Creato da MarianneWerefkin il 26/10/2007

Il mignolo

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Messaggi di Gennaio 2015

Attesa.

Post n°232 pubblicato il 29 Gennaio 2015 da MarianneWerefkin

oggi invece non faccio parte di niente e mi appoggio all'enorme cappuccio del mio giubbotto nero. Distendo i muscoli e allento la tensione, bleffando la verità davanti agli altri. Mi stendo su una sedia e allungo le gambe sotto un tavolo di lavoro. - Chi me l'ha fatto fare?- mi domando da questa mattina. A braccia conserte ascolto colleghi, noto la mia espressione seriosa e la stempero con una battuta sotto voce al mio vicino di posto. Oggi non sono chi gioirà domani né chi proseguirà a lamentarsi per tutto il resto della sua vita, sui ritardi, sugli imbrogli, sulla merda che ci piove addosso. Oggi non sono chi vede sempre il bicchiere mezzo pieno né chi lo vede mezzo vuoto, oggi non sento. Più tardi non sarò chi è in ansia, non sarò chi invece dormirà, non sarò qualcuno domani che riderà o piangerà. Non sono un inizio né una fine, oggi e neppure domani.

Attendo domani da due mesi, ed al momento del resto me ne strafotto.

 
 
 

Le parole che vorrei scrivere sempre.

Post n°231 pubblicato il 19 Gennaio 2015 da MarianneWerefkin

Il periodo lavorativo che avevo preventivato si sta conclamando in tutta la sua intensità. Oggi ho avuto nuovamente prova del fatto che lavoro con persone capaci ed efficaci. Nonché esperte, dalle quali tento di apprendere il più possibile informazioni che mi serviranno in futuro quando. Quando, insomma.
Mi faccio le ossa e imparo, questo particolare momento è da prendere così.
Ho poco tempo e -ci sono- e -non ci sono-. Me ne rammarico. Ma ho soddisfazione, tanta, nel veder il mio impegno esplicitarsi in risultati che comprendono anche una maggior autonomia professionale che mi viene naturalmente riconosciuta senza discussione né tentennamento.
Così è. La gente si fida. Questo è un gran traguardo per me. Ne ho coscienza per il mancato mormorio alle mie spalle. Mi sento tutto di fronte, come del resto ho sempre voluto.

(Lo so, il titolo sembra un preludio ad altro, ma io sono innamorata -anche- della mia vita lavorativa).

 
 
 

Quattro anni e un mese.

Post n°230 pubblicato il 12 Gennaio 2015 da MarianneWerefkin

Mi ero ripromessa di essere diligentissima questa mattina. Invece alle sette ero ancora in bagno a perder tempo ripetendomi ancora un minuto, ancora un altro. Tutto nella più beata calma di chi sa che oltre un certo limite di tempo, scaduto, non arriverà mai in orario. La puntualità è tutto, ma anche sapere la differenza fra un ritardo e un -troppo tardi- può avere i suoi vantaggi. Quindi serena.
E strada libera, soprattutto.
Parcheggio libero, anche. Navetta puntuale, come fosse una metro. Io naturalmente in ritardo perfetto. Anyway.
Finite le visite passo davanti ad un ascensore tre volte.
 La prima lo fisso e rimando l'ingresso di qualche minuto, non prima di essermi presa un caffè al bar naturalmente. Perché alle undici di mattina un caffè ci sta, rifletto sgattaiolando vigliaccamente dalla parte opposta dell'atrio. Poi lo faccio, me lo prometto.
E quindi bevuto il caffè mi ci ritrovo davanti nuovamente.  Le porte dell'ascensore mi sembrano altissime e mi sento di pietra. E' che dopo il caffè una sigaretta ci sta, no?. Posso aspettare? Non posso aspettare. (Sparatemi). Sbuffo e mi avvio verso l'uscita più vicina, il cielo è azzurrissimo, non sarà peccato se perdo qualche altro minuto per scaldarmi un po' al sole. Tremo e mi sento un pezzo di ghiaccio pronto ad andare in frantumi. Invece sciolgo solo un po' la tensione.
Ma scappa pipì. Allora 'stavolta ripasso davanti al varco con nonchalance, butto un occhiata all’ascensore a testa alta. Perché ho cose da fare io, mica cazzi.
Ma poi ci sono. Le cose da fare le avrei pure esaurite e l’inconscio non mi manda altre incombenze assolutamente inderogabili da sbrigare. Allora spingo il tasto con la freccetta, entro e premo un numero imprecisato di volte lo zero, le porte si chiudono, l’ascensore non parte. -Ecco, lo sapevo, è bloccato, nessuno se ne accorgerà ed io morirò qui dentro. - che verbalmente si traduce istantaneamente in un “porca puttana” sussurrato. Mi accanisco “furbescamente” sul pulsante sbagliato, ancora una volta e poi ancora, devo raggiungere il primo piano. Le porte si spalancano ed io capisco con sollievo che per lo meno quell’anfratto non sarà la mia tomba. Sale un medico e con solerte immediatezza lo metto al corrente del presunto guasto. E’ rotto, capito?.
 –Signora aspetti, a che piano deve andare? Ci provo io, nel caso segnalo subito il guasto-. -Sì guardi segnali il guasto immediatamente, qua dentro si rischia di morire ed io non voglio finire i miei giorni dentro un ascensore, io ho cose da fare, una marea di cose da fare. - Penso indispettita rivolgendogli un sorrisetto di sfida. 
Magicamente però si arriva al primo piano. Che forza i medici, vero? Hanno il potere di spingere sempre i tasti giusti.
Ce l’hai l’invito? Ecco che Lupo Alberto mi fissa sospettoso all’ingresso del mio vecchio reparto. Ed io l’invito non ce l’ho. E fisso la terrazza al di là del corridoio, quella con le panchine rosse e che per i primi sei mesi ho pensato fosse grande due metri per due, forse meno, dal momento che tutti la chiamavano “terrazzina” e avevo voglia a spiegare ad I. la prima sera che venne che era a sinistra, magari avanti qualche metro, che era un balconcino piccolino, che forse non era neppure illuminato e che era dentro il reparto, assolutamente dentro il reparto, e che poi m’irritai pure perché non la trovava. La “terrazzina” era una portaerei. Ecco la verità. E cosa ci posso fare se, cazzo, davanti a quella vetrata mi viene in mente anche lui?. Razionalizzo. Mi spiego che è solo autodifesa. Ogni ricordo, qualunque cosa, pur di non pensare alla condizione passata.
Cinque anni dopo, prima che mi si inumidiscano gli occhi, sento passi dietro di me. Una voce accogliente e calda mi spinge a voltarmi. Non so neanche più quanto tempo abbia passato a osservare rami di abete sfarfallare nella brezza mattutina.
–E’ un piacere rivederla, ha una marea di capelli, lo sa?-.

 

 

 
 
 

Binario 21.

Post n°229 pubblicato il 07 Gennaio 2015 da MarianneWerefkin

 

E raro scendere alla stazione di Milano Centrale e avere come primo pensiero la coscienza di camminare al di sopra di un luogo tragicamente sacro. Drammaticamente vissuto. Il sottosuolo è la nostra vergogna e lì si trova l’Esempio. All’ingresso delle aree di manovra è stato realizzato un muro, sulla sua superficie compare la parola:  Indifferenza. Sembra uno schiaffo, tanto vasto quanto imponente ed anche le anime più belle non possono fare altro che leggerla con colpa, ricordando magari episodi della loro vita, seppur brevi, in cui la non curanza ha guidato le proprie azioni. Quindi umiltà, perché l’arroganza non è giustificabile a nessuna altezza, neppure intellettuale, figuriamoci fisica. In quel sotterraneo arrivavano camion pieni di persone che sarebbero state deportate tramite treni in campi concentramento.  In quel luogo i vagoni venivano riempiti poi elevati sino ai binari superiori dove li attendeva la locomotiva.  I treni partivano come oggi, ma erano saturi di sofferenza e angoscia. Esiste anche uno spazio situato in una “fossa”, se hai abbastanza coraggio per riflettere in silenzio ci entri perché quello è il “Luogo della Riflessione”,  realizzato con l’obiettivo di offrire al visitatore uno spazio in cui meditare e raccogliere il proprio spirito e sentire coscienza che parla. Magari anche evolvere. Oggi, come mi capiterà domani e probabilmente anche in futuro, sento colpa in ogni passo fatto indifferentemente. Con lo sguardo allibito e le gambe desolatamente paralizzate di fronte all’ennesima ingiustizia, ferme alla soglia dell’azione, ho ricordato quel sotterraneo.

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Si accettano consigli, opinioni, critiche, riflessioni, sbadigli, starnuti e rutti. Sputatemi.

Post n°228 pubblicato il 07 Gennaio 2015 da MarianneWerefkin

Come si riesce ad aggiustare senza riparare?

Non è un indovinello.

 
 
 

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