIO CITERNI e il sottotenente di Vascello LAMBERTO VANNUTELLI. La spedizione, partita da Brava il 12 ottobre del 1895, era giunta a Lugh il 18 novembre, vi aveva fondato una stazione commerciale sotto la direzione del capitano UGO FERRANDI e n'era ripartita il 27; aveva quindi esplorato con successo i bacini del Dana e dell'Omo; ma, nella via del ritorno, Sacchi era stato trucidato presso il Lago Margherita; gli altri erano stati assaliti dagli Abissini presso la frontiera etiopica e, dopo eroica resistenza BÓTTEGO era rimasto ucciso, e CITERNI e il VANNUTELLI erano stati catturati.

Verso la metà del maggio 1897 la Camera iniziò a discutere sulla politica africana. Sostennero l'abbandono della Colonia gli onorevoli DE MARINI, IMBRIANI, DEL BALZO, MARAZZI, BADALONI, COSTA, BERENINI, SICHEL, NOFRI, RAMPOLDI, SANI, DE CRISTOFORIS, PODESTÀ, GARAVETTO, COLLI, PALA, TASSI, R. LUZZATTO, MUSSI, PAVIA, PANTANO, TRAVELLI, PENNATO, RAVAGLI, POZZI, SCALINI, ZABBA, BISEARETTI, CREMONESI, LOCHIS, CAVALLOTTI, O. CAETANI, CURIONI, SORMANI, ARNABOLDI e OTTAVI; l'on. ANGELO VALLE sostenne che "si doveva rimanere dove si era e propose la formazione di un esercito coloniale". Favorevole al mantenimento della colonia, fu anche il Di SAN GIULIANO. Questi, fra l'altro, disse, che "l'importanza politica della nostra posizione a Massaua e sull'altipiano non riguarda solo l'influenza nostra nel Mar Rosso. Dall'altipiano si può anche direttamente ed indirettamente esercitare influenza sulle sorti dell'Egitto, su quelle dell'hinterland dell'Africa settentrionale, sul grande conflitto coloniale anglofrancese, e sul grande conflitto mondiale anglo-russo. Non è esagerato dire che sull'altipiano etiopico si difende la Tripolitania. E se noi non vediamo l'intima connessione della nostra posizione sull'altipiano con la tutela dei nostri interessi nel Mediterraneo, ben la vedono quelle potenze estere, le quali, avendo appunto nel Mediterraneo interessi opposti ai nostri, si sono servite del braccio di Menelick per cacciarci da quelle posizioni che sarebbero sempre più cresciute d'importanza, perché sempre più sarebbe cresciuta d'intensità la gara, per l'espansione coloniale fra tutte le potenze civili del mondo".

L'on. CHIMIRRI affermò che la Colonia Eritrea aveva un valore politico di altissimo ordine. Gli onorevoli DAL VERME, SONNINO, NASI, GIUSSO, CASALE, FRANCHETTI, MARTINI e GRIPPO proposero di sospendere ogni deliberazione sull'ordinamento della Colonia fino a quanto non fossero state adempiute tutte le condizioni del trattato di pace di Addis Abeba, anche perché era inopportuno parlare di abbandono o no della colonia quando il Maggiore Nerazzini trattava col Negus per la delimitazione dei confini.
Altri deputati si dissero favorevoli ad una "politica di raccoglimento".
DI RUDINÌ dichiarò che nell'anno decorso aveva cercato di ricondurre le cose nello stato in cui si trovavano dopo Coatit e Senafè. Per di più l'ultimo trattato permetteva di occupare tutto il paese fino al Mareb. Unica cosa mutata era la rinuncia al trattato di Uccialli, alla pretesa di esercitare il protettorato sull'Abissinia. Quanto agli intendimenti del Ministero, avvertì come il passato avesse dato non pochi ammonimenti e fatto dileguare non poche illusioni: per esempio l'occupazione di Cassala si era dimostrata solo un onere per il bilancio, e i fatti avevano provato essere un'illusione la speranza che sotto la protezione delle nostre armi potesse darsi sviluppo nell'Eritrea ad una colonia di popolamento. Dopo avere accennato alle grandi spese che l'occupazione militare della colonia richiedeva, il presidente del Consiglio concluse che "conviene formare una situazione di cose, la quale ci permette di ridurre ai minimi termini la nostra occupazione militare limitandola possibilmente alla sola Massaua; che non bisogna cedere, né in tutto né in parte, i territori sui quali si esercita la nostra sovranità", ordinando però il paese "sotto capi indigeni di nostra scelta", e infine che era "necessario far cessare il più presto l'occupazione di Cassala".

Il 22 maggio la Camera non approvò con 222 voti sfavorevoli, 140 favorevoli e 3 astenuti la mozione De Marinis-Imbruni-Pozzi sull'abbandono della Colonia, rigettò parimenti con 320 voti contrari e 58 favorevoli l'ordine del giorno MARTINI, appoggiato dal Sonnino e così concepito:
"La Camera, alfine di dare alla Colonia Eritrea l'assetto che meglio convenga alla dignità e agli interessi del paese, sospende ogni deliberazione e si riserva di riprendere la discussione intorno all'ordinamento della Colonia quando; adempiute le condizioni del trattato del 26 ottobre 1896, essa abbia tutti gli elementi necessari ad un giudizio definitivo"; infine fu approvato con 242 voti contro 94 e 20 astenuti l'ordine del giorno GALLO-RUBINI con cui la Camera prendeva atto delle dichiarazioni del Governo e ne approvava la "politica coloniale di raccoglimento".

Mentre a Roma si discuteva sulla politica africana, il Maggiore NERAZZINI svolgeva trattative con il Negus per delimitare i confini tra l'Eritrea e l'Abissinia. Ma l'accordo, per allora, non fu possibile; si riuscì soltanto, il 27 giugno del 1897, a stipulare un trattato con cui si accordava ai sudditi dei due Stati ampia facoltà di entrare, uscire e commerciare nei territori dell'altro.
Sulla fine dell'anno si mandò alla Scioa, come residente diplomatico; il capitano CICCODICOLA, che il 10 luglio del 1900 firmò ad Addis Abeba una convenzione che fissava: come confine la linea Tomat-Todluc-Mareb-Belesa-Muna.

Il 30 novembre dello stesso anno 1897 era stato nominato governatore civile dell'Eritrea (quindi cessa il governatorato militare) FERDINANDO MARTINI che tenne l'ufficio per dieci anni riorganizzando la colonia solidamente sotto l'aspetto politico, economico, amministrativo e giudiziario. Martini era un giornalista scrittore e deputato appartenente alla sinistra di Zanardelli.

L'anno si chiuse con un accordo italo-inglese, l'abbandono di Cassala. II 18-25 dicembre del 1897 fu sottoscritta dal colonnello CARLO SAMMINIATELLI e da CARLO PARSONS PASCIÀ una convenzione con cui Cassala era ceduta al Kedivè d'Egitto; un uomo di comodo che pur nominato kedivè (una specie di re governatore) politicamente ed economicamente l'Egitto era un Paese vassallo di una potenza straniera; Paese dal Sultano svenduto solo per ricavarne interessi personali.
Cominciò cosi il rigido dominio britannico, ma cominciarono pure dopo pochi anni, le gravi sommosse dei nazionalisti per ottenere la totale indipendenza dell'Egitto

LA CONVENZIONE
"Il corpo della piazza di Cassala con tutti i suoi fabbricati, fortilizi e dipendenze e gl'immobili demaniali unitamente a quella parte dell'armamento, di mobili, materiali, munizioni da guerra e da bocca, che sono distintamente inventariati negli allegati annessi al presente atto di cessione, passano da oggi, 25 dicembre 1897, alle ore 12, in piena ed effettiva proprietà di S. A. il Kedive d'Egitto, mediante pagamento da stabilirsi fra i due Governi".

In un atto addizionale fu stabilito:
I. Ai militari indigeni, che si trovano al servizio del Governo italiano, è fatta facoltà di passare fino alla data della presente convenzione al servizio del Governo egiziano. Coloro che aderiranno a tale passaggio saranno disarmati, congedati dal Governo italiano e arruolati dal nuovo Governo al cui servizio essi passano.
II. - I militari che passano al soldo del Governo egiziano acquistano il diritto che a loro siano conservati gli assegni che percepivano dal Governo italiano, e ciò fino al termine della ferma in corso".
------------------------------

E così dal Governo di RUDINI, fu "venduta" all'Inghilterra una città che tanto sangue e tanto eroismo erano costati all'Italia e che rappresentava per la colonia italiana una piazza di primissimo ordine, sotto l'aspetto commerciale e militare.
Le ragioni avanzate furono che la città lontana dalla base italiana di Massaua in Eritrea esigeva spese che il governo non intendeva più sostenere.

Ma non furono solo queste le "brillanti idee" della politica estera italiana -e così di quella interna- guidata da RUDINÌ.
Quella estera, europea, il "vecchiaccio" Crispi, dall'alto dei suoi 80 anni, l'attaccava e la chiamava, "sventura internazionale".

UNA INTERA ANALISI DELLA POLITICA ESTERA DI CRISPI FU POI FATTA
SU "LA VOCE" N. 36, DEL 15 AGOSTO 1919, DA GAETANO SALVEMINI.
(Abbiamo l'originale, e quindi l'analisi la riportiamo interamente)
( VEDI QUI )
Noi invece qui proprio della politica estera ed interna del Rudinì ci occuperemo nel prossimo capitolo…

 
 
 
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...Dunque tu vuoi essere ascari, o figlio, ed io ti dico che tutto, per l'ascari, è lo Zabet, l'ufficiale.
Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un cavallo.
Lo zabet turco sa il coraggio, non sa la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un somaro.
Lo zabet egiziano non sa il coraggio e neppure la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un capretto da macello.
Lo zabet italiano sa il coraggio e la giustizia, qualche volta disturba le donne e ti tratta come un uomo...."

(da Ascari K7 - Paolo Caccia Dominioni)

 
 
 
 

 
 
 
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