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Messaggi del 25/10/2015

 

Gianni Amelio: "La scuola non è obbligo ma diritto"

Post n°12685 pubblicato il 25 Ottobre 2015 da Ladridicinema
 

da cinecittà news
Cristiana Paternò19/10/2015
Alla Festa di Roma presentato il film di montaggio, prodotto da Istituto Luce Cinecittà, sulla storia dell'educazione nell'Italia tra il fascismo e il boom economico
Nasce da un progetto mancato, Registro di classe, il film d'archivio di Gianni Amelio e della montatrice Cecilia Pagliarani presentato alla Festa di Roma. "Volevo fare un lungometraggio su una maestra del dopoguerra, ispirato a una mia zia che insegnava nella scuola serale in Calabria e che ogni giorno si faceva 16 km a piedi tra andare e tornare. Avrebbe dovuto essere il racconto di una ragazza che esce dalle magistrali e va a fare la scuola serale a 300 adulti, solo uomini, dai 21 ai 100 anni. Il film non me l'hanno fatto fare, ma Roberto Cicutto mi ha aperto l'archivio del Luce e così è nato questo primo capitolo, dal 1900 al 1960, a cui ne seguiranno almeno altri due". Dopo Felice chi è diverso Gianni Amelio torna quindi a lavorare su materiali d'archivio per comporre una storia dei diritti negati o conquistati faticosamente. Qui sui banchi scolastici del Regno e della Repubblica, tra analfabetismo di massa, esaltazione dell'educazione fascista e classismo del dopoguerra e degli anni del boom, quando la massima aspirazione era avere il figlio ingegnere o dottore. Oggi le nuove sfide riguardano l'integrazione e il sostegno alla scuola pubblica. 

Registro di classe sarà in sala per 48 ore in tutta Italia con proiezioni e dibattiti rivolti a studenti e insegnanti, come spiega l'ad di Istituto Luce Cinecittà. Tra i sostenitori ovviamente il Miur - che ha aperto le sue biblioteche - e la Rai, che lo coproduce e lo manderà in onda. Il libro secondo, dagli anni '70 al 2000, sarà pronto per il 30 novembre.

Amelio, il suo film parla della scuola di ieri, come vede quella di oggi?
Sono stati fatti progressi enormi. Ma lo sviluppo è stato accompagnato da un errore di fondo: si è parlato di scuola dell'obbligo, parola che ho in odio, si sarebbe dovuta chiamare scuola del diritto. Chi non è andato a scuola e aveva bisogno che le forze dell'ordine andassero a stanarlo a casa o nei campi, era perché non poteva permetterselo. Dal 2000 l'istruzione viene considerata un fatto che spetta alla famiglia. Da parte di chi fa le leggi c'è disinteresse perché qualcuno supplirà al nostro disimpegno. Questo porta a un trattamento terribile dei maestri: sono una delle classi lavoratrici più martoriate e sottopagate. La disistima del loro lavoro si traduce in menefreghismo da parte loro perché si sentono emarginati. 

Il sostegno alla scuola privata crea ulteriori disparità. 
Nel film viene mostrata la situazione a Napoli negli anni '60: c'è la scuola svizzera efficiente e costosa per i ragazzini del Vomero, e ci sono gli scugnizzi che non vanno a scuola e raccolgono i cartoni insieme al padre. Ma il problema non è la scuola, è aver ridotto quel genitore in una condizione disperata. Oggi il privilegio delle scuole private è discutibile. I costi delle rette e le altre spese, dalla divisa ai libri, impediscono di fatto l'accesso al 90% dei bambini. Quella è davvero una scuola di classe. 

La classe dunque come insieme di alunni ma anche come classe, ceto sociale. Un fattore che continua a incidere profondamente sull'educazione. 
La scuola, nella sua cecità, oggettivamente discrimina, forse non lo fa apposta, ma di fatto fa cadere dall'alto qualcosa che dovrebbe nascere insieme all'uomo. Tutti dovremmo avere gli stessi diritti alla nascita e si dovrebbe cominciare proprio dalla scuola. 

Come dovrebbe essere la scuola del futuro?
Dovrebbe superare gli errori del passato anche recente. Nel libro primo di Registro di classe si vede un'Italia divisa in due tra Nord e Sud. Lo spaesamento del maestro di Bologna mandato a insegnare in Basilicata, dove parlano un dialetto che non capisce, somiglia al disagio degli insegnanti di oggi trasferiti lontano da casa. Non è obbligatorio che uno lavori in casa propria, però il buon senso potrebbe far sì che ci si incontri a metà strada. In Così ridevano raccontavo l'Italia degli anni '50 e l'emigrazione interna che provocava problemi di comunicazione perché la lingua connotava come diverso il meridionale che arrivava a Torino dal Sud e che veniva visto come un essere di serie b. Il contrario non accadeva perché il torinese a Catanzaro non ci andava mai. Oggi il dialetto viene sostituito dalle lingue straniere. Se andate in una scuola a Colle Oppio il 30% degli allievi sono figli di extracomunitari. Per questi bambini la lingua italiana è una lingua straniera.

Che ricordo ha delle sue elementari?

Erano gli anni '50 e si parlava in dialetto con l'insegnante. Noi bambini non sentivamo la mancanza dell'italiano. Il maestro Grande era severissimo, passava il pomeriggio sul balcone di casa sua per vedere se qualcuno di noi era per strada, perché voleva dire che non aveva fatto i compiti. Studiavamo ancora su un sillabario fascista, ma si parlava in calabrese. Da adulto ho fatto il professore in seconda media a Sant'Andrea Apostolo dello Jonio, ero appena uscito dal liceo e insegnavo quasi solo a tradurre il dialetto. Pensate - per capire la difficoltà - che in calabrese "brocca" significa forchetta. 

Oggi la stessa difficoltà appartiene ai figli degli immigrati.

Le mie nipotine sono di padre albanese e madre polacca e hanno fatto uno sforzo enorme per imparare l'italiano. 

Il film ci mostra la propaganda fascista in azione. 

Le immagini che vediamo nel film vengono da un filmato propagandistico sulla scuola fascista rivolto a spettatori stranieri. Uno spot riuscito su qualcosa di nefasto, mentre oggi magari non sappiamo comunicare bene qualcosa di buono. I fascisti davano a intendere che ci fosse la libertà, che gli alunni fossero tutti uguali, in realtà erano obbligati a essere scolari fascisti. A un occhio distratto certe azioni possono apparire quasi positive, ma in realtà si allevavano dei prigionieri, dei polli in batteria. E poi dietro la facciata venivano istruiti alla guerra, come si svela nella parte in cui i bambini indossano le maschere antigas. Diventano marionette, mostri senza espressione, e nessuno gli insegna che la guerra è una cosa atroce. 

In Lettera a una professoressa, il famoso libro uscito dalla scuola di Barbiana di Don Milani nel 1967, si contestava l'educazione discriminatoria nei confronti dei contadini, definendo la scuola un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Quei principi sono ancora validi? Come possono essere aggiornati?
Il nodo delle etnie incrociate somiglia al disagio del figlio del contadino nella scuola retta dalla "professoressa". Pasolini lo dice molto bene quando parla del percorso piccolo borghese di una società che non dà accesso alla cultura ai figli dei contadini. Ma il finale del primo libro di Registro di classe, con le immagini della scuola di Barbiana, è un finale di speranza.  

 
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Mark Osborne: ‘Il piccolo principe’, un tesoro da proteggere

Post n°12684 pubblicato il 25 Ottobre 2015 da Ladridicinema
 

Andrea Guglielmino24/10/2015
Arriva alla Festa del Cinema di Roma, nella giornata di chiusura, ‘Il Piccolo Principe’, adattamento cinematografico – molto libero - del celebre romanzo omonimo scritto da Antoine de Saint-Exupéry.
La regia è di Mark Osborne (Kung Fu Panda). La produzione è francese/canadese (Onyx Films, Orange Studio,On Entertainment), ma il film è pensato come un cartoon internazionale, distribuito da Paramount all’estero (da noi da Lucky Red), e doppiato, nell’edizione anglofona, da grandi star (Jeff Bridges, Rachel McAdams, Paul Rudd, Marion Cotillard, James Franco, Paul Giamatti, Mackenzie Foy). Cotillard è anche nell’edizione francese, insieme a Vincent Cassel e Guillaume Galienne, mentre in Italia sono in ballo i nomi di Paola Cortellesi, Stefano Accorsi, Pif e Alessandro Siani insieme a Micaela Ramazzotti, Toni Servillo, Alessandro Gassman, Giuseppe Battiston. 

Resterà deluso chi si aspetta una trasposizione fedele del romanzo. Per buona parte del film il Piccolo Principe fa da corollario, dopodiché la pellicola assume le fattezze del sequel apocrifo (un po’ sul modello diHook di Steven Spielberg, il cui cinema di ‘sense of wonder’ influenza d’altro canto buona parte di questo cartoon). La storia non c’entra con il romanzo e parla di una ragazzina pressata da una madre molto presente ma anche estremamente solerte nel pianificare la sua vita, senza lasciare il minimo spazio alla fantasia. L’incontro con un vecchio aviatore (chiaramente omaggio allo stesso Saint-Exupéry, aviatore oltre che poeta e scrittore) le cambierà la vita. Ed è proprio questo nuovo amico – il vero Saint-Exupéry è scomparso in mare in volo, nel 1944, e dichiarato ‘Morto per la Francia’- a farle conoscere la storia del Piccolo Principe attraverso i suoi scritti. Le parti più entusiasmanti del film sono proprio quelle più fedeli al libro, quando la bimba entra nel vivo della narrazione, l’animazione, da computerizzata, si converte in classica stop-motion e richiama proprio le illustrazioni del libro (opera sempre dell’autore). Solo pochi episodi ne sono però riportati brevemente (tra cui il più classico, quello della volpe).   

Ne parliamo con il regista. 

Pensa che questa storia sia ancora adatta per grandi e piccini? 

Assolutamente sì, vedo ogni film come un’opportunità. Kung Fu Panda mi ha permesso di omaggiare la cultura orientale delle arti marziali ed è stato molto ben recepito in Cina e Indonesia, quindi ho pensato che allo stesso modo potevo adattare questo classico con il medesimo rispetto. Ma non ho voluto fare una trasposizione letterale, ho pensato piuttosto di fare un film su come il libro potesse incidere sulle nostre vite. Volevo creare un’esperienza cinematografica che fungesse da eco e ne espandesse il significato. Sicuramente mi ha ispirato il cinema di Miyazaki e il suo lirismo. La fantasia come ispirazione, come inTotoro. E’ un libro magico che funziona a tutte le età. Ogni volta che lo leggi puoi trovarci degli elementi significativi. Mi entusiasmo quando sento che i nonni portano a vederlo i loro nipoti. Potrebbero venderlo come un film per i nonni. Io penso di non fare film per bambini, ma film per esseri umani. 

Come ha cercato di mantenersi fedele allo spirito del romanzo? 

Se ci fate caso nel film non ci sono computer o cellulari, volevo che, come il libro, fosse una storia fuori dal tempo e universale. Il modo in cui la mamma tratta sua figlia nelle prime fasi del film è preso dai racconti che danno inizio al romanzo, in cui Saint-Exupéry  racconta di come, da bambini, tutti lo intimassero di smettere di disegnare per dedicarsi alla scienza e alla matematica. Spesso ci viene richiesto di crescere troppo rapidamente. Saint-Exupéry  compare nel film, come un vecchio aviatore ottantaseienne. Nel libro è detto chiaramente che lui incontra il Principe quando ha 40 anni e lo saluta quando ne ha 46. Questo potrebbe essere l’unico riferimento temporale presente. 

E’ stato difficile gestire la commistione di immagini moderne in cgi e animazione classica? 

E’ stata una delle prime idee che ho avuto e temevo non mi consentissero di usare la stop-motion, ma io volevo assolutamente rendere la sensazione di qualcosa di fragile come la carta, che non fosse freddo e finto. Inoltre la tecnica della stop-motion dà l’idea di qualcosa di antico, sa di ricordo d’infanzia. E’ come un ponte tra la realtà e quelle bellissime illustrazioni. Mi fa piacere che il pubblico abbia reagito favorevolmente e abbia apprezzato. Mi dicevano ‘è troppo difficile’, non funzionerà mai, ma io sono sempre stato convinto che fosse la scelta giusta. 

Quali sono stati gli altri suoi riferimenti? 

Tutti noi animatori siamo molto appassionati di cinema, non sono d’animazione. Sicuramente ci sono richiami espliciti a Jacques Tati e Mon Oncle. Per me la storia della bambina è un modo per ‘proteggere’ il libro, perché fare una trasposizione letterale sarebbe stato controproducente, essendo un libro molto particolare che ognuno può interpretare in maniera diversa. In questo modo abbiamo creato un filtro perché quello che vediamo è la sua versione della storia, vista attraverso la sua immaginazione. Ciascuno si concentra su parti diverse del libro, quelle che per lui sono più significative. Molti mi dicono che alcune parti non le ricordavano, ma magari non le avevano nemmeno lette. Abbiamo scelto le parti che sono significative per la nostra protagonista, quelle che rispondono al suo senso di solitudine e al suo rapporto con la famiglia. Volevo instaurare con il pubblico un vero senso di dialogo. Per gli artisti che è hanno partecipato stato come un magnete. All’inizio erano scettici ma poi se ne sono innamorati. Sono entusiasta dei cast internazionali e anche di quello italiano. Io pensavo che la eco del film fosse già finita, invece vedo che continua a crescere e a ottenere consensi in ogni parte del mondo. 

Ha provato a proporlo a Studios più grandi? 

Non è un film da studio-system, è troppo particolare. E non c’era altro modo di raccontare questa storia, per quanto mi riguarda. A volte enso che tutto quello che mi è capitato nella vita mi abbia portato alla realizzazione di questo progetto. Al libro sono legatissimo, me lo regalò mia moglie in un momento in cui mi ero allontanato, dalla California ero andato a New York per studiare animazione e la frase ‘l’essenziale è invisibile agli occhi’ era per me una promessa d’amore, come dire: ‘saremo comunque sempre insieme’. 

Non ha mai temuto di essere troppo ambizioso? 

Beh, ho scoperto che Orson Welles voleva dare un seguito a Quarto Potere, ma non ha mai trovato i soldi. E lo stesso Saint-Exupéry  ha provato la strada di Hollywood, voleva fare film per cambiare il mondo ma quello che vide non fece che deprimerlo. Per questo poi scrisse il romanzo. Credo che sia ancora molto utile, soprattutto per i genitori. Vorrei sempre avere qualcuno che mi ricordi di passare più tempo possibile con i miei figli. 

 
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Paolo Villaggio: Fantozzi siete voi

Post n°12683 pubblicato il 25 Ottobre 2015 da Ladridicinema
 

Andrea Guglielmino23/10/2015
Ritornano al cinema restaurati in 2K 'Fantozzi' (il 26, 27 e 28 ottobre) e 'Il secondo tragico Fantozzi' (il 2, 3 e 4 novembre).
In anteprima, per celebrare il quarantennale dell’uscita del primo episodio, i film sono stati presentati alla Festa del Cinema di Roma e per accompagnarli è stato organizzato un incontro con Paolo Villaggio (accompagnato da Anna Mazzamauro Plinio Fernando, rispettivamente storici interpreti della Signorina Silvani, amore infelice del Ragioniere, e della sua mostruosa figlia Mariangela). Un Villaggio ottantatreenne scatenato, quello che ha tenuto l’incontro dando del ‘cesso’ alla sua partner (epiteto da considerarsi affettuoso, dato che lei ricambiava con simpatia) e parlando senza peli sulla lingua delle sue idee sul mondo attuale, dal lavoro alla religione. Fantozzi riuscirà in 80 copie e tornerà anche nel Regno Unito – dove era già uscito ai suoi tempi – all’RCS Theatre di Regent Street a Londra. 

Quando è nato esattamente Fantozzi? 

Non sarei capace di dirlo con esattezza. Sicuramente la prima volta che è stato visto in pubblico era in un cabaret molto artigianale che facevo con Fabrizio De Andrè. Eravamo poveri in canna, arriva quest’uomo di una bruttezza esagerata e ci dice: sono un giornalista di ‘Grazia’. Già lì l’ho guardato male. Ci dice ‘se venite a Roma vi garantisco un grande successo’. Era Maurizio Costanzo. Fabrizio era un vigliacco e disse che voleva restare a Genova e poi andare in Sardegna. Io invece su consiglio di mia moglie scelsi l’incerto per il certo e andai, e fu effettivamente un esordio molto incoraggiante. Era una serata con Flaiano, c’era anche Marco Ferreri, c’era Gassman, ero in forma strepitosa. 

(un uccellino entra in sala interrompendo la seduta) 

“E tu che vuoi? Guarda che non sei il primo animale che mi ruba la scena. Una volta un leone voleva darmi una zampata, lui voleva salutarmi ma mi sono cacato sotto”. 

Che è successo dopo? 

Mi hanno chiamato a Milano, per ‘Quelli della domenica’. Lì ho conosciuto Renato Pozzetto e abbiamo fatto una stagione molto divertente. La tv ti rende famoso, importante, spesso ricco. 

E anche amato? 

Amato, proprio, non direi. Il personaggio di Fantozzi era troppo all’avanguardia e non piaceva alle donne. Dicevano: ‘non mi portare a vedere quello. Mi fa tristezza’. A loro piacevano le storie d’amore. Ora mi danno i baci, perfino le ragazze più giovani e carine. Mi dicono: ‘lei ci ha fatto capire la decadenza’. E in effetti era triste, tanto che io il secondo libro lo avevo intitolato ‘Il secondo tragico Fantozzi’, nonostante tutti me lo sconsigliassero. Eppure fu un grande successo, perché l’Italia è sempre sull’orlo della tragedia. Anche se gli italiani sembrano sopportare tutto. Magari ancora a quei tempi non c’era la povertà, però pensiamo alla sanità. Uno malato di tumore va in ospedale e gli dicono: torni tra sei mesi. Dopo sei mesi può tornarci la vedova. Mi dica lei se questo non è tragico. 

Quindi l’Italia per lei è tragica? 


Ci sono gli intellettuali che leggono Scalfari e tutte le prime pagine dei giornali e a inizio serata fanno sempre bella figura. Ma alla fine della serata parlano di calcio e di cronaca nera. Le notizie che fanno gola sono le fratture di Totti, o quelle che riguardano gente che accoltella e tritura la moglie. Oppure il vecchio tormentone ‘sono tutti ladri, non c’è da fidarsi’. Ma non è una vera lamentela. E’ invidia, tutti vorrebbero essere ladri. Il sogno dell’italiano medio è fare una rapina in banca, ma nessuno ha il coraggio di farla davvero. Anche perché sono tutti sovrappeso e resterebbero bloccati nel portello. 

Pensa che Fantozzi sia ancora un personaggio attuale. E come lo aggiornerebbe al 2015? 

Fantozzi siete voi tutti. 

Ma almeno lui ha il posto fisso. Sembra quasi un privilegiato. 

Questo perché l’Italia è un paese povero. Anche culturalmente, pensiamo proprio al nostro lavoro, il cinema. Un tempo si producevamo cento film, oggi quanti? Giusto quelli che vanno a Cannes. E conta solo quanto fanno. Tu puoi anche dire ‘ma quel film è una m…’ ma ti rispondono ‘ah sì, lo sai quanto ha incassato?’. Fantozzi è rassicurante. Dice che non siamo isolati nella nostra incapacità di essere felici. Vale per tutti, anche per le donne, a cui abbiamo promesso mari e monti e ora fanno ancora le serve per i mariti, pur lavorando. 

E’ sempre stato sicuro che sarebbe stato un successo? 

Al cinema, sì. Avevo già scritto i libri. Il primo ha venduto un milione di copie, il secondo settecentomila. Oggi Camilleri, che personalmente non riesco a leggere, ne vende ventimila. Quindi la preoccupazione era, semmai, che il film mantenesse il successo del libro. E così è stato, dopo l’esordio a Firenze mi chiama il produttore e mi dice: faremo dieci miliardi di lire. E così è stato. 

Cosa ricorda della scelta dei suoi partner di scena? 

La Mazzamauro la scelse Salce perché aveva osato dare del ‘fellone’ a Fellini. Ce ne voleva una bruttina e il truccatore disse ‘per me è già pronta’. Liù Bosisio però era veramente tremenda. Rispetto a lei Anna era uno splendore, era credibile che Fantozzi si potesse invaghire di lei. Milena Vukotic, che ha interpretato Pina negli altri film, invece, pur essendo una grandissima attrice non era tanto nel ruolo, perché è dolce e carina e non si capisce perché Fantozzi dovrebbe tradirla. Poi c’è Plinio, che ci ha svoltato i casting perché tutte la mamme ci portavano bambine bellissime e stavano lì a dire ‘oh, dottore, guardi che bella mia figlia’ mentre a noi serviva una scimmia. Plinio è stata una folgorazione: vestire un mostro da bambina. 

Le piace essere qui alla Festa? 

Io adoro le celebrazioni. Le so fare anch’io. Diciamo che è una prova generale del mio funerale. Tutti stanno qui a dire quanto ero grande, esagerando anche. Comincio a sospettare che sia proprio così. 

Lei è religioso? 


Assolutamente no. Non credo in niente, e guardi, questo papa così furbo e abile che ha semplificato il linguaggio, è molto amato ma sinceramente, come tutti i papi, è troppo colto per credere davvero nel Paradiso. Gli hanno recentemente diagnosticato un tumore, lui ha smentito ma credo che della morte abbia paura pure lui. L’aldilà non esiste e lui lo sa. E poi ce lo spiegassero, com’è questo aldilà dei cristiani. Nessuno lo sa definire esattamente. Il Corano è il libro proibito ma lo descrive molto bene. In un paese desertico, è un posto bellissimo pieno di fiori, frutta, dolci e, con licenza parlando, di fica. E’ un paradiso molto conveniente. I cattolici il paradiso non lo sanno raccontare. Dicono solo se non vi masturbate, se non rubate, tutta una serie di divieti – non consigli, divieti – allora ci andrete, ma se potessi chiedere a uno che è già morto, gli chiederei com’è. 

Beh, lei ha provato a descriverlo, con Fantozzi in Paradiso… 

Sì, ed era una trappola mortale. Una truffa, appunto.

 
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Pablo Larrain: "Per la Chiesa i media sono peggio dell'inferno"

Post n°12682 pubblicato il 25 Ottobre 2015 da Ladridicinema
 

Cristiana Paternò24/10/2015
Il regista cileno, a Roma per la retrospettiva che la Festa gli ha dedicato, parla del suo nuovo film, in uscita a novembre, El Club, duro atto d'accusa contro le ambiguità della Chiesa cattolica
El Club, Orso d'Argento a Berlino e inviato dal Cile agli Oscar come Miglior Film Straniero, ha concluso la retrospettiva che la Festa di Roma ha dedicato a un regista neanche quarantenne e già autore di cinque film tutti memorabili, tra cui Tony Manero Post Mortem. Da sempre attento a scandagliare le dinamiche del potere con un cinema profondamente politico e di notevole complessità concettuale, Larrain stavolta ha preso di petto la Chiesa cattolica, come istituzione chiusa e autosufficiente, un "club" appunto in cui i panni sporchi si lavano in casa. E la casa del film, in una sperduta località sull'oceano Pacifico, è quella in cui vivono quattro uomini e una donna allontanati dalla Chiesa per qualche atto commesso in passato. Si tratta di crimini gravi ma che non sono stati affidati alla giustizia terrena ma a una sorta di esilio: tra questi c'è la pedofilia, ma anche la connivenza con il regime di Pinochet e persino la vendita di neonati non desiderati a genitori ricchi. Il cineasta, che sta montando un nuovo lavoro, un noir su Pablo Neruda nei due anni in cui fu ricercato dalla polizia, ieri sera ha partecipato a un affollato incontro con il pubblico condotto da Mario Sesti al Maxxi. El Club sarà in sala con Bolero il 20 novembre, Cinecittà News ha intervistato il regista. 

El Club è un film misterioso e difficile da decifrare, che mantiene tutta l'ambiguità dei comportamenti dei suoi personaggi.
Preferisco non dare la chiave di lettura, altrimenti lo spettatore che ci va a fare al cinema? Ho bisogno di uno spettatore attivo. Trasmettere informazioni ambigue crea un senso di inquietudine. Anche la Chiesa funziona con questa ambiguità.

Il film parla anche di colpa e di perdono. 
Sicuramente El Club è un esercizio sulla non remissione. Nella Chiesa cattolica, per essere perdonato, devi fare atto di contrizione, confessarti con un prete, ma non conosco un solo sacerdote che abbia riconosciuto i suoi errori pubblicamente, a parte Papa Francesco che ha chiesto scusa a nome della Chiesa. Però come si può perdonare chi non chiede perdono? 

La Chiesa sembra convinta di poter affrontare e risolvere questi casi al suo interno, senza ricorrere alla giustizia terrena.
La Chiesa crede che i peccati vadano lavati solo davanti a Dio. Noi viceversa pensiamo che i peccati siano anche dei delitti e che vadano portati davanti a un tribunale, ad esempio nel caso della pedofilia. Il segreto della confessione nasconde un atto di vigliaccheria. La Chiesa ha due facce: di fronte al mondo esterno diffonde la parola di Cristo e il suo messaggio di amore, perdono e compassione, ma al suo interno è del tutto diversa. Cristo però non aveva questa doppiezza.

Lei è credente?
Sono cattolico, ma la mia fede dipende dal giorno, oggi no, magari domani sì. 

Il personaggio del gesuita che arriva nella casa per confessare i preti ci fa pensare alla nuova Chiesa rappresentata da Papa Francesco. Cosa pensa di Bergoglio.
Papa Francesco rappresenta la nuova Chiesa, più vicina alla gente, più umile, capace di chiedere perdono, che si scontra con una Chiesa antica, a porte
chiusa, infatti la parola "conclave" vuol dire proprio chiuso a chiave. La battaglia tra queste due visioni crea un materiale molto interessante per un film. Però in comune hanno una cosa: entrambe temono i giornalisti più dell'inferno e con i media digitali e i social network sono costretti a confrontarsi con l'informazione in modo ancor più martellante. 

La nuova Chiesa non sembra pronta a mettere in discussione un sistema maschile e maschilista di potere. Il Sinodo attuale è affare di soli uomini nonostante gli argomenti trattati - la famiglia, il gender - riguardino in prima persona anche le donne. E anche nel suo film la posizione della suora, che è quasi una governante della casa, richiama questo atteggiamento maschilista del cattolicesimo.
La Chiesa ha un'organizzazione maschile, vede la donna come madre, non la considera neanche come luogo di desiderio. Eppure è difficile intendere qualsiasi attività umana senza la presenza della donna. Non credo che sarà facile cambiarlo finché a decidere saranno gli alti prelati con l'anello al dito. C'è un maschilismo nascosto e serpeggiante nella Chiesa che il personaggio femminile mette in risalto. 

Alfredo Castro è il suo attore feticcio, presente in tutti i suoi film. Qui il suo personaggio rappresenta uno snodo chiave della vicenda. 
Il personaggio di Castro è l'unico che parla di desiderio e di celibato, che dice che non puoi reprimere il desiderio. Lui stesso si definisce come re della repressione, ma poi il corpo esplode. Questo accade a molti preti, sia omosessuali che eterosessuali. Per questo ho messo la citazione dalla Genesi all'inizio del film: "Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalla tenebre". Dio dà all'uomo la possibilità di stare nella zona di luce. Credo che la Chiesa riuscirà a trovare pace quando capirà che il desiderio è una necessità umana, e che la sessualità non può essere ridotta solo all'aspetto procreativo, ma ha uno splendore in sé, ed parte della bellezza dell'uomo.

E invece come ha costruito il personaggio del giovane abusato che denuncia il suo carnefice?
Ho parlato con varie vittime e mi sono reso conto che una persona abusata sistematicamente per molti anni non ha più complessi e racconta in modo esplicito ciò che ha subito, senza pudore. Si ripete, si ripete e le sue parole si trasformano in un mantra. Il corpo è stato sopraffatto, la sessualità sconfitta. Mi sono reso conto che se avessi reso in immagini quello che stava dicendo, avrei sovrapposto la mia visione, invece così ognuno di noi si fa in testa le sue immagini, ogni spettatore costruisce la sua rappresentazione e il risultato è più violento e perverso.

Perché la politica è così importante per lei?

Nei miei film i personaggi non hanno consapevolezza del contesto politico in cui si muovono, ma se neghi questo, stai regalando il potere agli altri. Questa assenza di coscienza è pericolosa. Per me il cinema è politico perché qualsiasi forma di rappresentazione è un gesto politico, ma non ho un'ideologia o un messaggio da trasmettere come avveniva negli anni '70. 

Sarebbe riduttivo se El Club venisse considerato un film sulla pedofilia.
In realtà c'è un solo prete pedofilo, ma oggi siamo ossessionati dalla pedofilia. Un tempo le vittime si vergognavano, oggi sono protette e quindi più facilmente emergono questi scandali. 

Il cinema latinoamericano sta vivendo un grande momento, anche a Venezia hanno trionfato un film venezuelano, Desde allà, e l'argentino El Clan di Pablo Trapero.
Stiamo vivendo un gran momento, forse perché facciamo un cinema meno compiaciuto di sé e ci relazioniamo bene con i grande cineasti del nostro passato che hanno lasciato il segno. L'idea terzomondista, di isolamento e povertà è stata usata molto bene nel nostro cinema. Siamo una regione orgogliosa della sua identità e senza complessi. 

E' vero che prima di iniziare le riprese di un film rivede insieme ai suoi collaboratori un'opera di Pasolini? 
Sì, capita. Ma non ho un modello unico. In varie fasi della mia vita sono stato ossessionato da registi diversi. Da giovanissimo i tedeschi, perché frequentavo il Goethe Institut e conobbi così Wenders, Herzog e Fritz Lang; poi il cinema italiano - Pasolini e Rossellini - poi Kubrick e Cassavetes, quindi i francesi. Citare dei registi è un po' ridicolo. Nel caso di El Club forse c'è un'influenza di Bergman e Bunuel, ma anche Pasolini per lo spazio mistico e religioso che faceva parte del suo cinema. 

 
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Guida a Netflix. Tutto quello che c’è da sapere

Post n°12681 pubblicato il 25 Ottobre 2015 da Ladridicinema
 

I prezzi, i dispositivi, il catalogo e cosa bisogna fare per vedere (legalmente) Netflix in Italia a partire da oggi

Il prezzo
Innanzitutto i soldi. I programmi di Netflix non si pagano singolarmente ma c’è un abbonamento mensile che dà diritto a vedere tutto.

 

Sono 7,99 euro al mese per avere il minimo, ovvero tutto il catalogo in qualità standard e non in alta definizione su un solo dispositivo alla volta.

Poi c’è la versione da 9,99 euro che comprende tutto il catalogo inalta definizione per due utenti alla volta, cioè è possibile vedere i contenuti anche su due dispositivi in contemporanea.

 

Infine la versione a 11,99 euro ha una qualità che arriva a 4K, là dove i video sono disponibili a quella qualità, e consente lo streaming a quattro dispositivi in contemporanea.

Provare però non costa niente, perché il primo mese è gratuito per tutti a tutte le fasce di prezzo e poi si può disdire l’abbonamento quando si vuole.

I dispositivi
Netflix funziona in streaming, cioè non consente di scaricare nulla, ma di guardare tutto mentre si è connessi a internet. Niente connessioneniente visione. Se la connessione salta in mezzo a un film, questo si interrompe. Se non è potente a sufficiente, non si vede bene (ma attenzione, non è necessaria chissà quale velocità, le normali Adsl bastano). Non c’è un palinsesto né ci sono canali, solo un catalogo di filmprogrammi e serie tv da cui scegliere cosa vedere.

Netflix si guarda su televisoricomputer e dispositivi mobili(smartphone e tablet). Per computer e dispositivi mobili ci sono leapp ufficiali e il sito, non è complesso e nessuno è escluso. Per i televisori chi ne ha comprato uno da poco potrebbe molto facilmente trovarsi la app di Netflix tra quelle già installate o può scaricarla facilmente, chi invece non ne è dotato ma possiede una consolle di nuova generazione troverà là dentro l’icona di Netflix(e se non c’è la scaricate dallo store di riferimento) per accedere al catalogo e vederlo in tv. Stesso dicasi per chi vuole comprare o possiede una Apple tv e per i geek che si sono dotati di chiavettaChromecast.

Infine, chi non ha nulla di tutto questo ma lo stesso vuole vedereNetflix in tv può sottoscrivere un abbonamento tramite Telecom Italia o Vodafone, che si preoccuperanno di fornire il decoder per la visione, un po’ come funziona per Sky. Per Telecom bisogna prendere il set top box TimVision, per Vodafone occorre acquistare i loro servizi di fibra ottica o internet 4G.

Carte Regalo
Nei punti vendita UniEuroGameStopMediaWorldEsselunga,Mondadori ed Euronics saranno in vendita le carte regalo, cioè carte prepagate per vedere Netflix.

Il catalogo
È la parte più spinosa di tutte e la più fumosa. Sappiamo bene che la forza di Netflix all’estero è il catalogo (qui i dettagli), cioè che cosa si può vedere, cosa ci si trova dentro. La casa ha un sistema di raccomandazione e di elaborazione dei gusti degli utenti che è uno dei suoi molti segreti.

In Italia però non è semplice ottenere film e serie da mandare, l’asta per i diritti on demand è complessa e molto è già assegnato a Mediaset e Sky, dunque è da vedere quali film e quali serie ci troveremo sopra. Altro discorso invece è la questione delle produzioni originali, quelle di proprietà di Netflix che si potranno vedere solo lì.

Quando diciamo infatti che la forza di Netflix è il catalogo intendiamo che il colosso ha una lunga serie di film, programmi, produzioni per bambini e soprattutto serie tv che distribuisce in esclusiva e che non si possono vedere da nessun’altra parte. Questo significa Orange is the new black (visibile anche su Infinity) e poi le serie inedite Daredevil (di cui sta per partire laseconda stagione), Sense8, Grace and Frankie, Unbreakable Kimmy Schmidt, Marco Polo, Jessica Jones (molto attesa e ai blocchi di partenza), Narcos e film come Beasts of no nation di Cary Fukunaga. Nel futuro poi ci sono Suburra il film e la sua serie(ma si parla di 2016), La tigre e il dragone 2, Luke Cage, War Machine di Brad Pitt e non dimentichiamo i nuovi episodi di Una mamma per amica.

Sono solo esempi, l’elenco completo delle produzioni originaliNetflix passate, presenti e future lo potete avere qui. In ogni caso tutto ciò che Netflix manda in Italia sarà doppiato e con la possibilità di avere audio originale e sottotitoli.

Come noto, tuttavia, Netflix Italia non potrà vantare la sua produzione originale più famosa, House of Cards. Tre anni fa, quando non pensava nemmeno di aprire nel nostro paese, ne ha venduto i diritti di sfruttamento per il territorio italiano a Sky e ovviamente non c’è verso di riaverli indietro. Non sfugge a nessuno, infatti, che con questo servizio on demand Netflix diventa il primo vero grande concorrente di Sky (che funziona per abbonamento con parabola ma non a caso da un anno ha apertoSky Online, depandance molto simile nel suo funzionamento a Netflix e dotata del catalogo del parente maggiore).

 
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Viva la sposa

Post n°12680 pubblicato il 25 Ottobre 2015 da Ladridicinema
 

Poster

 

Nicola passa il tempo bevendo e fingendo che stia smettendo di bere. Questa è la storia sua e di tanti altri personaggi che incontra per un destino o per caso come in un road movie.

  • FOTOGRAFIALuca Bigazzi
  • MONTAGGIOCecilia Zanuso
  • PRODUZIONE: Malìa srl, Æternam Film (Francia), Les film du Fleuve (Belgio)
  • DISTRIBUZIONE: Parthénos
  • PAESE: Belgio, Francia, Italia
  • DURATA85 Min

 
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Io sono Ingrid

Post n°12679 pubblicato il 25 Ottobre 2015 da Ladridicinema
 

Poster

Nella primavera del 2011, il regista Stig Björkman conobbe la figlia di Ingrid Bergman: Isabella Rossellini. Lei suggerì di "fare un film su Mamma" e così, tramite Isabella, Stig riuscì a raccontare la storia di Ingrid con le sue parole e le immagini di film da lei girati. Attraverso le sue riprese private, i suoi appunti, le lettere, i diarie e le interviste con i suoi figli e amici il documentario presenta un quadro mai visto prima della vita dietro le quinte di una giovane donna svedese che diventò una delle più celebrate attrici del cinema Americano e mondiale.

 
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Dheepan

Post n°12678 pubblicato il 25 Ottobre 2015 da Ladridicinema
 

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Per sfuggire alla guerra civile in Sri Lanka, un ex soldato, una giovane donna e una bambina si fanno passare come una famiglia. Finiscono per stabilirsi in un alloggio al di fuori di Parigi. A malapena si conoscono, ma cercano di costruire una vita insieme.

NOTE:

Presentato in concorso al Festival di Cannes 2015. Vincitore della Palma d'Oro del miglior film.

 
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Game therapy

Post n°12677 pubblicato il 25 Ottobre 2015 da Ladridicinema
 

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Francesco (Favij) sta per finire la scuola, è un ragazzo intelligente e ironico, ma la sua intelligenza e ironia si esprimono al meglio nel mondo dei videogame, in cui si rifugia per sfuggire alla realtà, che trova noiosa, limitata e pericolosamente imprevedibile. Le ore passate chiuso in camera sua al computer preoccupano i suoi genitori, che lo trascinano periodicamente da diversi psico-specialisti. Il desiderio di Francesco è di approdare su una sua personale Isola che non c'è, dove tutto quello che ha sempre sognato è possibile...ora quel desiderio sembra avverarsi. Dopo anni di lavoro è infatti riuscito entrare nel mondo virtuale, dove le obsolete leggi della fisica e della società sono superate, un universo di videogiochi, ovvero la GL (Game life) come la chiama lui. In questo mondo tutto è possibile, e Francesco ne è il deus ex machina. Finalmente ha davanti a se un mondo in cui si sente libero. Giovanni (Federico Clapis) pluri bocciato è ancora alle superiori, bloccato dall'idea di dover fare delle scelte: l'università o il lavoro, uscire di casa o restarci ancora... insomma crescere. Sua madre lo tiene sotto controllo con l’aiuto di diversi specialisti nel tentativo di aiutarlo…Francesco svela la sua invenzione a Giovanni: ha lui la terapia perfetta per risolvere i loro problemi: la Game Therapy, ovvero l’ingresso nella realtà virtuale, arena in cui sconfiggere le loro difficoltà. Peccato che la parola risolvere abbia per i due amici un significato "leggermente" diverso.

  • FOTOGRAFIAMike Ozier
  • MONTAGGIOTommaso Gallone
  • PRODUZIONE: Indiana Production, Webstar Channel e Pulse film
  • DISTRIBUZIONE: Lucky Red
  • PAESE: Italia
  • DURATA97 Min

 
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Io che amo solo te

Post n°12676 pubblicato il 25 Ottobre 2015 da Ladridicinema
 

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Ninella ha cinquant'anni e un grande amore, don Mimì, con cui non si è potuta sposare. Ma il destino le fa un regalo inaspettato: sua figlia si fidanza proprio con il figlio dell'uomo che ha sempre sognato, e i due ragazzi decidono di convolare a nozze. Il matrimonio di Chiara e Damiano si trasforma così in un vero e proprio evento per Polignano a Mare, paese bianco e arroccato in uno degli angoli più magici della Puglia.

SOGGETTO:

Tratto dall'omonimo romanzo best seller di Luca Bianchini.

 
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La bugia bianca

Post n°12675 pubblicato il 25 Ottobre 2015 da Ladridicinema
 

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La vita di Veronika è scandita da ritmi regolari e rassicuranti. Le sue giornate si susseguono tra università e lezioni di violoncello, la sua grande passione. Vive in un piccolo borgo della Serbia dove tutti si conoscono e in cui raramente succede qualcosa di particolare. Quella della ragazza è però solo una pace apparente, fatta di omissioni e verità scomode, dove aleggia il fantasma terribile della guerra di Bosnia Erzegovina di 20 anni prima. Ma negare che il male esista, non serve a farlo sparire magicamente e una bugia resta tale anche se detta a fin di bene.

 
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Sei tutto quello che voglio

Post n°12674 pubblicato il 25 Ottobre 2015 da Ladridicinema
 

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Massimo e Sheila sono fidanzati da oltre tre anni. La loro è una bella storia d'amore fatta di piccoli momenti romantici che i due si regalano ogni giorno, se non fosse per quegli attimi di irrequietudine di Massimo per colpa della sua paura di affrontare la quotidianità, Massimo difatti soffre di attacchi di panico e ansia, e sarà proprio durante uno di questi attacchi che Massimo si ritrova ad attraversare una strada lasciandoci la vita. La vita del protagonista continua anche dopo la morte, una corsa contro il tempo per poter dare un ultimo addio alla sua amata Sheila. Mentre l'angelo venuto a prelevare la sua anima, fa di tutto per poterlo portar via, Massimo trova degli stratagemmi per poter portare a compimento la sorpresa che aveva preparato per la sua amata. Questo film racconta aneddoti di vita quotidiana, marcando l'importanza di non sottovalutare i piccoli momenti che la vita regala ogni giorno, con un monito importante, quello di apprezzare le persone finché sono al nostro fianco. Sarà con questa esperienza sovrannaturale che Sheila capirà l'importanza di un rapporto umano dando niente per scontato.

 
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