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L'ignoranza delle diverse storie e culture

Post n°3164 pubblicato il 30 Ottobre 2019 da namy0000
 

Rebecca C. e Fedra T., oggi 23 e 22 anni, l’una rom e l’altra gaje (così si indica, in lingua romanì, chi non è rom) trasformano quella che poteva essere una storia di “ordinario razzismo” in una straordinaria lezione di umanità.

Quando si incontrano, Rebecca vive in un campo irregolare alla periferia milanese del Giambellino. ‹‹Non avevamo luce n’è acqua corrente, arrivavo in ritardo perché nella cultura rom non esistono gli orologi e il tempo non è scandito dal calendario››, dice Rebecca, origini kalderash (rom tradizionalmente fabbricanti di pentole) da lato paterno, lautari (musicisti) da quello materno. ‹‹I primi anni di scuola sono stati terribili. Anche alle medie, nessuno mi parlava e non avevo amici››.

Fedra, che proprio alle scuole medie aveva provato sulla pelle cosa significhi essere guardati storti perché vestiti in maniera diversa, è la prima a tenderle la mano. ‹‹Rebecca usava gonne colorate e in testa portava una fascia. Mi incuriosiva, così ho cominciato a chiederle di lei››, ricorda Fedra. Pian piano scopre che Rebecca è nata in Romania e a sei anni ha iniziato un faticoso pellegrinaggio da un paese all’altro, con i genitori, tre fratelli e due sorelle, sempre alla ricerca di lavoro e di un posto in cui stare senza essere discriminati. La vita l’ha abituata a dormire all’aperto e in macchina. Ha subito un’aggressione e ha assistito al pestaggio del padre, da parte della polizia, colpevole di non voler abbandonare l’alloggio tirato su alla meno peggio accanto alla ferrovia. Ancora, arriva tardi a scuola perché la mattina va sui Navigli a vendere i suoi disegni (tra i suoi estimatori, anche la poetessa Alda Merini) e non parla perfettamente l’italiano perché, mentre i coetanei andavano a scuola, lei e il fratello giravano per i bar suonando la fisarmonica. ‹‹I nostri compagni la deridevano perché diceva che al campo c’erano “li topi”››, dice ancora Fedra. ‹‹Nonostante tutto, a me andare a scuola piaceva››, aggiunge Rebecca. ‹‹Io stessa avevo chiesto ai miei genitori di mandarmi, mi affascinava l’idea che dietro alla cattedra ci fosse qualcuno pronto a raccontare tante storie, e poi la classe era calda: per me era molto meglio che andare in giro a racimolare denaro››. C’era poi un altro motivo che la spingeva a imparare a leggere, ed erano le Scritture: ‹‹La mia famiglia è evangelica e io volevo capire cosa cera scritto nella Bibbia››.

Con il tempo, una passione innata per i colori e la musica unita a grande determinazione fanno sì che il cammino di Rebecca sa costellato di tappe incredibili. A 12 anni vince il premio Arte e Intercultura dell’Unicef: ‹‹Avevo dipinto il sole, la luna, il cielo nero con le stelle e i topi. Quando mi premiarono con una scatola di matite e tempere ero felicissima, come quando hai lo stomaco pieno››. A 16 anni, grazie al preside del Liceo che la sostiene nello studio e aiuta anche la sua famiglia a trovare casa, pubblica il libro L’arcobaleno di Rebecca (UR Editore), cui seguirà Briciole d’infinito (Salviati & Sagredo Editore, 2016), di cui firma le illustrazioni.

Fedra, intanto, fa da ponte con il resto della classe e invita tutti a conoscere personalmente quella compagna “strana” che al cambio dell’ora si esercita con il violino. Sono mesi di confronti e discussioni a muso duro, però ha il coraggio di far sentire la sua voce fuori dal coro. ‹‹Non potevo sopportare che la prendessero in giro. Cosa mi piaceva di Rebecca? La sua voglia di imparare, innanzitutto››, sorride. ‹‹A un certo punto la ragazza che più fomentava gli altri ha cominciato ad avvicinarsi a Rebecca con la curiosità di saperne di più anche sui rom››.

La svolta è innescata. Un giorno, come si fa tra amiche, Fedra chiede a Rebecca cosa desideri per Natale: ‹‹Sedermi davanti a una tavola piena di cibo con la mia famiglia››. ‹‹Fu un colpo al cuore, per me era scontato che Natale fosse così››, ammette Fedra. ‹‹Lanciai l’idea di una colletta e, tra compagni e professori, raccogliemmo 350 euro››. ‹‹L’affetto dei compagni mi faceva venire voglia di andare a scuola››, confida ancora Rebecca. Sempre al liceo, l’incontro con il violinista Uri Chameides è determinante: ‹‹Mi vide per strada e mi invitò all’Accademia musicale di Brera, dove ho studiato cinque anni››.

Le sofferenze lasciano il passo al talento e alla voglia di vivere. Uno sguardo positivo e l’aiuto di tanti amici portano Rebecca a essere nel 2016 la prima maturanda rom a Milano. Da allora sono passati tre anni, con Fedra si frequentano ancora, forti di un’amicizia per nulla scontata, e le loro vite sono molto cambiate. A osservarle mentre chiacchierano, sono l’immagine di quanto bella possa essere la vita quando si ha il coraggio di guardarsi dentro, seguire le proprie aspirazioni e lasciare il cuore aperto all’incontro. Rebecca oggi studia canto lirico e violino al Conservatorio di Pavia. Ha fatto molta strada: a gennaio si esibirà da solista al Teatro alla Scala di Milano con il coro di bambini rom Song Onlus. Adesso, per mantenersi, insegna violino proprio ai più piccoli. ‹‹Vorrei fondare un’orchestra di musica classica che unisca rom e italiani››, racconta mentre maneggia con cura lo strumento. Fedra si sta laureando all’Accademia di Brera e lavora in una casa di produzione di videoclip. Ha un sogno nel cassetto: un documentario per far conoscere il mondo rom. Una mora, l’altra bionda, appena possono girano le scuole raccontando come la conoscenza reciproca possa far cadere i pregiudizi. ‹‹Perché in fondo››, dicono, ‹‹il problema è solo l’ignoranza delle diverse storie e culture››. (FC n.43 del 27 ottobre 2019)

 
 
 
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