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Ascari: I Leoni d' Eritrea. Coraggio, Fedeltà, Onore. Tributo al Valore degli Ascari Eritrei.

 

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L'Ascaro del cimitero d'Asmara.

Sessant’anni fa gli avevano dato una divisa kaki, il moschetto ‘91, un tarbush rosso fiammante calcato in testa, tanto poco marziale da sembrare uscito dal magazzino di un trovarobe.
Ha giurato in nome di un’Italia che non esiste più, per un re che è ormai da un pezzo sui libri di storia. Ma non importa: perché la fedeltà è un nodo strano, contorto, indecifrabile. Adesso il vecchio Ghelssechidam è curvato dalla mano del tempo......

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Storia. RIASSUNTO ANNI 1935-36

Post n°155 pubblicato il 11 Settembre 2008 da wrnzla

Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it


RIASSUNTO ANNI 1935-36

(Oggi diremmo che sono di parte; ma questo leggevano gli italiani; non dimentichiamolo)
(Noi qui cerchiamo solo di capire)

* LA POLITICA COLONIALE DAL 1878
FINO ALLA CONQUISTA DI ADUA (giugno 1935)
(una lunghissima storia)
(PRIMA PARTE)

* NAZIONE-GOVERNO - POLITICA COLONIALE dal 1878 FINO ALLA CONQUISTA DI ADUA (agosto 1935)
(seconda parte)
* RAPPORTO DEI "13" DEL 6 OTT. 1935 della S. d. N.: L'ITALIA "HA AGGREDITO!" - SANZIONI! !
(gli articoli sopra in neretto seguono nelle successive pagine)

Ma erano le antiche ideologie, era il vecchio giuoco di voler essere furbi, era la solita mentalità del fare e del non fare, e, soprattutto, era lo sperare non si sa mai da chi felici combinazioni che continuavano beatamente a inficiare e a invalidare tutta la nostra politica e tutta la nostra azione di guerra: alla vigilia di attacchi nemici in forze, si elargivano le più tranquillanti informazioni, limitandosi a prospettare la convenienza di avere poche centinaia di soldati in più per fronteggiare ogni evento ; alternative di avanzate e di ritirate, di occupazioni e di sgombri, di patteggiamenti amichevoli e di rotture improvvise, dalle quali unici ad approfittare erano gli elementi malfidi usi a sfruttare la nostra dabbenaggine e la nostra ingenuità, e, pessima sopra le altre, la abitudine di dar credito al primo imbroglione che ci si prosternasse davanti, di accoglierlo, di ospitarlo, di trattarlo da pari a pari, e, in ultimo, di armarlo... contro di noi, ecco le caratteristiche del primo periodo attivo della nostra azione africana che, fatalmente, doveva sfociare in altri lutti e in altri errori.

Il Ministero amò alimentare l'illusione che con l'occupazione di Assab in seguito ad accordi misteriosi, l'Italia si preparasse a grandi imprese capaci di assicurarle una parte preminente nel bacino Mediterraneo : amò diffondere la fiducia che la presa di possesso di due teste di ponte nel Mar Rosso fosse il principio di ben più vasto disegno, fosse anzi - come il Minghetti, nell'ultimo discorso sulla politica estera pronunciato alla Camera, denunziò - il mezzo per giungere a conseguenze più rilevanti di quelle che apparivano : la pacificazione dell'Egitto e la possibilità di esercitare una influenza maggiore e non lontana nei mari europei !
Insieme con siffatta fiducia, vaga ma largamente divisa, incerta ma ammessa e accarezzata, rimase in armi e non affievolita la mentalità, a base di presupposti ideologici, di premesse liberaloidi, di aforismi contraddittori quali il Brunialti -tra tanti altri - ora proclamando la santità del rispetto alla indipendenza di tutti i popoli, e ora, in aperto contrasto con sé stesso, concedendo che in certi momenti i popoli, abbandonati i metodi blandi, debbano far uso dei metodi forti a tutela del loro prestigio e della loro dignità, concorse a espandere e a rinsaldare.

Alla suggestione delle frasi sonore e alla retorica accademica non poté naturalmente sottrarsi l'eloquente assertore del principio di nazionalità, il Mancini, il quale credette di combattere gli estremisti apologeti della libertà e della indipendenza altrui ad ogni costo, sottilizzando su l'uso e l'abuso, su popoli civili e su popoli incivili « quando - obiettò -- alcuni esprimono il timore che le imprese coloniali violino la libertà delle popolazioni indigene, si confonde l'abuso con la legittima azione dei popoli civili.
Certamente il penetrare anche in paesi non aperti alla civiltà, per offendervi la libertà delle credenze religiose, delle tradizioni di famiglia, delle costumanze che non siano offensive ai grandi principi di umanità e della giustizia, sarebbe, a mio avviso, non solamente un errore, ma un delitto. Ma i popoli che così procedono non sono colonizzatori, non sono mai riusciti nelle loro imprese di colonizzazione.
Vi ha, invece, un sistema di colonizzazione il quale sa limitare l'azione e l'influenza del popolo civile che viene a contatto con quello che ancora non fruisce dei benefici della civiltà e non ha ancora aperto gli occhi alla luce di questo sole dell'umana vita. E il merito di un popolo colonizzatore é riposto precisamente nel sapersi arrestare a questo limite ed é merito e dovere del Governo l'imporre ai suoi agenti, ai suoi soldati, quando anche sia mestieri adoperare la forza, di rispettare tutto ciò che merita rispetto nella umana personalità».

E non si accorse che, a furia di sottigliezze, si finiva con l'apparecchiare le interpretazioni più comode e i destreggiamenti più capziosi.

Di una larga e adeguata consapevolezza delle necessità improrogabili alle quali lo sbarco africano avrebbe dovuto assai presto far fronte, governo e popolo non mostrarono dovizia, neppure quando gli avvenimenti ormai incalzarono e situazioni politiche gravi si profilarono imminenti : il pubblico, sia per il suo temperamento portato all'entusiasmo e sia per la credenza maturata attraverso la condotta ambigua dei Gabinetti che qualche cosa di grandioso si preparasse e che la impresa africana segnasse i prodromi della realizzazione. di un piano pazientemente elaborato, salutò con plausi, con acclamazioni i soldati che partivano e dei quali reputava facile e non lontano il glorioso ritorno, mentre dai banchi del Governo, alla Camera e al Senato, fioccarono le dichiarazioni ottimistiche di aver tutto preveduto e di aver tutto approntato.
Il 24 gennaio dell'87, due giorni prima di Dogali, il conte di Robilant, che aveva preso il posto del Mancini nel dicastero degli Esteri, rispondendo al De Renzis e al Di Rudini che chiedevano notizie sulle possibilità di un attacco abissino e sullo stato difensivo della colonia, disse che le faccende africane andavano egregiamente, e che a proposito delle dicerie allarmistiche di cui gli interroganti si erano resi portavoci non gli pareva convenisse "attaccare tanta importanza a quattro predoni" che avrebbero potuto capitarci tra i piedi.
E il giorno stesso di Dogali, mentre cinquecento valorosi immolavano la loro vita alla insipienza dei reggitori e alla faciloneria dei pubblico, da un lato, il Di Rudini parlava con aria sprezzante di Ras Alula, e, dall'altro lato, il Di Robilant si vantava di poter dare, là per là, una severa lezione a quei "quattro predoni", già spregiati nella settimana precedente.

In un sole istante, Parlamento e Paese porsero prova di alto sentire : quando si diffuse la nuova della distruzione della colonna De Cristoforis ; comunicato il disastro nel pomeriggio dei 1° febbraio, la Camera, tolte pochissime frasi inopportune di due o tre oratori, votò in silenzio l'urgenza di un disegno di legge presentato dal Depretis e che autorizzava una spesa-straordinaria di cinque milioni per spedire dei rinforzi in Africa ; e, votata l'urgenza, riprese dignitosa e disciplinata la discussione del Bilancio dei lavori pubblici, temporaneamente interrotta.

La Nazione, dal suo canto, più sdegnata per la evidente insipienza governativa che preoccupata per i futuri pericoli, si astenne, di regola, da ogni dimostrazione incomposta.
Fu nei giorni successivi, quando venne in discussione il disegno di legge per i cinque milioni che a Montecitorio le rampogne dilagarono, sintetizzate nel grido : « via dall'Africa ! » e nel ritornello : « né un soldato, né un soldo ! » : la sfiducia verso i reggitori giunse al punto da far apparire non illegittimo il dubbio espresso da Andrea Costa, il quale, accennato alla asserzione formulata dagli organi ministeriali di non voler abbandonare la colonia prima di aver vendicato e riscattato l'onore d'Italia, si chiese quale garanzia fossero in grado di dare gli uomini che erano al governo, per una azione militare accorta e vittoriosa : « Io vi domando - disse - o signori che sedete al banco dei Ministri, a voi, o onorevole Genala, che sbagliate di un miliardo (il Costa alludeva ad un abbaglio preso dal Genala Ministro dei lavori pubblici), a voi, onorevole di Robilant, che confondete « quattro predoni » con un esercito agguerrito ; potete darci, voi, questa sicurezza che, quando avremo votato i cinque milioni, saprete rivendicare l'onore d'Italia ? No, o signori ; voi non mi potete dare questa sicurezza, ed io, alla mia volta, non vi darò un centesimo ».
E per le strade, la gazzarra antiafricanista fece la sua comparsa. Unico, o quasi, un'altra volta, il Crispi trovò la nota giusta avvertendo che, quali si fossero gli addebiti da compiere e le riserve da formulare, dacché soldati italiani erano andati in Africa, bisognava trarre profitto anche dagli errori : « dove é la bandierà tricolore, ivi é l'Italia ».

FERRUCCIO E. BOFFI.

segue la seconda parte

 
 
 
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   Agli Ascari d'Eritrea 

- Perchè viva il ricordo degli Ascari d'Eritrea caduti per l'Italia in terra d'Africa.
- Due Medaglie d'Oro al Valor Militare alla bandiera al corpo Truppe Indigene d'Eritrea.
- Due Medaglie d'Oro al Valor Militare al gagliardetto dei IV Battaglione Eritreo Toselli.

 

 

Mohammed Ibrahim Farag

Medaglia d'oro al Valor Militare alla Memoria.

Unatù Endisciau 

Medaglia d'oro al Valor Militare alla Memoria.

 

QUESTA è LA MIA STORIA

.... Racconterà di un tempo.... forse per pochi anni, forse per pochi mesi o pochi giorni, fosse stato anche per pochi istanti in cui noi, italiani ed eritrei, fummo fratelli. .....perchè CORAGGIO, FEDELTA' e ONORE più dei legami di sangue affratellano.....
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A DETTA DEGLI ASCARI....

...Dunque tu vuoi essere ascari, o figlio, ed io ti dico che tutto, per l'ascari, è lo Zabet, l'ufficiale.
Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un cavallo.
Lo zabet turco sa il coraggio, non sa la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un somaro.
Lo zabet egiziano non sa il coraggio e neppure la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un capretto da macello.
Lo zabet italiano sa il coraggio e la giustizia, qualche volta disturba le donne e ti tratta come un uomo...."

(da Ascari K7 - Paolo Caccia Dominioni)

 
 
 
 

 
 
 
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ASCARI A ROMA 1937

 

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