Creato da Aria.di.luce il 06/03/2007

Ombre e luci

Per amare non occorre capire...

 

 

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....inverno 95/96

Post n°34 pubblicato il 29 Marzo 2007 da Aria.di.luce

Lasciai il lavoro...Era pur vero che mi aveva dato l'opportunità di conoscere nuova gente; con gli altri operatori, quasi tutti della zona, ci si ritrovava qualche volta, dopo il turno di sera, a scambiare un pò di chiacchere in un pub lì nei paraggi. Non potevo più permettermi quella traversata di 70 km per una manciata di spiccioli a fine mese e, al termine dell' inverno, rinunciai ad andarci. Mi ritrovai nuovamente disoccupata ad elemosinare lavoro a destra e a manca.

Abitavo da sola da 5 anni in una casa di proprietà dei miei genitori, usata da loro quando nei week end, desideravano allontanarsi dalla città e ritemprarsi nei luoghi natii. Arrivai in quel posto per una serie di fortuite coincidenze che mi permisero di allontanarmi dalla conduzione di un'esistenza frenetica, di cui ero stanchissima.

Dai diciasette anni, in concomitanza con una dolorosa sciagura familiare, non riuscii più a dare un corso vivibile alla mia vita. Appartenevo ad un'anima inquieta che non si accontentava di lasciare che gli anni le scorressero addosso,  programmando tappe e percorsi; volevo essere protagonista e non semplice spettatrice di eventi confezionati da altri. Il mio rasentava un delirio di onnipotenza, suffragato anche dalla sollecitudine di un terapeuta a cui mi ero rivolta,  per sanare un forte esaurimento nervoso.

immagineNon conobbi da dove provenissero le sue nozioni specialistiche: lo si riteneva il "non plus ultra" tra gli addetti ai lavori, ma credo abbia fatto morire in me la spontaneità, inducendomi ad un lavoro forzato il cui fine era il controllo sistematico delle emozioni, in particolar modo quelle legate al dolore. Reputai le sue tecniche, apprese nel training di dinamica mentale, una panacea ai miei problemi, ma molto più tardi, mi resi conto che aveva utilizzato un'influenza psicologica coercitiva, inducendo la mia mente a radicali cambiamenti comportamentali. Venni a sapere che, dedito anche all'alcol, era morto per un'overdose di eroina.

La mia casetta, lontana dal frastuono cittadino, mi dava, oltre ad un sano riposo mentale, l'opportunità della gestione dei miei stati d'animo in maniera più libera e meno visibile. Non dovevo ritirarmi in camera, lontano dagli sguardi dei miei, quando la sofferenza esplodeva  non desiderando esser vista.

Mia madre ancora oggi non si capacita di come possa aver fatto una scelta così radicale: trasferirmi dalla città, in cui tutto era facilmente raggiungibile, ad un posto di campagna, dove se non hai mezzi di trasporto, rimani isolata dai più comuni servizi. La sua intelligenza, nonchè l'istinto materno che percepiva il mio forte disagio interiore, riuscirono a comprendere quella decisione rischiosa e mi permisero, anche aiutandomi economicamente, di non tornare indietro.

La dignità e l'orgoglio di evitare questa dipendenza, mi portarono ad accettare anche lavori molto umili per sopravvivere e per una snob come me, andare a fare le pulizie nelle abitazioni, rappresentava scendere a compromessi mai contemplati. Non nego che l'esperienza di sporcarmi le mani in casa d'altri, mi faceva ribollire di rabbia e tenevo nascosta agli amici la mia nuova occupazione, ma col tempo il giudizio sfavorevole di me stessa e probabilmente quello degli altri, iniziarono a scivolarmi addosso come su una tela impermeabile, permettendo una rivisitazione del mio ego più equilibrata e matura.

Le mie giornate erano sempre notevolmente dense di impegni: con i suggerimenti dei contadini, vicini di casa, avevo imparato a coltivare l'orto, con soddisfazione non soltanto mia, ma anche di chi osservava passando di lì. Adoravo cucinare e tra torte e pasta fatta a mano, dilettavo i palati altrui, non avendo io una gran fama di mangiona. Mi piaceva sferruzzare, comporre centrini con l'uncinetto, ricamare tele di lino, disegnare sul vetro: le mie mani erano sempre indaffarate a creare oggetti per gli arredi di casa.

Quel silenzio che mi avvolgeva quando ero intenta alle mie creazioni, non lo sopportavo; mi induceva a troppa riflessione e introspezione e, pur di non soffermarmi, appoggiando i miei pensieri sull'autocommiserazione, tenevo la tv accesa tutto il giorno.

Il ricordo del mio ex quasi mi perseguitava; ero ancora molto legata a lui e mi mancava  ancora terribilmente. Quando lui mi cercò a distanza di un anno e mezzo, dopo vari tentativi troncati per dispetto, accettai di uscire per un invito a cena...

                                                                                                *continua

 
 
 
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