Post n°2234 pubblicato il
13 Giugno 2017 da
namy0000
Raffaele era arrivato al Samaritano di Verona dopo più di dieci anni sulla strada, con la salute minata da una malattia che peggiorava di giorno in giorno. Era riuscito, grazie all’aiuto di volontari e operatori, a liberarsi dalla dipendenza dall’alcol, a recuperare il rapporto con alcuni membri della sua famiglia e a raggiungere una certa serenità. A questo punto, si era pensato per lui un luogo meno strutturato del dormitorio, che gli consentisse ritmi di vita adeguati alla sua situazione. la casa famiglia di S. Maria in Stelle, che allora stava nascendo, era il luogo giusto. Da tempo si lavorava in rete con il parroco, che a sua volta preparava il terreno della comunità, già “fertile” e sensibile all’accoglienza. Era il momento di partire. È stato facile coinvolgere Raffaele, perché lui per primo cercava di entrare in relazione. Sapeva comunicare, senza mai nascondere il suo passato e la sua situazione, fin dall’inizio. Raffaele ci ha dato moltissimo. È stato un cammino lungo. L’équipe del Samaritano ed i volontari hanno seguito passo passo questo cammino. E hanno visto Raffaele mettere sempre più radici fra quelle colline. Tant’è che dopo l’uscita dalla casa famiglia, negli ultimi due anni della sua vita, è rimasto a vivere a S. Maria, in una casa messa a disposizione dal parroco. Ne era orgogliosissimo. Lì è davvero rifiorito. Teneva tantissimo alla sua casa, che era sempre pulita e in perfetto ordine. Che entusiasmo e che impegno ci ha messo per sistemarla, meticolosamente, com’era il suo stile. Il parroco gli aveva affidato il compito di tenere in ordine i locali della parrocchia, e lui lo faceva con una scrupolosità incredibile. Si comportava sempre con grandissimo rispetto ed era sempre disponibile ad aiutare. ‹‹Vada, qui ci penso io››, diceva. Ed era vero. L’ultimo periodo della sua vita è stato sempre più difficile per il progredire della sua malattia. ‹‹Io sono rinato. Raffaele di prima non esiste più, io sono un’altra persona ora. Prima non c’ero, ora ci sono››, diceva, lucido nel descrivere la propria situazione, ma senza mai indulgere al rimpianto o all’autocommiserazione. Lui per primo donava fiducia a tutti. A volte la somma dei nostri sforzi non è uguale al risultato ottenuto: il risultato va ben oltre. Come chiedere dall’ospedale – telefonando in corridoio, perché gli interessati non sentissero – un po’ di biancheria di ricambio. Non per lui, ma per i suoi vicini di stanza, che facevano ‹‹la vita che io facevo prima››, e non avevano nulla... Raccomandava a Fiorenza, l’amica che l’ha accompagnato fino all’ultimo, ‹‹don Paolo ha tanto da fare, bisogna aiutarlo, non lasciatelo solo››, quando sapeva che lui non avrebbe potuto farlo. L’ultimo giorno della sua vita, il 24 dicembre 2013, non era stato facile convincerlo ad andare in ospedale. Il parroco voleva andare con lui, ma lui: ‹‹No, perché lei ha da fare, è la vigilia di Natale››, ha detto. “Soltanto più tardi – racconta Fiorenza – quando ormai era alla fine, e ormai non parlava quasi più, mi ha chiesto: ‹‹Dov’è don Paolo?››. E don Paolo è arrivato. Raffaele è stato sepolto accanto alla chiesa dove ha voluto il suo funerale. (Scarp de’ tenis, nov. 2014).
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