Creato da MarianneWerefkin il 26/10/2007

Il mignolo

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Messaggi del 12/01/2015

Quattro anni e un mese.

Post n°230 pubblicato il 12 Gennaio 2015 da MarianneWerefkin

Mi ero ripromessa di essere diligentissima questa mattina. Invece alle sette ero ancora in bagno a perder tempo ripetendomi ancora un minuto, ancora un altro. Tutto nella più beata calma di chi sa che oltre un certo limite di tempo, scaduto, non arriverà mai in orario. La puntualità è tutto, ma anche sapere la differenza fra un ritardo e un -troppo tardi- può avere i suoi vantaggi. Quindi serena.
E strada libera, soprattutto.
Parcheggio libero, anche. Navetta puntuale, come fosse una metro. Io naturalmente in ritardo perfetto. Anyway.
Finite le visite passo davanti ad un ascensore tre volte.
 La prima lo fisso e rimando l'ingresso di qualche minuto, non prima di essermi presa un caffè al bar naturalmente. Perché alle undici di mattina un caffè ci sta, rifletto sgattaiolando vigliaccamente dalla parte opposta dell'atrio. Poi lo faccio, me lo prometto.
E quindi bevuto il caffè mi ci ritrovo davanti nuovamente.  Le porte dell'ascensore mi sembrano altissime e mi sento di pietra. E' che dopo il caffè una sigaretta ci sta, no?. Posso aspettare? Non posso aspettare. (Sparatemi). Sbuffo e mi avvio verso l'uscita più vicina, il cielo è azzurrissimo, non sarà peccato se perdo qualche altro minuto per scaldarmi un po' al sole. Tremo e mi sento un pezzo di ghiaccio pronto ad andare in frantumi. Invece sciolgo solo un po' la tensione.
Ma scappa pipì. Allora 'stavolta ripasso davanti al varco con nonchalance, butto un occhiata all’ascensore a testa alta. Perché ho cose da fare io, mica cazzi.
Ma poi ci sono. Le cose da fare le avrei pure esaurite e l’inconscio non mi manda altre incombenze assolutamente inderogabili da sbrigare. Allora spingo il tasto con la freccetta, entro e premo un numero imprecisato di volte lo zero, le porte si chiudono, l’ascensore non parte. -Ecco, lo sapevo, è bloccato, nessuno se ne accorgerà ed io morirò qui dentro. - che verbalmente si traduce istantaneamente in un “porca puttana” sussurrato. Mi accanisco “furbescamente” sul pulsante sbagliato, ancora una volta e poi ancora, devo raggiungere il primo piano. Le porte si spalancano ed io capisco con sollievo che per lo meno quell’anfratto non sarà la mia tomba. Sale un medico e con solerte immediatezza lo metto al corrente del presunto guasto. E’ rotto, capito?.
 –Signora aspetti, a che piano deve andare? Ci provo io, nel caso segnalo subito il guasto-. -Sì guardi segnali il guasto immediatamente, qua dentro si rischia di morire ed io non voglio finire i miei giorni dentro un ascensore, io ho cose da fare, una marea di cose da fare. - Penso indispettita rivolgendogli un sorrisetto di sfida. 
Magicamente però si arriva al primo piano. Che forza i medici, vero? Hanno il potere di spingere sempre i tasti giusti.
Ce l’hai l’invito? Ecco che Lupo Alberto mi fissa sospettoso all’ingresso del mio vecchio reparto. Ed io l’invito non ce l’ho. E fisso la terrazza al di là del corridoio, quella con le panchine rosse e che per i primi sei mesi ho pensato fosse grande due metri per due, forse meno, dal momento che tutti la chiamavano “terrazzina” e avevo voglia a spiegare ad I. la prima sera che venne che era a sinistra, magari avanti qualche metro, che era un balconcino piccolino, che forse non era neppure illuminato e che era dentro il reparto, assolutamente dentro il reparto, e che poi m’irritai pure perché non la trovava. La “terrazzina” era una portaerei. Ecco la verità. E cosa ci posso fare se, cazzo, davanti a quella vetrata mi viene in mente anche lui?. Razionalizzo. Mi spiego che è solo autodifesa. Ogni ricordo, qualunque cosa, pur di non pensare alla condizione passata.
Cinque anni dopo, prima che mi si inumidiscano gli occhi, sento passi dietro di me. Una voce accogliente e calda mi spinge a voltarmi. Non so neanche più quanto tempo abbia passato a osservare rami di abete sfarfallare nella brezza mattutina.
–E’ un piacere rivederla, ha una marea di capelli, lo sa?-.

 

 

 
 
 

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