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Zagara&Pepe

La Metamorfosi è uno stato dell'Anima

 

 

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Impressioni di un Settembre

Post n°74 pubblicato il 17 Ottobre 2007 da pro_mos

Ci sono domande che alle volte rumoreggiano dentro il silenzio di una stanza, come mosconi d’estate che ti ritrovi a svolazzarti attorno con quel loro cupo ronzare mentre ti accingi a prendere sonno.

 

Ad occhi chiusi cerchi di immaginarne la posizione e poi, a poco a poco, provi ad ignorarne la presenza ma quando pensi d’averli persi d’attenzione o di coscienza eccoli riapparire insistenti.

 

Allora bisogna alzarsi, vincere la forza di gravità che ti schiaccia sul letto, e pure quella forza ancora più pressante del tuo sonno incipiente che ti vorrebbe addormentato, e aprire una finestra e via, con le mani o un altro qualcosa che ti ritrovi vicino, a cercar di far uscire quell’inopportuna presenza. Via verso la sua libertà che per una curiosa coincidenza del caso dimostra che gli opposti, alle volte, coincidono. Alla sua libertà coincide magicamente anche la tua. Lui libero di spaziare verso nuove mete, nel cielo terso di un pomeriggio intriso di caldo e di profumi tu altrettanto libero  finalmente disteso a perderti fra le braccia d’un sonno che cerchi liberatorio d’ogni altro pensiero.

 

Ci sono domande alle volte così insistenti, che manifestano la loro presenza con un cupo ronzare dentro la testa. E lì, nella testa, non ci sono finestre da aprire, o porte e non le puoi scacciare se non prestando loro quell’attenzione che vorresti evitare per non impegnarti nel cercar soddisfazione d’una risposta che se non certa, risulti comunque plausibile, al passaggio vigile d’ogni forma di controllo razionale.

 

Ci son domande così, che a volte sono soltanto esigenze inespresse, e tu devi starci pure attento ad interpretare quel senso di malessere insistente, quell’insoddisfazione cui non sai appiccicare un nome e capire, comprendere, spiegare, e devi, come un oracolo interpretare i segni del tempo o dell’occasione e trasformarli in destino.

 

Ci son domande così subdole e insistenti che neppure al microscopio, potessi guardar le cellule del tuo cervello, le troveresti espresse.

 

Perché le domande  nascono così, non sai da dove tanto che ti verrebbe da chiedere, fosse una punto preciso di uno dei tuoi due emisferi, di congelartelo, di sezionarlo per poterlo abbandonare, per non sentirle nascere, per non viverci accanto. Per non avercele dentro.

 

Così son le domande, certe domande, a volte.

 

E allora ti accorgi che non sei solo cervello o che forse di cervello non ne hai abbastanza da capirle o da capirti, e ti rifugi in immagini di coscienza o di cuore o d’altro posto inesplorato, indefinibile, imperscrutabile. Resti così, sospeso, in quella forma di incoscienza che quasi ti toglie la ragione e cerchi con il prodigar di tutti i sensi di carpirne il mistero di quell’incognita. Respirare una domanda, toccarla, vedersela davanti agli occhi, succhiarla per sentirne il sapore, ascoltarla con l’orecchio teso come si fa con  il silenzio della stanza o lo sciabordio del mare o i racconti del vento o il cinguettar di uccelli o lo stormir delle fronde….Rumori a volte, altre un sollevarsi d’animo, un’alleggerirsi del cuore.

 

Ed era così dentro al cuore od alla testa di Elena che succedeva in quel momento. Un latrare di cani lontani, forse, il suono di una campana, no, due, una greve l’altra più acuta. Il suono della prima le rimbombava dentro al petto rimescolandosi a quello del suo cuore. La seconda le cerchiava la testa perforandole i timpani fino a non farla dormire.

 

Se n’era accorta quasi per caso, all’indomani di quel primo distratto punto di contatto che germogliavano, dentro di sé, parole soffocate, altre sconosciute o solo lasciate sottese. Germogliavano come i fiori del mandorlo o la mimosa, a volte profumate altre sgargianti, a macchie.

 

Ma erano rimaste lì come un voler non darci peso, o presa dal piacere di coglierne la sottile presenza. Piccole, sarebbero rimaste piccole, lei  lo credeva, la loro presenza non avrebbe turbato l’equilibrio meraviglioso della sua esistenza.

 

Le coltivò, anzi, compiaciuta di quel loro spontaneo attecchire su una terra che pensava ormai arida, secca. E bastaron poche gocce di rugiada ed un bicchiere colmo di affetto perché i germogli presto fiorissero e i tronchi e i fusti irrobustissero.

 

Ma la terra era tanta e si perdevano in quell’infinito deserto.

 

Fu allora che Elena colse quei primi fiori e se ne adornò il capo e i seni e i fiori carezzandola arrivarono a coprirne il corpo, possedendola. A questo Elena ne fu turbata ma le piacque quel gioco dei petali sulla sua pelle convinta di non smarrire la strada.

 

Anzi nutrì coi sogni quei dubbi incipienti, alimentando l’urgenza di una risposta che non si curò di dare anzi, si persuase che il dubbio non l’avrebbe scalfita ma rafforzata. Il dubbio.

 

Quindi cullò quei fiori nelle notti stellate sopra la terrazza  sotto il cielo di Itaca fino a che questi non invasero la terra trasformandola da deserto in giardino, e l’aiuola diventò poi un’oasi che si staccò dalle terre note per disegnar confini di un isola non troppo lontana, immersa fra onde e zefiri di luoghi sconosciuti.

 

Succede, successe che quando le domande diventano navi che tracciano una rotta, e da sopra il cassero il comandante scioglie le vele e parta verso i luoghi sconosciuti, a volte i marinai più accorti scendano di soppiatto da quei legni e resistano alla voluttà dell’infinito sazi del  loro sapere.

 

Tacciono per loro i richiami del nuovo mondo e le voci delle sirene sono echi confusi, indistinti, lontani.

Elena guardò quei fiori  che avevano coperto il mondo e si sentì smarrita. Coperte, parevano, le strade conosciute da quei colori e dai profumi assordanti. E sentì distintamente nascerle dentro l’urgenza di risposte che non voleva affrontare.

 

Richiuse gli occhi per l’interminabile comparire d’un attimo, di quegli attimi irreali, senza tempo.

 

Gli riaprì che il cielo s’era fatto buio. I fiori li attorno stavano tutti appassendo e con loro sentiva svanire  il bisogno d’una risposta urgente a quella rotta che aveva incrociato.

 

Uscì d’impulso sopra il balcone. La terrazza amica l’accolse con un calmo sorriso. Si sentì bene, d’improvviso. Calma. Prese un foglio ed un matita e tracciò in brevi tratti decisi la risposta maturata dentro il suo cuore.

 

Disegnò varie colonne, la sagoma del Partenone e sopra un cielo ricolmo di stelle ad una sola attaccò una scia che tutti lessero poi come d’una cometa.

Solo per lei fu chiaro da subito il messaggio.

 

Quella era la traccia della sua stella cadente.

 

E sotto scrisse piano un titolo che le venne dal cuore. “Impressioni di un Settembre” ma lei lo avrebbe per sempre chiamato amore.

 

 

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Commenti al Post:
cinzia63
cinzia63 il 20/10/07 alle 00:05 via WEB
sei il libro delle parole buone appoggiato sul comodino, sei quello scorrere degli occhi una parola dopo l'altra, sei la pausa di un respiro dopo il punto, sei la leggerezza di una ninna nanna alla sera. Settembre e' il mio mese, ed anche io lo chiamero' per sempre amore.... grazie Cla, bellissimo leggerti...
 
 
pro_mos
pro_mos il 21/10/07 alle 23:59 via WEB
spero sia comodo il tuo....comodino :-))
 
Readerle
Readerle il 23/10/07 alle 20:13 via WEB
loro le avrebbero sempre chiamate "amore" quelle impressioni, un settembre dopo l'altro....
 
viola.15
viola.15 il 05/11/07 alle 15:24 via WEB
Che bello!!! davvero... un bacione... ciao e buona serata
 
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