RUGIADA

LUCE D'ERBA

 

 

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IL PRIMO MAGGIO

Post n°70 pubblicato il 01 Maggio 2008 da aidanred

Anche la conoscenza del fascismo e di ciò che il regime rappresentò per i dissidenti, crebbe insieme con me nelle battute e nei tanti episodi che mia nonna ricordava con precisa memoria ricca di particolari.

 Lei visse con coraggio la tragica morte del nonno, barbaramente ucciso a manganellate, a soli 29 anni, sugli spalti del castello di Brescia.

 Quando rimase vedova lei ne aveva 27 e da allora pensò solo a sua figlia e al lavoro che doveva affrontare per poterla crescere.

Mia nonna era la madre di mia madre, visse fino a 93 anni, tutti noi la pensavamo eterna e quando ci lasciò fummo costretti ad ammettere che la morte non dimentica nessuno.

Il giorno del suo funerale mio zio disse - E’ morta la donna di ferro!

Con quelle semplici parole seppe rappresentare ciò che ella fu veramente nella sua vita, una donna unica che sapeva allontanare il dolore e la paura con energia e coraggio. 

La sua filosofia di vita, del tutto personale, avrebbe potuto eguagliare in conoscenza e saggezza l’intera sapienza Zen e non solo.

Era una filosofia che nasceva dal vissuto popolare,   formata e plasmata nell’esperienza quotidiana, segnata da lunghe ore di lavoro, privazioni e risparmi rivolti ad un futuro non suo.

 La nonna parlava un dialetto ricco di termini arcaici o spesso inventati, che la rendevano unica nel raccontare la realtà e la fantasia.

Ricordo parole che con la loro espressività riuscivano a rappresentare in senso altamente metaforico e immediato complesse situazioni, che diversamente non avrebbero avuto descrizione migliore.

Anche nell’inveire usava espressioni non traducibili, capaci però di cogliere nel segno.

Di lei si potrebbe parlare per giorni senza riuscire a darne un’immagine completa e ciò ha reso incancellabile  dentro di me la sua presenza.

Una vicenda che amava raccontare con dovizia di particolari, la riportava nel periodo in cui, dopo la marcia su Roma, nella nostra città, ma anche nel resto d’Italia, gli aderenti al partito Fascista mostravano con orgoglio la  camicia nera e si sentivano grandi, forti e padroni di tutto.

 Camicie e stivali facevano di loro dei violenti  gradassi, pronti ad intimidire o punire chi avesse mostrato interessi diversi e non si fosse conformato alle nuove disposizioni del governo.

In quel periodo nonna s’innamorò dell’uomo sbagliato, un socialista romantico che a dispetto delle leggi fasciste teneva nascosti nel cassone in soffitta gli scritti di Turati e Labriola, articoli e manifestini considerati sovversivi e la bandiera rossa del suo partito.

Il nonno e la nonna erano cresciuti insieme nello stesso cortile. La sera, dopo l’ave Maria, salivano la  scala di legno che portava sulla loggia e da questa nelle camere delle tre famiglie che avevano le cucine col soffitto a volto giù  in basso, sotto il portico.

 Di fronte alla porta delle camere si salutavano, per ritrovarsi il mattino seguente all’uscita del portone che si apriva sulla strada in centro al paese.

In piazza il tram a cavalli li aspettava per portarli al limite della città, dove vi erano le filande e le prime grandi fabbriche metalmeccaniche.

Il nonno nel 1915 partì per assolvere all’obbligo di leva e ritornò solo tre anni dopo a guerra finita. Si ritrovò in un mondo nuovo, diverso, incapace di impedire  il tramonto delle ideologie anarchiche e socialiste. 

Il fascismo iniziava a farsi strada a scapito della democrazia e delle più elementari libertà e per i dissidenti la vita era diventata un inferno.

In paese tutti sapevano delle sue convinzioni politiche e negli agguati notturni che si facevano frequenti contro la sua persona, riconobbe più di una volta, armati di manganelli, i vecchi compagni di gioco. Erano dei morti di fame che per una trippa calda o un bicchiere di vino d’osteria divenivano gli esecutori ignoranti di  vili pestaggi.

Fu intorno al 1920 che mio nonno e mia nonna si  unirono in matrimonio e quale data migliore per consacrare il loro amore se non quella del primo Maggio!

Il loro fu un matrimonio clandestino, consumato velocemente fuori porta, con la certezza di essere inseguiti e controllati.

La casa in affitto sul colle San Giuseppe fu disertata dal nonno, che visse gli ultimi anni della sua vita nascosto in soffitte d’amici, perché ricercato come colpevole di essere fedele al socialismo.

Se l’amore che nonna provava per il nonno era profondo, quello per il cibo lo era ancor di più e per salvare un piatto di polenta ella avrebbe sfidato qualsiasi pericolo.

Per festeggiare il primo maggio del 1922, mi raccontava di aver organizzato con alcuni fedeli compagni una gita in Maddalena.

Il nonno, per l’importante occasione, voleva concedere alcune ore di libertà alla sua latitanza e, certo di essere ben protetto, avrebbe raggiunto l’allegra compagnia in quello che tutti a Brescia conoscono come il pascolo della cascina Margherita sul monte Maddalena, dove i castagni si alzano al cielo in cerchio, per disegnare il naturale confine del prato.

Nell’erba le donne stesero le tovaglie bianche di fiandra, dai cesti di vimini tolsero posate, bottiglie di vino buono, bicchieri e l’arrosto di carne, per quel pranzo importante e ben organizzato.

Nonna si era portata ben stretto, su per il sentiero rosso di terra, il paiolo nero di fuliggine e pesante di polenta calda, che per ben quaranta minuti aveva mescolato piegata sulle fiamme del camino di casa.

Al sudore di quel lavoro ingrato, si sommava quello della fatica nel camminare su un percorso accidentato e tutto in salita.

La polenta non poteva mancare, in quei tempi di grandi ristrettezze era sovrana sulle tavole dei poveri, che in qualche modo dovevano riempirsi lo stomaco.

Quando parlava di polenta la nonna deglutiva e anche dopo una lunga vita non si era mai stancata di cucinarla e mangiarla con immenso e rinnovato piacere.

Il ricordo del paiolo portato come un trofeo e pronto ad essere capovolto sul tovagliolo bianco di bucato, rendeva ancor più vivo il racconto del momento in cui, ancor prima di assaporare il cibo, dal folto del bosco, sul sentiero alto, si scorsero alcune camicie nere.

 I compagni s’improvvisarono in un rapido  fuggi, fuggi, in cerca di un nascondiglio tra gli alberi e mentre le sagome nere si facevano sempre più nitide e chiare, nei loro volti si leggevano le tristi intenzioni.

Lei seduta nell’erba li guardava e sentiva il suo cuore  battere forte. In quella posizione i fascisti le apparivano ancor più alti, brutti, robusti e minacciosi.

Solo quando le chiesero dove fossero sparite tutte le persone che poco prima stavano in sua compagnia, realizzò seriamente di essere rimasta sola, unica ancella in difesa della tavola riccamente imbandita. - Non so niente io!-  rispose, - Li avete fatti scappare, per me erano clienti, chi mi pagherà ora tutta questa roba!.

Così dicendo, in fretta fece della tovaglia un fagotto, se lo mise in spalle e furibonda si allontanò lasciando quei bravi signori senza parole.

La genialità della nonna stava nella capacità di improvvisazione e quella volta l’amore per il cibo le evitò dei seri problemi.

 Non ho mai saputo che fine avesse fatto tutto quel ben di Dio. Lei raccontava delle maledizioni che aveva lanciato a quei neri caproni col manganello e della povera moglie di un compagno, che nel correre giù verso valle, per i ripidi sentieri, si ruppe entrambe i tacchi e giunse in paese zoppicando e piangendo  la perdita delle sue belle e uniche scarpe.

Il nonno era riuscito ancora una volta a salvarsi dall’arresto, ma la sua fine era segnata: sulla lista dei sovversivi il nome di Giuseppe Lombardi era ben evidenziato con una croce nera.

I fascisti sapevano come snidare i loro nemici, bastava comunicare ai parenti il giorno e l’ora in cui avrebbero stabilito l’appuntamento su in Castello.

Chi riceveva tale comunicazione sapeva della propria fine e per impedire tragiche ripercussioni sui propri familiari, si presentava puntuale e consapevole.

Così finì la vita del nonno a soli 29 anni.

Per me era ed è ancora un grande eroe e sono sempre stata  fiera delle sue scelte di vita e del suo nome che ancor oggi, in lettere d’oro, è riportato sulla bandiera del socialismo bresciano. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Commenti al Post:
DONNADISTRADA
DONNADISTRADA il 08/05/08 alle 00:50 via WEB
bella storia di vita, Nadia!!
Bellissimo omaggio agli eroi di strada... un nome su una bandiera per non dimenticare le nostre radici.
un saluto e un abbraccio
angi
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 08/05/08 alle 10:34 via WEB
Grazie angi,sempre presente, con le tue parole ti sento amica.Un abbraccio. Nadia
 
santiago.gamboa
santiago.gamboa il 11/05/08 alle 13:20 via WEB
bello, nadia, grazie. mi hai coinvolto in questa testimonianza delicata e cosciente. abbraccio
 
aidanred
aidanred il 11/05/08 alle 17:12 via WEB
Grazie Santiago, sono storie di lontana ma rinnovata memoria che percorrono con me la vita. Un abbraccio. Nadia
 
orazrome
orazrome il 26/06/08 alle 22:26 via WEB
Grande il tuo dono! Leggere le tue storie è come vedere un film!!! buona serata,,agratius
 
nourpelletterie
nourpelletterie il 03/02/12 alle 19:50 via WEB
Non ho vissuto i giorni storici con cui hai descritto una figura particolare, e di cui sarai superbamente fiera, tua nonna. Una figura che la vita ha voluto far avanzare negli anni per insegnare cose nuove ad ogni tramonto. E come le zolle arate, danno buon frutto, così la vita ha premiato chi con coraggio ha potuto rispondere alle angherie della storia di allora. Ho conosciuto il tuo volto da una foto di tua madre appesa in una parete a Napoli, e gli occhi sono gli stessi, forse anche quelli di tua nonna, bellissimo racconto da uno stralcio di vita da fare invidia a quello che oggi i nostri occhi guardandosi intorno chiamano civiltà.
 
aidanred
aidanred il 08/04/12 alle 00:18 via WEB
Grazie per il tuo pensiero, mi chiedo quale legame abbiamo in comune con Napoli. Io non apro quasi più il mio blog, però ho accolto con piacere la tua visita
 
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Un blog di: aidanred
Data di creazione: 21/10/2007
 

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