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Messaggi del 25/02/2018

 

Olimpiadi invernali 2018: tutte le medaglie italiane a PyeongChang

Post n°14311 pubblicato il 25 Febbraio 2018 da Ladridicinema

Ancora bronzo per la portabandiera azzurra che entra nella storia: 8° podio della carriera. L'Italia sale a quota 10 medaglie
olimpiadi invernali 2018 fontana medaglie italia

Giovanni Capuano - 22 febbraio 2018

Una strepitosa Arianna Fontana sale ancora sul podio e corona un'Olimpiade da ricordare: bronzo nella finale dei 1000 metri dello Short Track, disciplina che ha dominato da protagonista con un oro (500 metri) e due bronzi (i 1000 metri più la staffetta). Arianna è finita alle spalle dell'olandese Schultin e della canadese Boutin in una finale in cui c'è stata la caduta delle due coreane a metà del giro conclusivo.

L'italiana non ha quasi partecipato alla volata tra Schultin e Boutin accontentandosi del terzo posto che completa il suo tris di medaglie e la fa salire a quota 8 in carriera superando Manuela Di Centa e mettendo in scia alla sola Stefania Belmondo, la donna italiana più medagliata della storia delle olimpiadi invernali.

 

Ecco il diario delle medaglie azzurre a PyeongChang 2018:

11 febbraio 2018 - Windisch (bronzo)

La prima medaglia italiana nella spedizione delle Olimpiadi di PyeongChang l'ha conquistata nella 10 km sprint di biathlon l'altoatesino Dominik Windisch: bronzo alle spalle del tedesco Peiffer e del ceco Krcmar. L'azzurro ha concluso la sua prova sorprendente con un distacco di 7 secondi e 7 decimi dalla medaglia d'oro, penalizzato da un errore al tiro nel poligono che lo ha costretto al giro di penalità.

Originario di Brunico, 28 anni, Windisch era già salito sul podio a Sochi 2014 con la staffetta mista; anche allora si era messo al collo la medaglia di bronzo. "Quando ho sbagliato l'ultimo tiro ho pensato: 'Non è possibile... l'avevo visto bene'" ha raccontato al termine della sua prova. L'errore non ha compromesso il suo sogno di medaglia.

13 febbraio 2018 - Fontana (oro) Pellegrino (argento)

Una giornata da favola per l'Italia alle Olimpiadi invernali di PyeongChang 2018. Oro e argento per merito di due fuoriclasse dello sport azzurro che non hanno tradito le attese chiudendo sul podio e regalanto emozioni indimenticabili alla spedizione olimpica.

La prima medaglia d'oro l'ha conquistata una straordinaria Arianna Fontana che ha vinto al photofinish la finale dei 500 metri di short track. Arianna è stata protagonista di una volata mozzafiato in cui si è tenuta dietro la coreana padrona di casa Choi per 27 millesimi di secondo. Poi i giudici hanno squalificato la Choi spalancando il podio all'olandese Van Kerkhof e alla canadese Boutin.

Dopo pochi minuti è toccato a Federico Pellegrino, nostro signore dello Sprint nel fondo. L'azzurro è stato protagonista di uno sprint nella finale a tecnica classica nel quale si è tenuto dietro per pochi centimetri il russo Bolshunov. L'oro è andato al fuoriclasse norvegese Klaebo, letteralmente imprendibile per tutti.

15 febbraio 2018 - Brignone (bronzo) Tumolero (bronzo)

Prima medaglia dallo sci alpino italiano alle Olimpiadi invernali di PyeogChang. L'ha conquistata Federica Brignone che è salita sul podio nel gigante femminile: oro alla statunitense Mikaela Shiffrin, perfetta per due manches, argento per la norvegese Mowinkel e bronzo per l'azzurra.

È stata una gara che ha visto l'Italia protagonista con qualche rammarico per il risultato finale. Dopo la prima discesa, infatti, in testa c'era Manuela Moelgg poi finita ottava e in zona podio (terza) si trovava anche la giovanissima Marta Bassino, alla fine quinta.

L'altra sorpresa di giornata è arrivata, invece, da Nicola Tumolero che ha preso un bronzo inatteso nei 10.000 metri di pattinaggio dietro al canadese Bloemen e all'olandese Bergsma. Tumolero, originario dell'Altopiano di Asiago, ha approfittato della crisi del favoritissimo Kramer che aveva già conquistato l'oro nei 5.000 e che è finito incredibilmente sesto.

16 febbraio - Moioli (oro)

Straordinaria vittoria di Michela Moioli, oro nello snowboard cross alle Olimpiadi invernali di PyeogChang. Un successo annunciato, perché l'azzurra partita tra le favorite di una delle specialità più spettacolari dei Giochi, ma non per questo meno bello. La Moioli ha vinto davanti alla portoghese Pereira de Souza e alla ceca Samkova.

E' stata in testa dall'inizio alla fine della run di finale dopo aver condotto con autorità anche i turni eliminatori. Mai spaventata dalle sportellate che sono una caratteristica dello snowboard cross e che rendono imprevedibile il risultato ribaltando spesso le gerarchie sulla neve.

19 febbraio - Staffetta Short track (argento) Staffetta biathlon (bronzo)

Giornata storica per lo short track italiano che festeggia un altro podio dopo l'oro individuale della Fontana. La medaglia d'argento la conquista la staffetta femminile trascinata proprio da Arianna Fontana e composta anche da Martina Valcepina, Lucia Peretti e Cecilia Maffei: seconde alle spalle della Corea del Sud in una finale caratterizzata da una doppia squalifica per Canada e Cina.

Le ragazze cinesi avevano chiuso al secondo posto alle spalle della Corea, ma sono state eliminate per la carambola che ha penalizzato le azzurre. Fuori anche il Canada e così sul podio è salita l'Olanda vincitrice della finale B con il record del Mondo. Per Arianna Fontana settima medaglia olimpica all-time.

Poi il bronzo della staffetta mista del biathlon con Lisa Vittozzi, Dorothea Wierer, Lukas Hofer e Domink Windisch: terzo posto alle spalle dell'imprendibile Francia di Fourcade (5° oro in carriera) e della Norvegia. Gli azzurri hanno compiuto un piccolo capolavoro nel tenersi dietro la Germania con arrivo in volata.

21 febbraio - Goggia (oro)

Ecco finalmente la medaglia d'oro dallo sci alpino ai Giochi di PyeongChang. A conquistarla è Sofia Goggia, straordinaria nella discesa libera femminile nella quale partiva da favorita insieme alla fuoriclasse statunitense Lindsey Vonn. La Goggia ha vinto con soli 9 centesimi di vantaggio sulla norvegese Mowinckel e 47 sulla Vonn.

E' stata perfetta da metà pista fino al traguardo, quando si è sciolta e ha lasciato correre gli sci tenendo linee perfette. Nella prima parte, di pura scorrevolezza, aveva pagato qualche centesimo senza, però, mai farsi prendere dall'ansia ed evitando gli errori che spesso hanno condizionato la sua carriera.

Era da Vancouver 2010 (Razzoli nello slalom speciale maschile) che l'Italia non saliva sul gradino più alto del podio olimpico in una delle prove dello sci alpino. La neve molto aggressiva ha tradito le altre azzurre al via: Brignone, Nadia Fanchini e Delago sono tutte cadute nella prima parte della discesa senza arrivare in fondo.

 
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7 - SCUOLA, UNIVERSITÀ, RICERCA

Post n°14310 pubblicato il 25 Febbraio 2018 da Ladridicinema

La scuola, l’università e la ricerca sono state massacrate dalla mannaia neoliberista. Taglio dei fondi e attacchi alla libertà d’insegnamento e ricerca, precarizzazione del lavoro e blocco dei salari sono la norma da decenni a questa parte. Noi crediamo che la formazione sia un pilastro della democrazia, e quindi vogliamo una scuola pubblica di qualità, finalizzata all’acquisizione di un sapere critico e non di semplici competenze funzionali alle logiche mercatiste, gratuita fino ai più alti gradi, laica e aperta davvero a tutte e tutti; vogliamo un’Università pubblica, gratuita, con un reale dritto allo studio per chi non ha i mezzi, e vogliamo che la ricerca nel nostro paese sia libera da interessi e pressioni economiche e possa svilupparsi in autonomia, vivendo dei soli finanziamenti pubblici e mettendosi al servizio della collettività. In tal senso assumiamo la LIP Per la Scuola della Costituzione, www.lipscuola.it, come base di partenza per un progetto complessivo che segni una radicale discontinuità con le politiche scolastiche degli ultimi trent’anni, riconoscendo la piena autonomia del soggetto collettivo e plurale che ne ha costituito la genesi e ne caratterizza il percorso.

 

Per questo lottiamo per:

  • la cancellazione della legge 107/15 e di tutte le altre riforme che hanno immiserito la scuola, l’università e la ricerca e le hanno messe al servizio delle esigenze delle imprese;
  • la copertura totale del fabbisogno di posti negli asili nido e nella scuola dell’infanzia pubblica;
  • il rilancio della collegialità e della vita democratica nelle scuole, con l’abolizione della figura del “dirigente-manager”;
  • l’introduzione di un limite massimo di 20 alunni per classe e la generalizzazione del tempo pieno per il primo ciclo d’istruzione, l’elevamento dell’obbligo scolastico (e non formativo ) a 18 anni;
  • l’eliminazione dell’alternanza scuola-lavoro;
  • l’abolizione dei test INVALSI;
  • la difesa del carattere pubblico dell’istruzione, con l’abolizione di ogni finanziamento alle scuole private;
  • un serio adeguamento salariale per il personale docente e non docente di ogni ordine e grado, l’assunzione di tutti i precari con 36 mesi di servizio e la cancellazione del precariato per il futuro;
  • la gratuità degli studi universitari e postuniversitari pubblici;
  • l’obbligo della remunerazione dei dottorati e di ogni tipologia di collaborazione con i dipartimenti universitari;
  • l’abolizione dell’ANVUR;
  • un aumento consistente della quota di PIL destinata all’istruzione, il potenziamento dei fondi d’Istituto, l’aumento del Fondo di Finanziamento Ordinario per gli Atenei sulla base del numero degli iscritti e non di criteri premiali;
  • una seria politica pubblica di sostegno alla ricerca, la gratuità dei libri di testo e la certezza del diritto allo studio fino ai più alti gradi, con pari condizioni in tutto il territorio nazionale;
  • un piano straordinario di edilizia scolastica con particolare riferimento alla sicurezza antisismica.
 
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Quell’Orso di Willem Dafoe da ilcinematografo

Post n°14309 pubblicato il 25 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 

"Grandi produzioni o opere indipendenti non fa differenza: quello che conta è che ogni film riesca a cambiare lo sguardo sul mondo che avevo fino a quel punto". Intervista all'attore americano, che a Berlino 68 riceve il premio alla carriera
22 febbraio 2018
Quell’Orso di Willem DafoeWillem Dafoe

È andato all’attore americano Willem Dafoe l’Orso d’Oro alla carriera del Festival di Berlino. L’attore dallo sguardo e dalla mimica senza eguali, è uno dei volti più marcati di Hollywood. Una star, ma capace di illuminare un film anche dalla seconda fila di un ensemble di stelle.

Uno stile che gli ha fatto conquistare tre nomination agli Oscar come Miglior attore non protagonista per l’iconico dramma sul Vietnam Platoon di Oliver Stone del 1986, per il tributo al genio di Friedrich Wilhelm Murnau su un possibile dietro le quinte del film Nosferatu del 1922,  L’ombra del vampiro (2000) e per la pellicola indipendente  attualmente in corsa, The Florida Project (Un sogno chiamato Florida, in Italia dal 29 marzo).

Il 4 marzo Dafoe ha davvero ottime chance di ricevere finalmente la sua prima statuetta. Anche per questo l’atmosfera al Berlinale Palast alla serata di gala in suo onore era particolarmente festosa e tesa. Nel programma della Berlinale c’è anche un omaggio dedicato a lui con dieci film in cartellone. Lo abbiamo incontrato prima della premiazione.

Mister Dafoe, la pellicola Vivere e morire a L.A. che l’ha consacrata attore di caratura mondiale, ha trent’anni. Nella sua carriera ha lavorato finora in oltre cento film. Ci pensa ancora agli inizi?

Si, alcuni film mi sono oggi ancora molto vicini. A cominciare da Vivere e morire a L.A. Si ricorda di Darlanne Fluegel in quel film?

È l’informatrice del suo antagonista, William Peterson.

Ho saputo da poco, e per caso, che è morta. Era malata di Alzheimer da tempo. Uno choc, avevamo più o meno la stessa età. I miei film mi ricordano le fasi della vita che ho attraversato: le difficoltà iniziali, il mio innamoramento, la gioia di un successo, il dolore per una perdita. I titoli dei miei film sono anche quelli dei capitoli della mia vita.

Quali ricordi la legano al successo di Vivere e morire a L.A.?

All’epoca lavoravo ogni giorno con il Wooster Group, la compagnia di teatro sperimentale di New York, di cui sono anche co fondatore. Mi sentivo ancora un attore di teatro e solo quello. Friedkin venne da me per dirmi che stava preparando un film che voleva assolutamente fosse recitato da volti sconosciuti. Solo così, questa la sua tesi, lo spettatore può immedesimarsi nel suo personaggio senza riserve. Questo approccio è uno strumento che ho fatto mio da allora. Da spettatore trovo affascinante non sapere nulla dell’interprete. Ovviamente è assurdo immaginare di presentarmi oggi da sconosciuto davanti a una macchina da presa. Ma è quello che mi aspetto dai lavori degli altri se devono conquistarmi. Nel recente The Florida Project di Sean Baker, la mia aspettativa si è addirittura concretizzata, in quanto sono circondato da un cast di attori non professionisti. Persone meravigliose, ma non attori. Un’esperienza di grande ispirazione.

Per The Florida Project è nominato all’Oscar per la terza volta. Nella pellicola è il portiere di un motel vicino a DisneyWorld dove vivono giovani famiglie senza dimora. Non ha pensato che il suo nome potesse distogliere l’attenzione dagli altri interpreti?

Sean Baker è seguito da un pubblico molto fedele, anche se piccolo. Ho lavorato in tanti film dove il mio nome era in cima ai credits senza che ciò abbia reso il numero di spettatori minimamente più grande. Purtroppo.

Prima di The Florida Project era consapevole di cavarsela così bene sul set con i bambini?

Amo lavorare con i bambini. E lo sapevo già a teatro. Se da un punto di vista tecnico i bambini sono naturalmente limitati, quello che li rende magici è l’assoluta libertà che sanno esprimere. Iniziano semplicemente a recitare quando li si incoraggia a iniziare. Quando sono davanti la camera sono in un loro mondo, separato da tutto il resto, in un modo così totale che nessun attore professionista potrà mai conoscere. E portano sul set un caos contagioso che fa bene a tutti.

È un attore che impiega molto il corpo. È stata dura tenere il passo con l’energia dei tanti bambini del film?

Il bello di The Florida Project è che il mio ruolo in un certo senso riflette le condizioni di lavoro di un set manager. Il mio personaggio è responsabile per l’ordine e il funzionamento delle cose. Il mio approccio al ruolo è stato così molto pragmatico e tranquillo. Naturalmente non intervenivo quando c’erano i momenti di gioia incontrollata. Lì stavo a osservare. E fermavo il mio lavoro.

Prima di iniziare le riprese ha vissuto per qualche mese in diversi motel della Florida. Si prepara sempre in modo così accurato ai suoi ruoli?

Dipende dal progetto. In genere mi resta sempre un sapore in bocca un po’ amaro quando professionisti dell’industria dell’intrattenimento cercano di rappresentare aspetti della società come la povertà o la classe operaia. Anche io ho fatto errori in passato. L’atteggiamento, la posa, nei confronti di questi milieu può scivolare facilmente nella presunzione. Il che è inutile e dannoso al pari di una simpatia eccessiva o della compassione. Quello che ho voluto fare prima di iniziare questo film è stato conoscere storie di vita da vicino, biografie ascoltate dall’altra parte della parete.

            The Florida Project

Sul grande schermo si ha spesso l’impressione che a interessarle di più non sia tanto la tecnica quanto l’espressione, la fisicità dei personaggi che interpreta.

Sono con un piede a Hollywood, e con l’altro nel cinema indipendente. Sono consapevole di quello che si aspetta quest’industria, ma sono anche rimasto in parte molto naif, nonostante il numero di film che ho fatto. Amo osservare come certe pellicole riescano a cambiare lo sguardo sul mondo che avevo avuto fino a quel punto. La fisicità è tutto. Da attore mi affascina l’idea di vivere un’avventura che venga immortalata da una macchina da presa. Per questo vorrei tanto lavorare col regista messicano Carlos Reygadas. Gliel’ho anche proposto recentemente a un festival. Lui però ha gentilmente rifiutato con la motivazione che lavora esclusivamente con attori non professionisti. E ho pensato: sarebbe la mia occasione tanto agognata! Perché sono un attore professionista che vorrebbe essere di nuovo un profano.

Cambia continuamente tra grandi studios e produzioni indipendenti. Ne vale ancora la pena?

Onestamente non lo so. Vivo tra Roma e New York e non sono un grande conoscitore degli ingranaggi interni di Hollywood. Quello che so è che voglio mantenermi molte possibilità aperte. I miei biglietti da visita sono i miei film. Finché ne esisteranno delle copie in giro sicuramente non resterò disoccupato. Qualcuno mi offrirà una parte.

Il paesaggio cinematografico americano sta cambiando a una velocità drammatica. Finanziare piccoli film sta diventando una missione impossibile. Vede l’esito di questo cambiamento?

Vivo con le conseguenze che si fanno sentire ora. Sul futuro non posso dire nulla. Nessuno può prevederlo. Ormai anche i grandi studios stanno sparendo e l’industria è dominata sempre più da persone che di cinema sanno poco o nulla. Hollywood è dominato da franchising, e piattaforme di streaming come Amazon o Netflix lo stanno ormai inglobando. Dove tutto questo porterà è difficile a dirsi. Sicuramente il nostro rapporto con il cinema è già cambiato profondamente.

 

Simone Porrovecchio
 
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