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Zagara&Pepe

La Metamorfosi è uno stato dell'Anima

 

 

« Tre.Allora si va »

Il futuro è fra un minuto 

Post n°22 pubblicato il 29 Agosto 2006 da pro_mos

“Non sei riuscita a cambiarmi

non ti ho cambiato lo sai”

 

-“Che palle!!”- esclamo spazientita Giada quando sentì suonare il cellulare e guardando sul display vide lampeggiare ancora quel nome che per tre volte prima l’aveva cercata, senza mai ottenere risposta “che palle!! Ancora la Simo”. Lei la Simo, la sua amica del cuore, la cercava ancora una volta per organizzare l’uscita serale.

 

Giada si spazientiva sempre quanto si sentiva pressata nel prendere una decisione foss’anche l’uscita serale. Già, l’uscita serale. Settecento, mille, forse millecinquecento i metri per arrivare al solito bar, incontrando i soliti amici.

 

Conosceva a memoria da una vita quella strada come tutte le strade di quel suo piccolo paese, una cittadina l’avrebbe definita un cartografo, ma Giada non s’interessava di cartografia, per lei c’erano i paesi e le città. E le città erano grandi con decine di migliaia, centinaia di migliaia di abitanti. Milioni. Loro erano le Città. Milano, Roma, Berlino, Tokyo. Mondi lontanissimi, universi paralleli lontani migliaia di chilometri da quel suo abitato. Milioni forse. Anni luce.

 

E milioni di anni luce erano forse la stessa distanza che Giada avvertiva a volte fra sé ed il mondo circostante. Un mondo che non avvertiva come ostile, piuttosto come lontano, lontano da sé, o, per meglio dire, se avesse potuto, avrebbe detto “da una parte di sé”.

 

E questo perché Giada si sentiva spesso come se fosse sé ed il suo doppio, o forse il suo opposto o, magari, sé ed il suo specchio. Riflesso.

 

Uscire per Giada era appunto far uscire una parte di sé, a volte l’una, a volte l’altra, indifferentemente, essere una parte di sé, netta, decisa. Non amava quel dualismo spesso inconcludente, contraddittorio. Discutere con sé voleva dire fermarsi e fermarsi, forse, invecchiare. E giada a 30 anni non voleva invecchiare, pensare al dopo, :-“al dopo….chissà!”-  diceva.

 

 

Uscire era uscire, andar fuori dai propri limiti, e non limitarsi a fare quei millecinquecentometri la massimo e finire dentro la solito bar con i soliti amici a scambiar le solite chiacchiere.

 

Per fortuna uscire era facile. Uscire davvero, fuori dai propri confini, da quelle braccia, da quelle gambe, da quel corpo che pure nessuno disprezzava, nemmeno lei a guardar bene. Uscire, allentare le barriere. Curiosità la chiamava, e si scioglieva facile dentro ad un bicchiere o finiva in gola, facile facile, o su per il naso o dentro ad una vena. Così. Fuori.

 

 

 

-“Curiosità”-  la chiamava –“perché tanto io non ci casco……conosco le regole del gioco”-

 

Perché cascarci per lei era ritentare, cambiare bastava, ricascarci non era quel sentirsi sempre alla ricerca di una via di fuga. Ricascarci era solo ricascare.

 

 

Curiosa, curiosità. Così era Giada anche nell’amore. S’innamorava della sua curiosità di sapere, di provare, una bocca nuova o un nuovo sapore………o semplicemente di una attenzione nuova

S’innamorava senza amare mai. Amava gli attimi, le sensazioni, i momenti più che le persone. Quelle erano gli ospiti, gli amici che invitava a condividere quella nuova emozione.

 

L’avresti detta farfalla, fossi stato entomologo, o magari falena, ma semmai lo fosse stata lo sarebbe di una specie nuova, dalle ali cangianti e dal corpo esile e flessuoso.

 

Né farfalla e neppure falena l’avrebbero bloccata o descritta che per un solo istante. Mutevole come il color di quell’ali che le avresti dipinte addosso. Così passava Giada davanti alla vita ed agli occhi di chi l’incontrava, fosse stato per un attimo solamente o sfiorata in quei mille, millecinquecento metri di solita strada che l’avrebbero portata a quel solito bar in compagnia dei soliti amici. O forse chissà, intravista in qualche spazio di quella sua vita tanto mutevole quanto uguale.

 

A volte per mutare occorre che tutto resti tale. A volte cambiare significa non spostare nulla in una stanza, soltanto aprire una finestra nuova, una magari che da chissà quanto tempo si era dimenticati di possedere o forse solamente non aperta perché con la serranda rotta, e mai, dico mai, la voglia o la necessità di aggiustarla s’era fatta spazio fra le esigenze d’un giorno.

 

Poi come d’improvviso, un giorno qualunque, la nuova luce, cambia la prospettiva delle cose, ed i colori assumono nuovo vigore, ed i contorni delle cose si fanno più netti. A volte addirittura arrivi a scorgere in quella stanza che  sembrava uguale da anni, qualcosa che ti era sfuggito, che so, un oggetto caduto e finito in penombra, un particolare, un segno.

 

A volte per cambiare non deve cambiare nulla. Solo entrare un po’ più di luce, perché è solo la differenza fra il prima ed il dopo, in quello stesso ambiente dove neanche l’aria dev’essere spostata, a far risaltare il nuovo.

A volte.

 

Ancora il telefono. La Simo, imperterrita, continuava a provare. Tanto la conosceva bene Giada, sapeva di quei suoi  sbalzi d’umore, ma sapeva anche che, alla fine, avrebbe risposto.

 

Alla quinta chiamata Giada rispose. –“Ciao, …….. si, ……….va bene”- furono i tre monosillabi che emise.. tutto era già stato deciso, era facile. Bastava lasciarsi trasportare dalla marea delle cose.

 

Settecento, mille, fors’anche millecinquecento i metri che la separavano dal solito bar, comodo proprio perché “il solito”, con la solita gente, il solito barman…….o meglio, “barista” che le avrebbe preparato “il solito”: succo d’arancia e vodka. Gelata.

 

-“Ma chi cazzo lo dice che il solito è sempre lo stesso?”- così rispondeva arrabbiata Giada a chi le domandava perché bevesse sempre quella miscela.

 

-“Anzitutto ci son tre modi di prepararlo……..”- precisava –“il primo prevede una parte di vodka e tre di succo, e va bene per le serate tranquille. Ne puoi bere quanto ne vuoi, senti a poco a poco un sottile senso di benessere arrivare, avvolto da una leggera euforia. Un galleggiare che è come farsi cullare dalle parole, dal via vai degli eventi . Nel secondo” – continuava Giada –“ci son due parti di vodka e due di succo. Avete presente le serate frizzanti? quelle dove la pelle sembra sfiorata dalla brezza dopo un bagno di sole? Dove tutti i pori s’increspano e i baci diventan subito caldi e vogliono un altro sorso che rinfresca ed un altro bacio poi a seguire? E poi c’è l’ultimo, una parte di succo e tre di vodka ed è quello che ci vuole quando il motore deve partire, ed allora corri via come su una decappottabile, i capelli al vento e le gote rosse ed accaldate per il sole che ti brucia. Via, giù in un colpo, che a pensarci troppo le molecole di questo liquore si combinano in modo strano con quelle del succo, ed il sapore non ti sembra neanche più quello. Forse per il cambiar di stato o di temperatura. Chissà? Ed è un gusto che ti prende in gola, o nel petto, più che nella bocca. Giù. Tutto. Senza pensare. Ed ogni bicchiere è un nuovo viaggio, una porta nuova che si apre, un nuovo paesaggio. A volte è Roma, altre Milano o Berlino o Tokyo. A volte.”-

 

Settecento, mille, fors’anche millecinquecento metri, soprattutto quando li conosci bene, passano in fretta. Eccola lì, Giada, dentro al solito bar, con il solito barista che la guarda sorridendo. –“Cosa prendi stasera?”- detto con un sorriso, con un cenno d’intesa ch’era già un saluto. –“Fammelo con una parte di succo, grazie”- rispose Giada con un sorriso. Mentre dentro di se la sua voce diceva –“stasera esco, vado fuori. Il futuro è lì, fra sessanta secondi, e se allungo le dita, magari, oggi riesco a toccarlo.”-

 

 

“Non son riuscito a cambiarti

non mi hai cambiato lo sai”

 

Incipt e parole finali di Fabrizio De Andrè.

 

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Commenti al Post:
fragolarossa1960
fragolarossa1960 il 30/08/06 alle 11:19 via WEB
Bellissimo e avvincente, come del resto i tuoi racconti lo sono sempre...un bacio
 
Readerle
Readerle il 31/08/06 alle 15:02 via WEB
i tuoi racconti sono sempre così, belli e vivi, a prescindere dalla simpatia che possono suscitare personaggi e interpreti...
 
pro_mos
pro_mos il 31/08/06 alle 20:01 via WEB
grazie ad etrambe.....siete sicure di aver letto anche il raccontino e di non esservi limitate alle parole di Fabrizio De Andrè? ....lo sapete che i complimenti mi fanno arrossire...?
 
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