Tagli ai beni culturali
Carlo Avvisati «La soprintendenza di Napoli e Pompei è finaziariamente autonoma, punto». Poche e lapidarie battute, quelle utilizzate Pietro Giovanni Guzzo, responsabile della Soprintendenza speciale di Napoli e Pompei, per sottolineare come per l’ufficio da lui coordinato non dovrebbero avere alcun effetto i tagli sui Beni Culturali italiani, programmati nel triennio 2009-2011 e per un importo pari a un miliardo e quattrocentodue milioni di euro, circa. Dunque, stando così le cose, le aree archeologiche campane che vanno dai Campi Flegrei sino a Sorrento, compresi i siti turistici di Pompei, Ercolano, Stabiae e Oplontis, oltre naturalmente a musei come l’Archeologico di Napoli e l’Antiquarium di Boscoreale, non risulterebbero penalizzate dalle minori disponibilità. Non sarebbe così, invece, per gli altri beni (architettonici, artistici, storici, archivistici, demoetnoantropologici e biblioteche) presenti sullo stesso territorio. Senza contare gli altri uffici dei Beni culturali campani che invece sarebbero molto colpiti dalla scarsità di fondi disponibili. «Tra poco - sottolinea Maria Luisa Nava, responsabile archeologica di Salerno e Avellino - non avremo nemmeno i soldi per pagare la luce. E il riverbero che si avrà sui siti di Paestum e Velia, ad esempio, sarà drammatico: già quest’anno avevamo in programma solo il diserbo dell’area di Paestum e non anche quello di Velia». Il problema sta tutto nella mancanza o nell’assoluta scarsità (vedi ad esempio il museo di Pontecagnano o l’Antiquarium di Boscoreale) di ricavi o introiti per tutte quelle soprintendenze obbligate viceversa a fare affidamento sugli stanziamenti ministeriali. Le somme erogate a livello centrale non solo servono a salvaguardare i Beni decentrati custoditi ma vengono utilizzate anche nella promozione della loro stessa immagine; senza contare poi le spese vitali per il funzionamento degli uffici. «Il problema non è solo di Capodimonte, di San Martino, del Pignatelli-Cortes o di Caserta - spiega Nicola Spinosa, responsabile del Polo Museale di Napoli - i tagli colpiscono l’intero sistema museale italiano. Questo comporta che dovremo ridurre gli orari di apertura e adeguarci agli standard europei aprendo alle dieci e chiudendo alle diciassette». Insomma si tratterebbe di usare buonsenso, visto che nessun visitatore entra alle 8 in un museo e che dopo le 15 (fatte salve le aree archeologiche) sono ben pochi quelli che a Napoli o a Caserta ancora si muovono tra tele del Seicento, arazzi di San Leucio e commode francesi. «In questo modo - continua il soprintendente - si ridurrebbe il consumo di acqua e luce e si risparmierebbe anche sull’utilizzo delle risorse umane, insufficienti per coprire orari così ampi. In sostanza, dovremo ottimizzare azioni e interventi. Il problema, tuttavia, non sta solo nei tagli ma anche nella mancanza di investimenti dei privati causa la situazione generale di crisi». il mattino