Creato da: hrothaharijaz il 27/12/2006
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RACCONTI: n.5

Post n°7 pubblicato il 29 Dicembre 2006 da hrothaharijaz
Foto di hrothaharijaz

Ho parlato del mio amore per i cani. Non e' certo questo il solo amore della mia vita, ve ne sono altri; di quello piu' grande ve ne raccontero' in futuro, per il momento vi parlero' dell'amore che provo per la mia citta', Pavia.

Non sono nato a Pavia, ci sono arrivato, per motivi di studio a 19 anni, nel 1971 e, per motivi di lavoro e di famiglia, ho sposato una pavese, ci sono rimasto e mi ci sono sempre piu' affezionato. Amo questa citta', le sue torri, le sue chiese, le sue nebbie, i suoi giardini nascosti, il lento fluire del Ticino, la sua spettacolare storia. Per lei sacrificherei un patrimonio.

Attraverso questo mio scritto, di pura fantasia, ecco cosa farei se fossi in possesso di una somma enorme di soldi, lo farei per amore tuo, Pavia; ma saprebbero i Pavesi accettare un dono d'amore cosi' grande.

                 LO ZIO D'AMERICA (UN DONO D'AMORE GRANDE GRANDE)

Adelchi Della Porta aveva preso il piroscafo diretto in America dal porto inglese di Southampton il 24 maggio 1848.

Ricercato dalla polizia austriaca come uno dei piu' pericolosi terroristi attivi nel Lombardo-Veneto nel corso degli ultimi anni, aveva partecipato, esponendosi a mille pericoli, sulle barricate, durante le Cinque giornate di Milano, nel marzo di quell'anno.

Fuggito dapprima a Genova, attraverso la Francia e dopo numerose peripezie, aveva raggiunto l'Inghilterra dove, resosi conto che nella vecchia Europa non vi sarebbe stato futuro per lui, decise di varcare l'oceano per cercare miglior sorte nel Nuovo Mondo.

Lasciava a Pavia la vecchia madre di 74 anni e Teodolinda, la sorella poco piu' che ventenne, non ancora sposata e, forse, anche un amore, Luisa, la diciottenne figlia del beccaio sotto casa. Ma soprattutto lasciava, e per sempre, la sua amata Pavia con le sue nebbie, le sue torri, le sue chiese, le sue zanzare e la sua incredibile storia. Si, la storia, passione ereditata dal padre Teodosio e incrementata di giorno in giorno con le storie che questi raccontava ai figli, seduti davanti al fuoco del camino nelle fredde e nebbiose invernate pavesi o all'ombra del fico nella bella stagione.

Come unico bagaglio, oltre ad un ricambio di abiti e pochi spiccioli, si portava in America il ricordo di Ermengarda, regina triste e ripudiata, i bagliori rossastri della Pavia incendiata dagli Ungari, il viso ieratico dell'Imperatore Federico Barbarossa a cavallo, il rumore dei moschetti e il cozzar di spade alla battaglia di Pavia e il tuono dei cannoni francesi che facevano scempio del castello visconteo.

Per gli amici e parenti rimasti in citta', Adelchi Della Porta, scompare come tanti emigranti di quegli anni. Virginia, la madre, morira' di li' a qualche anno, Teodolinda, la sorella non sposata, tale rimarra', per chiudere i suoi giorni come domestica, a Milano, presso una facoltosa famiglia dell'alta borghesia cittadina.

Anche di Adelchi non si seppe piu' nulla fino ai nostri giorni. E cosi' fu che la sonnacchiosa pace e tranquillita' di Pavia e dei suoi cittadini venne improvvisamente turbata dall'arrivo dall'America di Rotari Della Porta, un distinto e ricco signore (si parlava di milioni di dollari) di circa sessant'anni.

Non perse tempo Rotari, il giorno del suo arrivo, il 24 maggio 2010, affitto' per un mese l'intero stabile del Longobardo,il piu' lussuoso albergo cittadino, sorto da pochi anni sul terreno dell'area dismessa dell'ex Snia Viscosa e invito' per la settimana successiva i notabili pavesi, gli industriali (o per lo meno quei pochi rimasti), le eminenze grige dell'Universita' e i politici (anche se di quelli ne avrebbe fatto volentieri a meno) ad una riunione che si sarebbe tenuta di li' a pochi giorni nella sala conferenza dell'albergo.

La curiosita' spinse tutti gli invitati a partecipare all'evento organizzato dal facoltoso americano, per l'occasione battezzato lo Zio d'America, durante il quale avrebbe esposto un progetto che riguardava la citta'.

La sera del 1 giugno Rotari Della Porta sali' sul palco, prese il microfono e cosi' esordi': "Cari Pavesi, vi sarete chiesti, in questi giorni chi io sia, da venga e cosa voglia da voi: Dal momento che sono stato abituato, fin da piccolo, ad agire, vi accontentero' subito, senza inutili perdite di tempo.

Io sono un discendente di uno dei vostri figli, che tanto lotto' e tanto fece per la vostra liberta'. Il mio antenato, Adelchi Della Porta, dopo avere combattuto contro l'oppressore austriaco nel corso delle Cinque giornate di Milano, si trovo' costretto a lasciare la sua citta' in quanto  perseguitato politico e ad emigrare in America. I suoi primi anni furono duri, ma infine grazie alla sua caparbieta', intelligenza e intraprendenza fece fortuna impiantando a Pittsburg un'officina meccanica che, nel volgere di pochi anni, divenne un'industria. Verso la fine della sua vita entro' nel campo della siderurgia e le sue ricchezze crebbero a dismisura. Quando il 29 luglio 1900 lascio' questo mondo non dico che mori' felice, ma certamente sereno per quanto aveva fatto. Un unico rammarico, quello di non essere potuto tornare in Italia per coronare il suo sogno, sogno per il quale ora io mi ritrovo tra voi.

L'impero dei Della Porta venne portato avanti dai quattro figli che, in virtu' della passione per la storia della sua citta', chiamo' Teodorico, Uraias, Teodote e Liutprando.

Solo Teodorico si sposo' ed ebbe figli, due per la precisione, Ratchis, che morira' in Francia, nel corso del primo conflitto mondiale, colpito da una granata tedesca e Astolfo, l'unico discendente superstite che allarghera' i suoi interessi investendo in pozzi petroliferi in Texas. Morto giovane, ad Astolfo successe Grimoaldo, mio padre che, tra tanta intelligenza e capacita' fu il migliore di tutti noi: Grazie anche alle commesse governative, nel corso del secondo conflitto mondiale, incremento' le proprie ricchezze con investimenti in campo armatoriale, automobilistico e chimico.

Alla sua morte, alla guida dell'Impero della Porta successi io che, senza eredi diretti, dopo venticinque anni di intenso e proficuo lavoro, ho pensato di liquidare le imprese di famiglia realizzando una disponibilita' di liquidi immensa e di rientrare in Italia per coronare finalmente il sogno del mio avo: far rivivere la Pavia capitale del Regno d'Italia".

Nella breve pausa, durante la quale Rotari bevve un sorso d'acqua e si asciugo' alcune gocce di sudore in fronte, osservo' il pubblico davanti a lui e noto' molte facce perplesse e qualche sorriso incredulo; gli giunse all'orecchio una frase che, al momento, non comprese in pieno ma che, in seguito, sarebbe diventata un vero e proprio tormentone per lui: "Tant, a Pavia, as poda no fal" (tanto a Pavia non si puo' fare).

Riprese subito il discorso:" Vi chiederete cosa significhi far rivivere la Pavia capitale del Regno d'Italia? Vi rispondo semplicemente, nel riportarla all'antico splendore e importanza che rivestiva all'epoca dei Longobardi, Franchi e Imperatori germanici.

I soldi ci sono, e tanti che voi nemmeno potete immaginare, i progetti sono pronti da almeno un anno, mi mancano solo i permessi per poterli realizzare e quindi un po' della vostra collaborazione.

Vi concedo sei mesi di tempo per ottenere i visti necessari  e smaltire le pratiche burocratiche dopodiche' inizieremo un'opera che arricchira' molti di voi, dara' lavoro a migliaia di persone e per molti anni e, soprattutto, dara' lustro e fama alla nostra gloriosa citta'. Al contrario levero' il disturbo e dirigero' la mia opera filantropica verso altri lidi".

Spentesi le luci in sala e accesosi un maxischermo, Rotari ando' illustrando in modo succinto ed esauriente i punti principali del suo progetto: "Il mio piano si divide in due parti: la Pavia di ieri e la Pavia del futuro. Il primo punto prevede la completa ristrutturazione dei monumenti esistenti come il rifacimento della facciata della basilica di S. Michele, il consolidamento della cupola del Duomo, la bonifica e i lavori di conservazione del centro storico e la ricostruzione, dove e' possibile, di quelli andati perduti come la Torre Civica e la facciata nord del Castello Visconteo: Questa parte del progetto prevede inoltre una vasta campagna di scavi. Voi tutti sapete del nuovo sistema di rilevamento satellitare, messo a punto due anni fa dal professor J.J. Proctor dell'Universita' di Princeton e mediante il quale e' possibile evidenziare strutture litiche e lignee anche a profondita' di 15-20 metri sotto il suolo della terra. Ebbene con tale sistema siamo riusciti a localizzare sotto il suolo della citta' strutture ed edifici di epoca romana, quali l'anfiteatro, il teatro, le terme, due templi e alcune abitazioni patrizie; di epoca goto-longobarda fra cui due chiese, quasi sicuramente ariane, una caserma militare posta ad alcuni metri di profondita' sotto Piazza Emanuele Filiberto ed inoltre i basamenti di alcune torri, chiese ed edifici medievali.

Vi assicuro che tali scavi,grazie alle nuove tecniche, verranno condotti senza stravolgere il suolo cittadino e senza recare noia alcuna alla popolazione.

Per quanto riguarda la Pavia del futuro e' prevista la creazione, in un'area che andra' individuata in provincia, di un parco della storia, in cui verranno ricostruiti gli habitat delle popolazioni che hanno vissuto nel nostro territorio nel corso dei millenni; verranno presi in considerazione le popolazioni neolitiche, celtiche, romane, gotiche, longobarde, franche e cosi' via fino a comprendere gli eventi storici a noi piu' vicini.

L'Universita' di Pavia, oltre a sviluppare le ricerche in campo medico e scientifico, dovra' diventare il centro mondiale per gli studi del Medioevo con mostre permanenti ed itineranti e musei che verranno via via arricchiti con opere che la Fondazione Della Porta acquistera' sul mercato, grazie ai suoi inesauribili fondi finanziari.

Saro' mecenate anche in campo sportivo; scusate l'immodestia, ma il vostro Berlusconi impallidira' al mio confronto; vi prometto una Pavia, anzi una Ticinum, per usare il suo antico nome, in serie A nel calcio, nel basket, nel wolley e nel rugby entro i prossimi cinque anni e in grado di competere, non solo a livello nazionale, ma anche internazionale.

Verranno costruite infrastrutture quali l'aeroporto, una nuova stazione ferroviaria, un eliporto, un porto fluviale, autostrade e tangenziali, un nuovo stadio e un avveniristico palazzetto dello sport".

Rotari Della Porta concluse la sua presentazione con queste parole:" Pavesi, vi offro tanto, in cambio chiedo poco, solo un po' di collaborazione". Riaccesesi le luci in sala, termino: "E ora tutti a tavola".

Passarono sei mesi e non successe nulla; Rotari ne accordo' altri sei e sei altri ancora ma la litigiosita' dei Pavesi e il prevalere degli egoismi di parte fecero si' che del progetto non se ne fece nulla.

Un bel mattino, come improvvisamente era arrivato, Rotari Della Porta altrtettanto improvvisamente lascio' la citta', e per sempre, lasciando i Pavesi con la loro frase in bocca:" tant, a Pavia, as pudiva no fal".

Dalla prima pagina della PROVINCIA PAVESE del 28 gennaio 2032:" Si e' spento a Napoli, all'eta' di 80 anni, il noto filantropo, di origini pavesi, Rotari Della Porta, presidente dell'omonima fondazione le cui inesauribili risorse finanziarie hanno permesso il finanziamento di ricerche in campo scientifico che hanno portato, nel corso degli ultimi vent'anni, alla definitiva sconfitta di malattie come il cancro, l'influenza, l'AIDS: Grazie all'intraprendenza del grande uomo e' stato possibile salvare definitivamente Venezia dal rischio di sprofondamento in laguna, raddrizzare la Torre di Pisa, recuperare all'antico splendore chiese, monumenti, opere d'arte in tutta Italia e nel mondo. Sempre grazie alle sue risorse e al suo personale fiuto sono state ritrovate e pubblicate opere ritenute perdute per sempre; ricordiamo il ritrovamento dei papiri con l'opera "I Tirreni" dell'Imperatore Claudio, i libri mancanti dell'opera "Ab urbe condita" di Tito Livio, una storia di Firenze, in volgare, attribuita a Dante, numerose pergamene contenenti lavori di Leonardo in campo astronomico, militare, zoologico e artististico. Cantieri archeologici sono sorti in ogni parte del mondo con il ritrovamento di opere di inestimabile valore artistico e storico. Non vanno inoltre dimenticate imprese come il recupero del Titanic e della Andrea Doria e di altre navi di tutte le epoche in tutti i mari del mondo. Non meno importante la sua opera filantropica a favore dei diseredati: non si contano gli ospedali, le dighe, gli impianti di desalinizzazione, gli acquedotti sparsi un po' ovunque e finanziati dal grande uomo.

Rotari Della Porta verra' commemorato questa sera in Consiglio Comunale; verra' avanzata la proposta di intitolargli una via del centro cittadino":

Colta al volo in Piazza della Posta. verso le 14.00 dello stesso giorno; due signori si fermano davanti all'edicola e, aprendo il giornale, il primo commenta:" suma stat propri di bei suflon a fal anda' via" (siamo stati proprio degli stupidi a farcelo scappare), di rimando il secondo:" fa gnent, tant a Pavia as pudiva no fal" (non importa, tanto, a Pavia, non lo si poteva fare).

 
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RACCONTI: n.4

Post n°6 pubblicato il 28 Dicembre 2006 da hrothaharijaz
Foto di hrothaharijaz

Nel mio profilo vi avevo parlato del mio amore per i cani, amore condiviso anche dal resto della famiglia, mia moglie Mariella e mia figlia Francesca.

Da dieci anni vive con noi Caronte, un carlino color champagne. E' da lui che prende vita questo racconto, anzi e' lui che, con tutta sincerita', parla di noi e della sua esperienza in casa nostra.

                                                       DALLA TUA PARTE

Sono passati quattro anni, ma lo ricordo come fosse ieri, quando mamma Astrid mi prese in disparte e mi disse: "Caronte,hai visto quei signori che sono venuti oggi a casa nostra? Saranno la tua nuova famiglia. Stai tranquillo, avevano un buon odore, un odore di persone per bene, con loro sarai felice, probabilmente di piu' che in questa casa. Qui sei uno fra i tanti cani dell'allevamento, la sarai il solo e,vedrai che non mi sbaglio, sarai trattato come un principino.

Quella notte, dico la verita', non dormii molto, pensavo che a giorni avrei lasciato per sempre mamma Astrid, zia Bibi e le mie sorelline Clitemnestra e Crudelia, ma, a distanza di tempo, devo dire che le parole di mamma Astrid si rivelarono profetiche: a casa del nuovo papa' e mamma e della nuova sorellina, non sono un principino, sono un autentico re.

Dopo qualche giorno Io, Caronte, piccolo carlino di pochi mesi, lasciavo per sempre la mia casa di Oleggio e i miei primi affetti sotto una fitta nevicata, avvolto in un caldo e vaporoso scialle e ricoperto dai primi di una infinita serie di baci che mamma Mary avrebbe stampato sul mio caldo e umido musino negli anni a venire.

Una cosa mi ha immediatamente intrigato, quella che avrei avuto un nuovo papa'. il mio padre vero, Zodiaco, non l'ho mai conosciuto. Mamma Astrid mi raccontava che fu amore a prima vista; era un bel uomo, pardon, un bel cane, con un pedigree stellare e antenati inglesi. Quest'altro invece, il dottor Fiorenzo, a prima vista mi aveva messo un po' di soggezione; era un marcantonio di piu' di cento chili che, quando alzava la voce, faceva tremare i vetri di casa. Ben presto ho imparato a capire che, sotto quella scorza di uomo burbero, si nascondeva un cuore grande grande. Dalle sue mani mi arrivavano da tavola i pezzi piu' prelibati di carne e, di nascosta da mamma, mi faceva assaggiare certe prelibatezze che, al solo pensiero, mi viene l'acquolina in bocca.

Certo, con lui non c'e' da scherzare e, quando sento il suo vocione gridare: "Caronte", non mi resta che srotolare la coda e obbedire.

Di papa' Fiorenzo sono diventato, ultimamente, un po' geloso e, precisamente, da quando, rinunciando alla pappa (cosa che per me sarebbe inconcepibile), ha perso venti chili di peso e, andando in palestra al posto di starsene a casa a fare dei bei sonni, come faccio io, e' diventato, come lo definisce mamma Mary, un bel uomo. Dicevo, dunque, che prima, quando andavo a spasso con il papa', i complimenti erano tutti per me: "Ma che bel cagnolino! Cos'e'? un carlino?. Adesso i complimenti e gli sguardi li devo dividere anche con lui, soprattutto quelli delle signore e chissa' se mamma Mary sara' contenta.

Di mamma Mary non posso dire che tutto il bene del mondo; mi coccola, mi bacia, mi fa' giocare, mi prepara ogni sorta di pappa, mi porta a passeggio due o tre volte al giorno. Spesso approfitto della sua bonta' facendo il testone, la tiro con il guinzaglio dove voglio io e, anche se spesso la sento borbottare, sono convinto che mi vuole un bene dell'anima.

La mia sorellina Francy e', invece, un po' lunatica; l'aspetto con ansia sulle scale quando torna a casa da scuola e con trepidazione riconosco dal suo passo se la mattinata e' andata bene o male.

Spesso mi prende in giro e sono oggetto dei suoi scherzi ma io mi vendico, svegliandola al mattino presto, arruffandole col mio musetto i suoi lunghi capelli neri.

Una cosa mi lascia perplesso; perche' io comprendo il loro linguaggio e capisco tutto quello che dicono mentre, spesso, ho l'impressione che loro non comprendano quello che dico e faccio io quando abbaio?

Ad esempio mi sgridano perche' disturbo i vicini quando, alla sera, esco sul terrazzo e abbaio alla luna: "Che casino fai, Caronte, vieni dentro" mi urlano. Io non faccio altro che gridare alla luna: "Mamma Astrid sono qui e sono immensamente felice". Dovete sapere che la sera prima della mia partenza da Oleggio, mamma Astrid, vedendomi un po' triste, mi disse: "Caronte, quando sarai a Pavia e ti verro' in mente o vorrai parlarmi, guarda in cielo e vedrai la luna, dille quello che pensi e lei me lo riferira'". Ed e' quello che io faccio e grido alla luna: "Mamma Astrid, mi stanno preparando una pappa stratosferica", oppure "Mamma Astrid, domani partiamo per la collina".

Dovete sapere che in questa nuova famiglia ho tante case in cui abitare: La prima e' quella di Pavia, la mia preferita, se non fosse per il caldo d'estate; poi ce n'e' un'altra in collina, dove passiamo spesso i fine settimana, un'altra ancora in montagna dove mi portano d'estate a prendere il fresco. Di tanto in tanto si va anche al lago, dal nonno Sergio; sarebbe un bel posto anche quello ma, uffa che barba il nonno: "Caronte stai fermo, Caronte stai giu', Caronte no".

Il mio terrore, ogni volta che vedo i preparativi per la partenza, e' quello di essere lasciato a casa da solo o addirittura abbandonato; se ne sentono di storie di cani abbandonati dai telegiornali, ma mamma Mary penso proprio che un dispetto del genere non sara' mai capace di farmelo, anche se dovessi fare il monello.

Qualche volta vengo lasciato a casa da solo per qualche ora; non che la cosa mi renda immensamente felice, ma mamma Mary, prima di uscire mi tranquillizza sempre e mi lascia sempre un biscotto.

Un'altra delle cose che io ho sviluppato e' la capacita' di conoscere il mondo esterno attraverso la percezione degli odori, mi accorgo della presenza della mamma o del papa' attraverso il loro caratteristico odore. loro invece sembrano accorgersi di me con l'olfatto solo quando faccio qualche puzzetta e allora lo devi sentire papa' Fiorenzo: " Caronte cos'hai fatto, schifoso?". Cosa dovrei dire allora io di lui e di quelle che fa lui.

Dall'odore delle persone capisco poi se sono accettato o a malapena sopportato, dove sono stati la mamma e il papa' quando fanno ritorno a casa. Avverto con largo anticipo quando stiamo per arrivare a destinazioone o quando facciamo ritorno a casa; allora mi sveglio, mi stiracchio e incomincio ad abbaiare: "siamo arrivati, siamo arrivati". Dopodiche', mamma Mary, immancabilmente soggiunge:" Ma come avra' fatto a capire?" e io di rimando penso: "Ma cosa ce l'avro' a fare il naso".

A Pavia ho molti amici e con loro ci incontriamo, quasi tutti i pomeriggi al parco; c'e' Poldo, un carlino come me, Adhara, un'affettuosa golden retriver della mia eta', Sissy, una pintscher nana e Cannella una sinuosa e vivace cirneco dell'Etna.

In tanti mi chiedono se ho fatto i carlini; a parte che non so di preciso cosa voglia dire, forse sono ancora troppo piccolo. Per certe cose, quando mi prude il billo, c'e' il piede di mamma Mary; devo stare attento, pero', che in circolazione non ci sia papa' Fiorenzo perche', e non riesco a capire il motivo per cui a lui e' permesso di rotolarsi con la mamma e a me nemmeno la possibilita' di una strusciatina, mi fa' smettere urlando, come al solito:" Caronte, cosa fai?".

La mia vita qui e' felice, di piu' non avrei potuto chiedere al destino. Qualche volta pero', soprattutto prima di addormentarmi alla sera, sono assalito dalla malinconia e dalle ansie e la causa di cio' sono alcune frasi di mamma Mary che capto di tanto in tanto:" Quando non ci sara' piu' Caronte io senza carlini non ci sapro' stare, ne andro' subito a comperare un altro, anzi due". Perche' queste frasi? Ci sara' un giorno in cui io dovro' andarmene? non restero' con loro per sempre?

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A chi piacciono le storie di animali, con annesso e inevitabile spargimento di lacrime, consiglio un libro: Io e Marley di John Grogan - Ed Spearling & Kupfer

 
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RACCONTI: n.3

Post n°4 pubblicato il 28 Dicembre 2006 da hrothaharijaz

   Il fatto che i primi due racconti fossero stati pubblicati sul quotidiano locale (la mitica PROVINCIA PAVESE) mi diede coraggio, cosi', elaborai questo terzo racconto.                                 

                                 " BRUTTO SCHERZO DELLA NATURA"

L'ultimo episodio capitatole ne pomeriggio di quel mercoledi' 1 settembra 1999 era stata la classica goccia che aveva fatto traboccare il vaso.

Il semaforo, in viale della Liberta', era scattato al verde e lei, come spesso le succedeva in situazioni come quelle, lasciandosi prendere da un immotivato panico, aveva lasciato spegnere il motore della sua vecchia FIAT Panda.

Pochi secondi e si scatena, dietro di lei, il finimondo; clacsons che suonano, urla inviperite: "alura", "che cazzo fai", "imbranata".

Un'auto di grossa cilindrata, forse una Mercedes, le si affianca, dal finestrino ne esce una faccia rossa e congesta, un cranio pelato e lucido che vomita. "vai a cagare" e, dopo un attimo di pausa, durante il quale l'energumeno dalla faccia rossa e congesta e dal cranio pelato e lucido si rende conto con chi ha a che fare, "brutto scherzo della natura".

Ebbene si, lei, Silvana di nome e, per ironia della sorte, Grandi di cognome, era nata apparentemente sana ma non era cresciuta oltre il metro e trentotto di altezza., con la testa grossa, le gambe corte e con una struttura ossea fragile fragile.: Acondroplasia era stata la diagnosi formulata in Pediatria dall'equipe medica: "Una nana, come quelle del circo" il lapidario commento di suo padre.

Questo non le aveva impedito di laurearsi in lettere antiche, anche con voti discreti e di scrivere e vedersi pubblicati alcuni saggi, uno sulla vis comica del commediografo latino Terenzio e l'altro sulla semantica del termine latino "libellus".

Le sue cagionevoli condizioni di salute non le avevano permesso di trovare un impiego fisso ma, grazie all'eredita' lasciatale dal padre, vecchio ufficiale dei carristi della Div. Ariete e medaglia d'argento al valore ad El Alamein,poteva condurre una esistenza decorosa, pur senza grandi lussi.

Viveva in una casa del centro storico, dalle parti di via Capsoni, di sua proprieta', formata da tre locali che davano su uno dei tanti "cortili nascosti" della vecchia Pavia a suo tempo immortalati dalla poetessa Ada Negri in una delle sue liriche dedicate alla citta'.

In giardino era solita passare i pomeriggi delle calde e afose estati pavesi con un bicchiere di limonata, i dizionari di greco e latino e i suoi amati classici. Proprio in quei giorni aveva ripreso con entusiasmo la traduzione dell'Alcesti di Euripide.

Il suo aspetto fisico le aveva pero' negato tutto il resto, a cominciare dall'affetto del padre Tranquillo Grandi, vecchio ufficiale dei carristi e medaglia d'argento al valore. Di lui ricordava i baffi alla Vittorio Emanuele II°, il viso sempre imbronciato e i modi secchi e autoritari con cui era abituato a rivolgersi alla moglie: "passarin ve' chi" o a lei: "uslin ve' chi".

Della madre, Venanzia Degli Esposti, aveva uno sfuocato ricordo, essendo questa morta quando lei aveva solo nove anni.

Non che le cose fossero andate meglio alle scuole dove la cattiveria dei compagni si era sbizzarrita in una serie di soprannomi: nana, scheletro, pulcino bagnato, ossi di seppia, Toulouse-Lautrec.

Una tbc polmonare con ricovero a Sondalo per quasi un anno non aveva fatto altro che incupire oltremodo il suo carattere e portarla ad un isolamento ancora maggiore.

Unico sprazzo di sole in quella grigia adolescenza fu l'incontro con Gianni Morandi, allora militare di leva a Pavia, durante il quale riusci' ad ottenere una fotografia autografata dal cantante che, ancora oggi, campeggia, in una cornice di peltro, sopra il caminetto di casa.

Ad aspettare Gianni Morandi fuori dalla caserma ci era andata con la Fausta, l'unica amica vera che avesse e che avrebbe avuto in vita sua. La Fausta sarebbe morta di li' a qualche anno per una forma fulminante di leucemia.

Piu' il tempo passava e piu' il suo carattere diventava difficile: Aveva avuto questioni un po' con tutti i vicini di casa e sempre per futili motivi. una carta di caramella lasciata cadere davanti alla sua porta da un bambino, i panni degli inquilini del piano superiore che sgocciolavano, il volume di un televisore tenuto troppo alto.

Aveva cambiato piu' di una parrucchiera perche' non era mai soddisfatta del taglio di capelli; una di queste l'aveva addirittura apostrofata con un umiliante: "Ma cosa pretende d itirare fuori con una testa e dei capelli cosi'?". in effetti i suoi capelli erano andati via via indebolendosi e diradandosi assumendo precocemente il colore grigio.

Nei negozi del rione veniva sopportata a fatica e, piu' di una volta, aveva sentito frasi sul tipo: "eccola che arriva" o "rumpaball".

Piano piano era scivolata verso una depressione cronica e nessuno della nutrita schiera di neuropsichiatri pavesi da lei consultati era riuscito a risollevarla da quella triste situazione.

Le sembrava che il mondo intero ce l'avesse con lei, quando usciva per strada si sentiva gli occhi di tutti addosso.

Alla sera, al ritorno a casa, la assalivano malinconia e angoscia a cui facevano seguito lunghi e disperati pianti. Aveva perso qualsiasi interesse, non guardava piu' la televisione,non ascoltava piu' l'adolrato Mozart e i libri dei suoi amati classici si stavano pian piano ricoprendo di polvere.

Strani pensieri turbavano la sua mente, le notti le passava insonni e nei momenti, rari, di sonno i suoi sogni erano popolati da incubi nei quali, sempre piu' spesso, compariva l'energumeno dalla faccia rossa e congesta e dal cranio pelato e lucido che, ossessionatamente le ripeteva. "Va a cagare, brutto scherzo della natura". Bruschi erano i risvegli, in un bagno di sudore e con il cuore che martellava nel petto.

Un pomeriggio, quasi senza accorgesene, si ritrovo' ad accarezzare il revolver di suo padre. Da allora non solo passo' i pomeriggi ad amoreggiare col freddo metallo del revolver ma si dilettava a smontarlo, oliarlo e rimontarlo: caricava i proiettili e, prendendo la mira, faceva finta di sparare ora a questo ora a quello.Dopo Natale aveva preso ad uscire con il revolver in borsetta; le dava un senso di sicurezza, si vedeva mentre sparava al figlio della portinaia del palazzo di fronte che era solito farle le boccacce dietro il vetro della guardiola, oppure al cane del salumiere che lei riteneva essere l'autore delle montagnole organiche che spesso ritrovava davanti all'uscio di casa.

Quel venerdi' mattina del 21 aprile del 2000 doveva recarsi ai Poliambulatori della ASL, dove avrebbe consultato, ultimo e poi aveva giurato basta, il neurologo della mutua di cui non ricordava gia' piu' il nome, tanto era difficile da pronunciare, ma di cui la sua sarta le aveva parlato cosi' bene:"ci vada signorina Silvana, e' cosi' bravo,pensi che la mia Giulietta erano vent'anni che soffriva di esaurimento nervoso e nessuno era mai riuscito a darle una cura per farla stare bene; questo dottore in poco tempo l'ha guarita e adesso sono quasi tre anni che non prende piu' medicine".

Arrivando nella sala d'aspetto dell'ambulatorio neurologico la Silvana vide un signore dalla faccia rossa e congesta e col cranio pelato e lucido in attesa di essere visitato.

Lei lo guarda, estrae il revolver dalla borsetta e fa' fuoco tre volte. Il signore dalla faccia rossa e congesta e dal cranio pelato e lucido si sente entrare in corpo, uno dopo l'altro, i tre proiettili senza riuscire ad avere il tempo di chiedersi: "perche'?". 

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Anche in questo caso il racconto e' di pura fantasia.

 
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RACCONTI: n.2 

Post n°3 pubblicato il 27 Dicembre 2006 da hrothaharijaz

Per il secondo racconto, scritto a distanza di un anno dal primo, si e' arrugginiti all'inizio, avevo scelto un argomento di estrema attualita' estiva: l'abbandono dei cani all'approssimarsi delle vacanze.

                                                   

                                                         NEMESI

"Perche' non mi hanno lasciato in quella cascina di Magherno, con la mia mamma e i miei sei fratellini? Non avrei di certo avuto una vita agiata, niente filetto e carni bianche di pollo, ma solo avanzi di cucina con pane raffermo ed acqua; non la toelette una volta alla settimana nel piu' esclusivo negozio per animali in centro a Pavia, ma la doccia improvvisata di qualche monello o di un temporale estivo, non una soffice cuccia nel bagnetto di servizio, ma la nuda terra per giaciglio e il cielo stellato per coperta.

Se mi avessero lasciato in quella cascina di Magherno, oggi non sarei qui, solo e terrorizzato in mezzo alle campagne di Bereguardo, divorato dalle zanzare e inseguito da altri cani randagi che sembrano non avermi troppo in simpatia.

Nella cascina di Magherno ero semplicemente Bobby. A casa del dottor Dentoni, funzionario comunale in un paesino fuori Pavia, sono stato ribattezzato Anacreonte, io, piccolo meticcio nero, del peso di appena sei chili.

A casa sua, con i due figli, Pier Silvio e Anselmo, ci stavo abbastanza bene; i bambini mi facevano giocare e, di nascosto dalla loro mamma, mi allungavano di tanto in tanto qualche boccone prelibato da tavola. Insomma, la vita non sarebbe stata poi tanto male se non fosse stato per la Signora, la Dottoressa Clotilde Vaccarizza, medico di famiglia che andava per la maggiore tra i vip, o presunti tali, della Pavia bene, per le sue terapie omeopatiche.

In casa Dentoni la passiflora veniva messa probabilmente anche nel minestrone se non, addirittura, nella mia pappa. Ricordo che le sue goccine erano propinate a tutti in famiglia e per le piu' svariate motivazioni: le flatulenze del marito, le allergie di Pier Silvio e le crisi di agitazione del piccolo Anselmo. Anch'io ero sottoposto a tali cure ad ogni cambio di stagione, allorche' mi dicevano che perdevo il pelo.

La signora era insopportabile, comandava a bacchetta figli e marito. Il dottor Dentoni, tutto sommato, era un brav'uomo, purtroppo anche una vittima della consorte megera. Spesso, quando mi accompagnava per l'ultimo giretto, alla sera, si sfogava con me, come se fosse convinto che io lo ascoltassi e lo capissi e tante volte l'ho sentito lamentarsi del destino ingrato che gli aveva fatto incontrare una tale tiranna.

Tante cose che erano permesse ai miei amici che incontravo ai giardini pubblici del castello o nel negozio di toelette, a me erano negate. Alcuni dormivano con i loro padroncini, magari nel loro stesso letto, io nel bagnetto di servizio e solo; altri potevano salire sui divani o portare in giro per casa ciabatte e stracci vari, io no; non potevo inoltre grattarmi a piacimento che subito la Dottoressa mi dava del pulcioso e mi confinava sul terrazzino dove mi innaffiava con i suoi pestilenziali acaricidi (omeopatici, naturalmente).

Nabucodonosor, il barboncino del Dottor Bertolazzi, nostro dirimpettaio, in Viale della Liberta', mi confido', una volta, che la sua padrona gli concedeva, di tanto in tanto, il piede, su cui strusciarsi. Non oso pensare a cosa mi sarebbe successo se avessi attentato al piede della Signora Clotilde: Probabilmente mi avrebbe rispedito alla cascina di Magherno oppure, mi avrebbe riservato il trattamento a cui erano stati sottoposti i due gatti di casa, Amedeo e Annibale,  col risultato che erano poi divenuti due tigrotti di quindici chili l'uno.

Che qualcosa, in quei giorni di prima estate, non girasse per il verso giusto me lo aveva fatto capire un ulteriore irrancidimento della Signora nei miei confronti e, soprattutto, alcune frasi captate qui e la' in cui si parlava di una prossima partenza per la Sardegna e di come io sarei risultato di impiccio sul traghetto. Sentivo il dottor Dentoni parlare di pensioni per cani e di rimando la signora rispondere che costavano troppo e che in fin dei conti io ero solo un cane.

Seguirono due giorni di silenzio in cui io non toccai cibo e la mia coda rimase sempre tra le gambe. Anche Pier Silvio e Anselmo erano strani, spesso li vedevo con le lacrime agli occhi.

Giunse infine la fatidica sera del 28 luglio quando mi venne tolto il collarino con la medaglietta e costretto a salire in macchina.

Il dottor Dentoni percorse strade a me ignote, si infilo' in un viottolo polveroso, fermo' l'auto, una lieve spinta e mi trovai a terra. L'auto riparti' velocemente e le ultime cose che vidi furono una lacrima sul viso del Dottore e il ghigno soddisfatto della dottoressa Vaccarizza.

Umano disumano, vorrei che provassi tu il terrore che sto provando io in questo momento; solo sui tuoi insulsi libri c'e' scritto che i cani non hanno un'anima, ma io ce l' ho, eccome, e molto piu' dignitosa della tua.

Ho vagato disperato per tutta la notte, sono stanco, ho fame e sete. Il sole e' a picco e la mia lingua, ingrossata dalla sete, penzola fino a terra. Ho raggiunto il ciglio dell'autostrada, le macchine passano veloci. Tento l'attraversamento, un'auto mi evita per miracolo. Passano pochi secondi e sento uno stridere di gomme, un urto, un dolore atroce in tutto il corpo, la vista mi si annebbia, un'ultima immagine davanti ai miei occhi quasi spenti: l'assolata cascina di Magherno, la mia mamma e i miei fratellini, poi buio e silenzio".

Dalla PROVINCIA PAVESE del 30 luglio: Grave incidente sull'autostrada Milano-Genova, all'altezza di Bereguardo: auto investe cane ed esce di strada, perde la vita un noto medico di Pavia, la Dottoressa Clotilde Vaccarizza, lievemente ferito il marito, il Dottor Furio Dentoni, che riporta escoriazioni e contusioni varie e, ironia della sorte, la perdita dei due incisivi superiori, illesi i figli Pier Silvio e Anselmo. Sono state avviate da parte della Magistratura indagini sui responsabili dell'abbandono della bestiola.

                                           - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Questo racconto non e' dedicato a coloro che il cane ce l'hanno gia'. A persone come il sottoscritto, mia moglie e mia figlia, non serve.

In funzione del nostro cane Caronte, oggi di 10 anni, siamo arrivati ad interrompere rapporti di amicizia e di parentela con persone che non condividevano le nostre convinzioni e abbiamo tralasciato di frequentare case e luoghi dove il nostro carlino era indesiderato ospite.

Questo racconto e' invece dedicato a coloro che il cane non ce l'hanno e potrebbero trovarsi nelle condizioni di adottarne uno. Se non siete piu' che convinti e responsabili, lasciate perdere, lasciate Bobby nella cascina di Magherno dove, anche senza il filetto e la cuccia di raso, sara' felice egualmente.

Vorrei dire che i personaggi e i fatti sono di pura fantasia. Non e' cosi'.

 
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RACCONTI: n.1

Post n°2 pubblicato il 27 Dicembre 2006 da hrothaharijaz

                        l'idea nasce la sera in cui, rattristato, mi recavo in collina con la famiglia, eravamo stati eliminati dalla Francia, ai rigori, nel mondiale de 1998.

Ma non perdiamo ulteriore tempo.

                                     TZINTZIN, ZANZARA AFFAMATA

Sono a digiuno da tre giorni, se entro stasera non mangio, domattina saro' morta.

Tsantar dorme vicino a me; lei, ieri sera, ce l'ha fatta. Il suo ventre e' gonfio, roseo, pulsante; per qualche giorno e' a posto. Il caldo e' insopportabile, l'afa opprimente. Ho anche sete, ma devo risparmiare tutte le forze per la caccia di stanotte, non posso sprecarle per cercare l'acqua. 

Dalle foglie sotto cui mi sono nascosta guardo il buco della rete metallica attraverso cui passero', appena si sara' fatto buio, prima che il ciccione barbuto e sudato - mmh che fragranza che emana il suo corpaccione - mi chiuda tutti gli accessi alla sua casa.

Entrare sara' il meno, piu' difficile rimanere nascosti senza farsi scoprire, le reazioni del ciccione sono violente, rapide, micidiali.

Ricordo come stermino' pochi giorni fa Tsondar, Tzolar e Tzaitzai nel volgere di pochi secondi, una vera macchina da guerra il ciccione, se gli umani fossero tutti come lui, la nostra specie sarebbe in serio pericolo. Mi vengono i brividi solo a pensarci, ma quanto dolce, buono e soave e' il suo nettare.

Lo vedo adesso, bianco, grasso, sudaticcio mentre si gratta l'enorme pancia, sembra che mi stia osservando, " a stanotte bestione".

Ancora poche ore, cerco di dormire ma non ce la faccio, sono troppo nervosa. Mi viene in mente Tzi Tzi che, mentre suggeva estasiata il rosso nettare del ciccione, venne schiacciata da un improvviso scarto di questi e impiastricciata sul lenzuolo.

Tsantar si e' svegliata, mi consola, mi da' gli ultimi consigli: " D'accordo, il nettare del ciccione sara' il migliore di quelli in circolazione, ma con lui, debole come sei, corri troppi rischi, accontentati per il momento di quello della sua compagna, lei e' meno reattiva e pericolosa".

Le parole di Tsantar non le ascolto nemmeno; se devo morire voglio morire contenta: o il suo nettare o niente.

Il sole e' al tramonto, ancora poco. Adesso e' quasi buio, le luci all'interno della casa sono ancora spente.

Il ciccione, piu' sudato che mai, e' seduto in poltrona, fuma i suoi pestilenziali sigari e suda, beve e suda, si muove, sospira e suda.

Non ce la faccio piu', gli volerei addosso per succhiargli il nettare, ma se lo facessi adesso, sarebbe morte certa, il ciccione e' crudele, non sbaglia un colpo.

devo pazientare ancora, aspettare che vada a dormire e sperare che si addormenti subito, senza rotolarsi prima nel letto con la sua compagna.

Mi metto dietro la piega di una tenda, alle sue spalle; vedo il suo collo sudato; non ce la faccio piu', quasi quasi mi lancio, anche se mi rendo conto che il ciccione non mi darebbe scampo, mi inseguirebbe fino all'inferno pur di uccidermi.

Il tempo passa troppo lentamente; mi sembra di avere delle allucinazioni, sento l'odore del nettare, lo sento entrare in me. Una voce interiore sembra dirmi: "Tzintzin devi avere pazienza, aspettare ancora un poco".

Finalmente sento la frase che attendevo da tempo: "Andiamo a letto, e' ora".

Sono allo stremo delle forze, la vista mi si sta appannando. devo ancora sopportare tutti i convenevoli di questi strani soggetti che sono gli umani. "ti sei lavata i denti?"; "a che ora ti chiamo domani mattina?"; "Hai fatto fare la pipi' al cane?". Ci mancava solo lui, questo buffo animale dal muso schiacciato che salta su e giu' dal letto, dorme facendo un rumore insopportabile e possiede un nettare schifoso.

Finalmente la frase fatidica. "Buonanotte". Il ciccione si distende nel letto, suda sempre piu', il suo odore mi arriva fragrante e irresistibile: Sono a pochi centimetri da lui, nascosta dietro la spalliera del letto.Lo conosco troppo bene, di tanto in tanto, al minimo rumore, smette di leggere, se dorme si sveglia e accende la luce facendo un fracasso che irrita la sua compagna, scruta i bianchi muri della sua stanza per accertarsi della nostra presenza e, se ci individua, siamo fritte.

Ha appena spento la luce,il suo odore diviene ancora piu' intenso, irresistiibile.

Si e' addormentato, suda ancora piu' profusamente.

Ogni cellula del mio corpo freme e vibra.

Spicco il balzo, mi adagio senza far rumore sul dorso del suo piede sinistro, anche se avrei preferito la superficie di un dito della mano o del suo collo sudato; innesto il pungiglione e incomincio ad aspirare. "Oh fragranza, estasi, il suo nettare e' l'apoteosi del gusto".

Mi distraggo una frazione di secondo, la luce si accende, non riesco a divincolarmi in tempo dal piede, vedo una mano enorme calare su di me. " ciccione maled...

BUIO.

                                   - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Sono passati un po' di anni da allora, le zanzare sono sempre le stesse e il mio nettare e' dei migliori che ci sia sul mercato. Se siamo in dieci in una stanza, ad essere punto sono sempre io.

In compenso il ciccione di una volta si e' messo a dieta, la palestra ha fatto il resto. Insomma qualcosa l'abbiamo ottenuta.

 
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