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Messaggi del 13/03/2015

Quarche consijio

Post n°1361 pubblicato il 13 Marzo 2015 da valerio.sampieri
 

Quarche consijio

'Na cosa ch'hai da fà a tutta callara
è cquela de capì qual è 'r probbrema,
nonché 'rrimedio che tte lo sistema
e tutti l'arti e bbassi te l'appara.

Cerca de nun buttalla mai 'n caciara;
la testa sempre in arto, senza tema,
e 'gni difficortà diventa scema
si la tua dignità sai tené ccara.

Rispetta sempre chi tte vôle bbene,
tanto pe' ddì la prima cosa ggiusta.
L'anima innamorata sempre ottiene

de fà risplenne assai 'gni cosa frusta.
Rigala a chi ami quer che je conviene,
perché a la vita possa dì: "Me gusta".

Valerio Sampieri
12-13 marzo 2015

 
 
 

La Secchia Rapita note 10-12

Post n°1360 pubblicato il 13 Marzo 2015 da valerio.sampieri
 

La Secchia Rapita
di Alessandro Tassoni

DICHIARAZIONI DI GASPARE SALVIANI ALLA SECCHIA RAPITA

[dall'edizione del 1630, attribuite ad A. Tassoni]

CANTO DECIMO

S. 7a, v. 1.
In quel tempo s'usava questa lingua, come si può vedere dalle storie e dai versi de' litterati che fiorivano allora, assai rozzi. Ma qui il poeta picca coloro che oggidí chiamano questa 1a lingua del buon secolo, e la vorrebbero rimettere in uso; mostrando loro come riuscirebbe alla prova. Le cose cadute dall'uso è vanità il volerle sostentare. Il sale della satira è il condimento della comedia. Ma il poeta sfuggí di chiamare questa sua invenzione nuova di poetare eroisatiricomica, sapendo quanto il nome di satira sia odioso in questi tempi e sospetto .a quelli particolarmente che dominano.

S. 10a, v. 8.
Chiama gran re dell'oceano il re Cattolico per lo vasto dominio ch'egli ha nell'oceano, che è dominato da lui dalle colonne d'Ercole fin sotto il polo antartico: onde a riguardo del mare il sole nasce e tramonta ne' regni suoi.

S. 23a, v. 1.
Chiama Venere moro Libecchio, perché nasce in Mauritania il chiama cane, perché quivi i popoli vivono senza politica, e il chiama senza fede, perché gli africani hanno sempre avuto per uso il mancar di fede.

S. 24a, v. 3.
Della prigionia di Corradino di Svevia seguita ad Astura per tradimento del signore di quella terra leggi il Villani: e veramente quella terra oggidi è distrutta e tutto il territorio è diserto, che pare appunto vendetta celeste.

S. 26a, v. 8.
Chiama dea del mare Venere, perché nacque dal mare, e reina del mare la città di Napoli perché domina tutto quel mare.

S. 27a, v. 3.
Manfredi principe di Taranto e poi re di Napoli fu veramente innamorato della contessa di Caserta sua sorella. Veggansi l'istorie di Napoli e le lettere di Paulo Manuzio ove porta uno squarcio di questa istoria.
Qui alcuni hanno richiesto perché il poeta non séguiti a narrare quel che facesse Manfredi per liberare il fratello dalle mani de' Bolognesi. E non s'avveggono che il poeta finisce la favola della Secchia alla quale è obbligato, e che questa è un'altra istoria, e che seguíta la pace, il lettore dee imaginarsi o che Manfredi non facesse altro o che cominciasse un'altra guerra da sé. Neanco il Tasso descrive ciò che avvenisse d'Armida e d'Erminia dopo la presa di Gerusalemme, perché erano cose fuora della favola proposta da lui.

S. 36a, v. 2.
Napoletanamente.

S. 42a, v. 7.
Versi romaneschi.

S. 53a, v. 7.
Questa è quella sorta di ridicolo che propriamente vien chiamata da Aristotile nella Poetica: Turpitudo sine dolore, che fa nascere il riso dalle azioni: ma del riso che nasce dalle parole non ne favellò Aristotile.

S. 60a, v. 7.
Questi versi dicevano prima cosí:

né distinguendo ben dal fico il pesco,
scusavanlo col dir: gli è romanesco.

Ma fu giudicato troppo satirico e fu corretto.

S. 74a, v. 1.
Cava il ridicolo dalla cattiva pronuncia romanesca, come di sopra a ottave 42. Ma qui è contrasegno d'un personaggio noto in Roma.

S. 74a, v. 3.
Questo fu veramente fiscal di Modana, ma ne' tempi piú moderni, e scontrando una volta certi banditi, si cacò ne' calzoni di paura: ma essi nol conobbero e 'l lasciarono andare cosí merdoso: che se l'avessero conosciuto, guai a lui. - È nondimeno da avvertire che questa di Titta, come ho detto, fu veramente azione d'un romanesco; il quale vantandosi d'esser parente del papa, non voleva esser condotto prigione in Torre di Nona, ma in Castello Sant' Angelo.


CANTO UNDECIMO

S. 1a, v. 4.
La favola d'Atteone convertito in cervo da Diana è notissima a tutti

S. 4a, v. 8.
I duellisti sfuggono quanto possono il tirarsi addosso le mentite per non divenire attori.

S. 6a, v. 5.
Diceva prima poco dianzi. Ma l'autore l'ha mutato per isfuggire le dispute. Perciò che dianzi vuol dire poco prima, e alcuni tengono che sia un reiterar lo stesso. Con tutto ciò l'autore tiene che si possa reiterar l'istesso per significare un tempo assai prossimo, e dire poco poco prima e per conseguenza poco dianzi. Il Petrarca disse par dianzi, che fu quasi il medesimo.

S. 8a, v. 8.
Con certe buone coltellate levò l'insolenza a un cocchiero di Roma, che è una dell'eroiche azioni che si possano contare in quella corte, dove l'insolenza de' cocchieri, de' birri, de' barilari e de' carrattieri non può esser rappresentata con alcun superlativo.

S. 14a, v. 7.
I visi che i pittori cavano dal naturale dilettano sempre piú che gl'imaginati.

S. 17a, v. 1.
Alcuni s'hanno creduto che il poeta fingendo di burlare dica da dovero.

S. 20a, v. 1.
Inventa tutti i mezzi che possano animare un cuor vile.

S. 22a, v. 5.
Questo buon medico usa il rimedio che si suole usare con gli cavalli barberi che corrono al palio; i quali, per animarli maggiormente acciò che non abbiano da correre con timidità, si sogliono abbeverar di buon vino. Gli spiriti riscaldati dal calor del vino non istimano i pericoli o non gli conoscono.

S. 26a, v. 1.
Qui il conte poeteggia assai meglio che non fece nell'altro canto, quando non avea bevuto: perciò che qui poeteggia commosso da furor di vino, e là compone di suo natural talento. Ennio, Orazio e Torquato Tasso non sapeano comporre, se prima non avevano ben bevuto: e 'l Tasso in particulare soleva dire che la malvagia sola era quella che lo faceva comporre perfettamente.

S. 32a, v. 1.
A' veri paladini della poltroneria non bastano i rimorsi dell'onore, né la vergogna, né i rinfacciamenti degli amici, né l'ingiurie de' nemici, né l'esortazioni de' confidenti, né gli stimoli della dama, né il calore del vino; che finalmente vogliono anch'essere accompagnati da cinquanta difensori.

S. 34a, v. 8.
Questa e la salmeria del conte portatagli dietro in campo da un suo padrino parziale.

S. 41a, v. 1.
Nol poteva spedire a persona piú informata né piú diligente di me.

S. 41a, v. 5.
Intende del cavalier Cassiano del Pozzo, del principe Federico Cesi e del signor don Virginio Cesarini, famosi ingegni della loro età, come altri ancora ne fanno fede.

S. 41a, v. 8.
Il poeta ha mutato marchese, perché il primo per comparire in scena aveva promessi certi guanti d'ambra, che poi per esser cosa odorosa andarono in fumo. E realmente il luogo meritava d'essere occupato da un altro ingegno mirabile, come quello del marchese Sforza Pallavicino. E l'altro, che stimava piú due paia di guanti che l'immortalità, meritava d'esser levato da tappeto.

S. 44a, v. 7.
Gli animi vili, purché salvino la pancia, non si curano di perder l'onore.

S. 46a, v. 3.
S'andò a mettere in casa d'un cardinale suo paesano senza essere invitato, e convenne, volesse o no, ch'egli 1'alloggiasse; perciò che non bastarono né parole né fatti a farlo uscire di quella casa.

S. 46a, v. 7.
Il manuscritto dice: A quel becco del Tarco un marchesato. E veramente fu vero ch'egli da un principe greco si fece investire d'un marchesato nelle provincie del Turco, e pagò il titolo, chi dice una mano di scudi, e chi dice una dozzina di salami.

S. 51a, v. 4.
Alcuni interpretano costei per una certa spagnuola detta Dogna Maria di Ghir, che stette un tempo in Roma puttaneggiando, e mandò fallito questo eroe romanesco.

S. 57a, v. 1.
La flemma nel petto de' poltroni resiste alla collera in maniera che prima che la collera si riscaldi ci bisognano dieci guanciate. E veramente succedé un giorno che trovandosi il conte alla finestra, e passando due spagnoli, uno con la spada e l'altro prete, ed essendo la strada piena di sole, egli chiamando un suo uomo di casa, disse: Mira come questi marrani godono d'andare al sole. Gli spagnoli l'intesero: e quel dalla spada sopra la voce marrano gli diede una mentita e lo sfidò a venire a basso a duello: ma egli ridendosi di lui rispose che aveva burlato e che a Roma non si faceva quistione; e non si mosse dalla finestra, veggendo che l'uscio era chiuso.

S. 60a, v. 2.
L'intacca di que' vizii ne'quali per l'ordinario suole incorrere la plebe di Roma.

S. 61a, v. 3.
Si vituperò da se stesso: perché veramente fu vero ch'egli accusò la moglie d'adulterio, e la fece metter prigione insieme con l'adultero, ch'era persona assai vile.


CANTO DUODECIMO

S. 1a, v. 4.
Il vero testo stampato in Parigi e 'l manuscritto dell' autore dicono: E mandava indulgenze per gli altari, In Roma fu corretto per non parer che si dileggiassero le azioni d'un papa e le sue indulgenze: ma si guastò il ridicolo che cadeva a tempo.

S. 2a, v. 2
Il cardinale Ottaviano degli Ubaldini era allora vescovo di Bologna, e fu egli veramente quello che s' interpose, e che trattò la pace.

S. 4a, v. 2.
Diceva prima con un poco piú di piccante: De l'uno e l'altro esercito avocato.

S. 11a, v. 5.
Motteggia questi poeti, l'uno d'aver usato pietose per pie e l'altro d'aver usato il legno santo per la croce, facendo equivoco col legno d'lndia che guarisce il mal francese.

S. 16a, v. 3.
È trasportato da persona a persona: perciò che non fu I'Ubaldino, ma un altro dell'istesso ordine, che ne' prati di Solera andò un giorno dopo desinare a pigliar de' grilli.

S. 17a, v. 5.
Innocenzo Secondo era allor papa; ma non era già egli nemico de' Modanesi; come parve che poi si mostrasse qualche altro suo successore.

S. 18a, v. 4.
È un equivoco acuto.

S. 19a, v. 3.
Un quartaro tiene due barili, cioè la quarta parte di una botte. I saghi sono una certa composizione che si fa di mosto bollito con farina, e s'usa in molte città di Lombardia cominciando a Bologna.

S. 26a, v. 8.
Cosí fatte memorie sono veramente piuttosto fumo di gloria che gloria vera; mentre che l'altre azioni non corrispondano.

S. 40a, v. 8.
Ogn'anno veramente il giorno della festa di San Bartolomeo i Bolognesi dalle finestre del palazzo del Legato gettano in piazza un porcello cotto con altri diversi animali vivi; ma essi nondimeno dicono di farlo per altro rispetto.

S. 51a, v. 1.
Questo è cognome di famiglia antica di Padova oggidí estinta.

S. 52a, v. 7.
Parlano questi due ciascuno nel linguaggio suo naturale, ma villanesco. Sorgo in padovano significa la saggina.

S. 68a, v. 1.
Barisone da Vigonza fu il fondatore della famiglia Barisoni di Padova.

S. 79a, v. 8.
In Lombardia per Ogni Santi moltissime famiglie sono solite di mangiare un'oca, massimamente gli artigiani e la plebe.

 
 
 

La Secchia Rapita note 7-9

Post n°1359 pubblicato il 13 Marzo 2015 da valerio.sampieri
 

La Secchia Rapita
di Alessandro Tassoni

DICHIARAZIONI DI GASPARE SALVIANI ALLA SECCHIA RAPITA

[dall'edizione del 1630, attribuite ad A. Tassoni]

CANTO SETTIMO

S. 5a, v. 1.
Omero finge ragionamenti tra colpo e colpo, e in particolare fa narrare la stirpe loro agli stessi combattenti nell'atto del menar le mani. Però se Aristotile fosse stato soldato non l'avrebbe lodato né in questo né in molte altre cose, dove parla della milizia bamboleggiando.

S. 9a, v.1
Parla come nemico; e attribuisce a mancamento ai Ferraresi quello ch'era lode loro, cioè il tener col papa. Cosí Enzio nel canto precedente come nemico chiama papisti i guelfi; e il poeta deve imitare chi favella.

S. 16a, v. 1.
Nel poema dell'innamoramento d'Orlando si legge che combattendo quel paladino col re Agricane, e vedendo quel barbaro i suoi che fuggivano, pregò Orlando che glieli lasciasse rimettere in battaglia, che poi ritornerebbe a duellare con esso lui: e Orlando se ne contentò. Ma qui Voluce dice ch'Orlando è morto, e non è piú quel tempo.

S. 21a, v. 8.
Un tal principe greco, che si vantava della stirpe di Costantino Magno, e mostrava privilegi di cartapecora vecchia, veggendo l'ambizione degl'ltaliani, dava loro titoli a decine senza risparmio per ogni minima mercede. E a Ferrara fe' gran profitto, dove infeudò le terre del Turco.

S. 27a, v. 1.
Veramente Bosio Duara signor di Cremona rimase anch'egli prigionièro de' Bolognesi in quella guerra.

S. 29a , v. 2.
Questi versi non diceano cosí nella prima stampa, ma il poeta volse onorare Omero Tortora istorico amico suo e gli mutò.

S. 34a,v. 1.
Nomi perugini accorciati.

S. 34a, v. 8.
Questi professava di parlar peruginissimamente secondo il volgare del popolo, e si poteva imparar da lui il parlar perugino.

S. 39a, v. 1.
Favella della guerra della Garfagnana tra i Lucchesi e i Modanesi, nella quale que' popoli montagnoli per odio si tagliavano le viti e si scorticavano i castagni l'un l'altro con vendetta montanaresca.

S. 42a, v. 1.
Questi era un personaggio mandato dal governator di Milano per veder d'acquetar que' popoli; e salvò la piazza di Castiglione spiegando una bandiera del re Cattolico, alla quale i Modanesi fecero di berretta.

S. 42a, v. 3.
Alcuni dicono che fu un pezzo di tela rossa, e che i Modanesi si lasciarono ingannare dal colore. Nella edizione di Parigi i versi furono mutati da un Lucchese che assisteva alla stampa, e voltati a favore della sua nazione. Ognuno procura suo vantaggio.

S. 48a,v 1.
Parla secondo gli astrologi. L'aspetto quadrato è infelice, e tanto piú ne' pianeti maligni come Marte.

S. 53a, v. 1.
Questo è un consiglio imitato in Petronio Arbitro, dove i consiglieri contendono a chi dice peggio.

S. 53a, v. 6.
A quel tempo Modana era stata tutta piena di masse di stabbio: oggidí le strade ne sono meno adorne, ma non però in tutto prive. Da Omero sarebbe stata detta urbs bene stabalata.

S. 54a, v. 8.
È un verso di lingua pretta modanese.

S 55a, v. 5.
L'antichità di Modana si conosce dalle fabbriche particularmente de' portici su i balestri, che mostrano d'esser stati fatti assai prima che Vitruvio scrivesse d'architettura.

S. 55a, v. 8.
Le canalette sono le cloache, delle quali è piena quella città: e quando le votano, non si può passar per le strade per rispetto della lordura che si diffonde, oltre il puzzo che appesta.

S. 68 a, v. 1.
Chi desidera di saper meglio l'istoria di Telessilla, legga il Leonico, De varia historia.

S. 74a, v. 7.
Séguita l'opinione di coloro che dissero che i pianeti erano come lampade attaccate al cielo.


CANTO OTTAVO

S. 1a, v. 3.
Chiama il poeta le lucciole stelle della terra, e le stelle lucciole del cielo, perché fanno l'istesso effetto di volar per l'aria e di non risplendere se non di notte.

S. 8a, v. 7.
Chiama ciurmatori i filosofi greci, che persuasero al popolo che ogni pianeta avesse un cielo da sé, e che gl'inferiori fossero rapiti dall'ottava sfera da oriente in occidente. Perciò che il poeta fu sceptico, e tenne che le cose de' cieli, quanto a noi, consistessero tutte in opinione e probabilità. E ne portò egli ancora una nuova nel terzo libro de' suoi Pensieri.

S. 11a, v. 7.
Ezzelino da Romano era allora signor di Padova, e dipendente da Federico imperatore. Veggansi l'istorie di quei tempi.

S. 15a, v. 7.
È descrizione dell' aurora fatta a concorrenza di quella di Dante nel IX del Purgatorio:

La concubina di Titone antico
Già s'imbiancava al balzo d'oriente
Fuor de le braccia del suo dolce amico.

Veggasi l'una e l'altra.

S. 19a, v. 7.
Parla di Pietro d'Abano, tenuto per mago; il quale, se allora fosse stato quivi, avrebbe armata qualche compagnia di demoni in favore de' Modanesi.

S. 22a, v. 1.
Dicono che veramente costui fosse uno de' favoriti d'Ezzelino, e alzato da lui a' primi gradi d'onore, d'uomo basso ch'egli era.

S. 25a, v. 2.
La donna di Cipada è Mantova, illustrata dai versi di Vergilio, come Cipada da quei di Merlino poeta sepolto nella terra di Campese con famosa sepoltura fabbricatagli dal padre don Angelo Grillo, poeta famoso anch'egli, e principalissimo soggetto della religione benedettina.

S. 26a, v. 6.
Le galline di Polverara e la razza loro e famosa per tutta Italia.

S. 28a. v. 7.
In quelle parti, quando si vuol significare qualche aiuto fuora di tempo e tardo, si dice il soccorso di Paluello, come in Toscana il soccorso di Pisa.

S. 30a, v. 3.
È opinione che Tito Livio istorico fosse da Teolo.

S. 32a, v. 3.
Quivi dicono che Antenore fondasse la sua prima città chiamata Urbs euganea, che poi è stato corrotto dagl'idioti in Brusegana.

S. 33a, v. 7.
La pelle della gatta del Petrarca s'è conservata fino a' tempi nostri, e continuamente viene illustrata dai versi e dai componimenti de' begli ingegni.

S. 36a, v. 1.
Descrive l'arciprete Gualdi amico suo.

S. 37a, v. 5.
Le rime burlesche in lingua padovana di Menone e Begotto sono assai note in tutto lo stato veneto.

S. 41a, v. 7.
Non erano veramente ancora signori di Rodi i cavalieri di san Giovanni, ma furono poco dopo: e 'l poeta parla secondo quello che fu poi.

S. 47a, v. 1.
Il poeta fu poco amico d'Omero, e disprezzò le sue invenzioni come rozze e di cattivo costume: nondimeno, per mostrare -che conobbe il buono e'l cattivo di quel poeta, introduce questo cieco a cantare all'omerica.

S. 51a, v. 4.
Le compagne mirò ecc. Cosí è stampato in tutte le copie: nondimeno il testo manuscritto di mano del poeta dice Le campagne e non Le compagne; e cosí dev'essere scritto e stampato, non ostante che anche si possa intendere che Le compagne significhi le stelle compagne della Luna. Ma il poeta vuol significare che la Luna mirò in terra, e non in cielo.

S. 57a, v. 1.
Finge il poeta ch'Endimione donasse a Diana una benda bianca che portava armacollo fregiata di perle, per adornare il dono che finsero i poeti antichi esserle stato donato da quel pastore, e per mostrar che le femmine, comunque innamorate, sempre vogliono qualche cosa dall'amante.

S. 65a, v. 7.
Gli anacronismi, quando sono lontanissimi e cadono opportunamente come questo, parturiscono anch'essi il ridiculo.

S. 68a, v. 4.
I poveri d'una famiglia hanno sempre per grazia che i ricchi gli vogliano riconoscere per parenti: perciò che la povertà è un argomento di demerito, e per questo i poveri sono sprezzati.

S. 71a, v. 8.
Vedi Livio, ché '1 poeta sta su 1'istoria.


CANTO NONO

ARGOMENTO.
Questo canto par avere poco del comico, e nondimeno tutto è comico: perciò che tien sospeso l'uditore sino al fine; poi in aspettazione di cosa grave e seria finisce in un ridicolo.

S. 8a, v. 2.
Vedi l'Ariosto.

S. 10a, v. 1.
Questi è Galeotto figliolo del signore della Mirandola, di cui si favellò di sopra nel canto 111.

S. 12a, v. 5
Questo è il lino asbestino, di cui favella Plinio. Gli antichi ne filavano tele incombustibili, che, quando si voleano imbiancare, si gittavano nel foco; ed erano stimate al pari delle gioie piú preziose. Il cavalier Gualdi ne ha mostra in Roma tra le sue curiose anticaglie. È pietra venata con certa lanugine per le vene,simile all'allume di piuma che non si consuma nel foco. Ma la maniera di filar tal materia noi non l'abbiamo, benché forse non mancherebbe l'industria quando se ne trovasse quantità sufficiente e che ci fosse il premio. Tiglio e tiglioso significa materia atta a filarsi.

S. 25a, v. 7.
Questo fu accidente vero, accaduto al signor Ippolito Livizzani nel giostrar contra il conte Alfonso Molza in Modana.

S. 44a, v. 1.
Qui si descrive il ritratto d'un zerbino affettato romanesco, nato di casa nuova, arricchito per strada obliqua, che fa del cavalierazzo e del bravo mentre conosce d'aver a fare con persona inferiore e di poco polso.

S. 58a, vv. 6-8.
Questi versi dicevano prima cosí:

. . onde a veder correa
la fiorentina e perugina gente,
tratta da natural impeto ardente.

Ma i vizii quanto piú si diffondono nel generale, tanto meno offendono i particolari; e però fu mutato.

S. 67a, v. 2.
La pantera è bellissimo animale; ma dicono che sia d'animo molto vile.

S. 72a, v. 5.
Le prodezze di don Chisotto della Mancia cavalier errante impazzito sono note per l'istorie delle sue geste.

S. 76a, v. 1.
Gli Aigoni e i Grisolfi erano in quel tempo capi delle fazioni. I Grisolfi erano imperiali, e avevano cacciati gli Aigoni eh'erano ecclesiastici e guelfi: oggidí si chiamano gl'Ingoni, e ce ne sono pochi; ma i Grisolfi sono annullati.

S. 76a, v. 3.
È fama che nel monte di Vallestra sia un tesoro guardato dai diavoli; però il poeta si serve dell' opinione del vulgo a formare questo episodio.

S. 80a, v. 5.
Per questo fu finto che quando Tognone cambiò lancia non cadesse, perché aveva la lancia incantata, e Melindo non l'avea.

S. 81a, v. 5.
Il maggior segno di codardia è insuperbire e fare il bravo con le genti che non possono competere. Vedi appresso il Boccaccio le prove che faceva maestro Simone quand' era scolare.

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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