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Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Luglio 2018

Alla sorgente

Post n°2733 pubblicato il 28 Luglio 2018 da namy0000
 

“Alla sorgente di una chiamata c’è una ‹‹voce›› che risuona nella coscienza di una persona. Essa può echeggiare nella notte, quando brilla solo una piccola lampada, come accade al giovane Samuele che sta dormendo nel santuario di Silo, retto dal sacerdote Eli. La storia di questo ragazzo era iniziata anni prima, attorno al 1050 a.C., ed è narrata nelle pagine iniziali del Primo Libro di Samuele: la sua venuta al mondo da una madre sterile era stata un puro e semplice dono divino, frutto della preghiera insistente e appassionata di questa donna di nome Anna.

Noi, però, ci fermeremo ora solo su quella notte squarciata da una voce misteriosa che interpella improvvisamente questo ragazzo assonnato (1Samuele 3). Egli non riesce a identificare la matrice di quella voce, anche perché – annota l’autore sacro - ‹‹in quei giorni la parola del Signore era rara››, e Dio si rivelava distante da un popolo non certo sensibile alla fede e alle sue esigenze, come attestava il comportamento corrotto dei figli del sacerdote Eli. Samuele, perciò, pensa spontaneamente che quel grido notturno venga dal vecchio sacerdote, suo maestro.

La voce che chiama risuona per tre volte, scuotendo questo giovane che ignorava la possibilità stessa che l’appello venisse da un orizzonte diverso da quello in cui si snodavano i suoi giorni di “seminarista”, per usare un nostro termine. Alla terza chiamata, però, il saggio Eli comprende la vera natura della voce che risveglia Samuele e rivela la sua anima di educatore che non si sostituisce all’eletto ma lo guida all’incontro: ‹‹Se ti chiamerà ancora, dirai: Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta!››.

Da quel momento Samuele stesso, interpellato per la quarta volta, diventa parola di Dio, è costituito suo profeta, e la missione si manifesta subito in un oracolo di giudizio. I ruoli si invertono: finora il giovane era stato discepolo di Eli, tant’è vero che correva subito da lui di fronte all’esperienza inedita vissuta in quella notte; ora, invece, sarà il suo maestro ad ascoltare il messaggio divino perché d’ora innanzi sarà solo il Signore la guida e il protettore di Samuele.

L’ordito del racconto di questa vocazione è graduale, è una scoperta progressiva che comporta diverse tappe incomprese del chiamato. Non è un taglio unico, netto e assoluto come la via di Damasco dell’apostolo Paolo. È piuttosto una lezione che conduce, anche attraverso lentezze e fallimenti, dall’incomprensione all’intelligenza della meta a cui la chiamata conduce. Ci può essere persino una fase di disillusione: è curioso notare che nella seconda replica dell’appello divino e della reazione di Samuele l’autore sacro non usi più il verbo “correre” come nelle altre tappe, ma il più normale “andare”, quasi che il giovane si trascinasse senza convinzione alla ricerca dell’identità di quella voce notturna.

È, questa, una storia di vocazione che registra, come sempre, l’intreccio tra la chiamata efficace divina e la risposta legata alla libertà e alla comprensione umana. E l’avventura in cui il giovane è coinvolto sarà enorme e grandiosa. Samuele, infatti, dovrà deporre re, spingere il popolo a battaglie, scontrarsi con il potere ed essere coscienza dell’intera nazione. Un sapiente biblico, il Siracide, quasi nove secoli dopo, gli dedicherà un ritratto glorioso (46,13-20), con questo cammeo significativo: ‹‹Prima dell’ora del suo sonno eterno Samuele attestò davanti al Signore e al suo Messia: “Né denari né sandali ho preso da nessuno”›› (46,19). (Gianfranco Ravasi, FC n. 29 del 22 luglio 2018).

 
 
 

Raccolgo confidenze

Post n°2732 pubblicato il 27 Luglio 2018 da namy0000
 

“Spesso raccolgo confidenze di persone che si svendono nel corpo per una carezza e per sentire sulla pelle l’ebbrezza di un amore che non è tale, e che poi lascia una cicatrice profonda nel cuore. Persone che si trovano a essere dipendenti perdendo del sesso la profonda bellezza e la pienezza di un dono datoci da Dio per amare ed essere amati, aperti al dono della vita. Persone incatenate dalla compulsione che vivono in mondi virtuali in un soliloquio sterile. Persone incapaci di relazioni autentiche. Il denominatore comune è la solitudine. Il movente è sempre la ricerca della felicità, purtroppo in strade che invece portano al vuoto e alla morte interiore. Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo perché l’uomo è stato creato da Dio e per Dio. Solo in Dio l’uomo troverà la sua vera realizzazione umana e affettiva. Ogni persona è chiamata alla comunione con Dio. Che lo sappia o no, è chiamata alla santità. Che ci creda o no, è chiamata alla pienezza della gioia che solo in Dio potrà trovare. Lo sapeva bene sant’Agostino, che ha cercato ovunque questa comunione, facendo esperienza del peccato. Un persona capace di scrivere: ‹‹Tardi ti ho amato, bellezza così antica e così nuova. Tu eri dentro di me, e io fuori. E là ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Tu eri con me, ma io non ero con te. Mi hai toccato, e ora ardo dal desiderio della tua pace››. (Confessioni 10.27.38). (don Davide Banzato, FC n.29 del 22 luglio 2018).

 
 
 

Nel libro dei Proverbi

“Nel libro dei Proverbi (24,29-35). Ne citiamo qualche battuta: ‹‹Non guardare il vino come rosseggia, come scintilla nella coppa e come scorre giù morbidamente: finirà per morderti come un serpente e pungerti come una vipera. I tuoi occhi vedranno cose strane e la tua mente dirà cose sconnesse...››”.

“Oltrepassata la soglia di 2 birre o 2 bicchieri di vino o un superalcolico, la scienza conferma che si riduce il tempo di reazione e la capacità di compiere più azioni contemporaneamente, la sicurezza della guida inizia a diventare più apparenza che sostanza”.

2017, (ANSA) - NEW YORK, 3 MAG - "Sono sei mesi che non tocco alcol". Per la prima volta dopo la brusca separazione da Angelina Jolie, Brad Pitt, in un'esclusiva intervista a GQ Style, apre sulla sua vita privata compreso quella che e' stata una vera e propria dipendenza dall'alcol. "Non riesco a ricordare un giorno - dice - da quando sono uscito dal college senza alcolici, senza una canna o altro". "Ti rendi conto - dice rivolgendosi al giornalista - che um... le sigarette sono come un succhiotto (per bambini, ndr) e io scappavo dai sentimenti. Ma ora sono felice di esserne uscito.
    Ho dato un taglio a tutto tranne all'alcol quando ho messo su famiglia, ma poi l'anno scorso, sai... (riferendosi alla separazione, ndr), bevevo troppo, era diventato un problema".
    L'attore ha spiegato che ora ha sostituto l'alcol con succo di mirtilli rossi e acqua frizzante.

Anche in moderate quantità l’alcol danneggia il cervello. Per dimostrarlo, i ricercatori dello University college di Londra hanno monitorato per 30 anni il consumo di alcol e le abilità cognitive di 550 persone a partire dall’età di 43 anni. I soggetti sono stati sottoposti a test cognitivi periodici e a una risonanza magnetica cerebrale al termine dello studio. Rispetto agli astemi, i consumatori moderati di alcol (circa 1 bicchiere di vino o 1 lattina di birra al giorno) hanno mostrato un declino della fluidità del linguaggio più avanzato e un rischio tre volte maggiore di atrofia dell’ippocampo, una regione legata alla memoria. Inoltre, scrive The Bmj, non è stata trovata nessuna prova che piccole quantità di alcol abbiano un effetto protettivo sul cervello, come ipotizzato da altri studi. Alla luce dei risultati, commentano gli autori, è difficile giustificare anche un consumo moderato di alcol. Recentemente, il Regno Unito ha abbassato i limiti del consumo di alcol considerati sicuri” (Internazionale n. 1209 del 16 giugno 2017).


 
 
 

Il futuro. Ma che sia democrazia

Il Parlamento, la Rete, il futuro. Ma che sia democrazia

Mauro Magatti, Avvenire, martedì 24 luglio 2018

Davide Casaleggio ha lanciato il sasso: in futuro, il Parlamento potrebbe non servire più. Al suo posto, dice il primo "controllore" della piattaforma digitale che seleziona personale e scelte politiche del M5S, dobbiamo avere persone competenti capaci di prendere decisioni in modo rapido e diffuso. Secondo un modello che la Rete può aiutare a sviluppare.

Espressa nei limiti di una intervista giornalistica, l’affermazione si espone al rischio di semplificazioni e strumentalizzazioni. E soprattutto oggi, in un momento in cui la democrazia è in evidente affanno in tutto il mondo, più che un sogno può suonare come l’annuncio di un incubo. Per questo, una dichiarazione come quella di Casaleggio non deve essere lasciata cadere nel vuoto. Per continuare a riflettere, con la serietà del caso e senza scandalizzarsi, sul futuro sollecitato dai cambiamenti in corso. Tenendo conto che, trattandosi di una delle conquiste fondamentali della storia delle democrazie occidentali, toccare – anche solo attraverso semplici parole – l’istituzione parlamentare richiede la massima cautela.

Fu nel momento in cui si mise in discussione lo Stato assoluto che il Parlamento nacque come organo dove i diversi interessi potevano ritrovarsi e "parlare", per arrivare a prendere le decisioni necessarie al governo di società che erano ancora relativamente semplici. Il suffragio universale ha costituito lo strumento attraverso cui si sono tenute insieme l’inclusione della popolazione nei sistemi politici e la necessità di un processo di decisione ordinato e razionale. È la quadratura del cerchio realizzata dalla democrazia rappresentativa.

Negli ultimi decenni l’aumento della complessità sociale ha posto alcuni problemi che nel tempo sono andati aggravandosi. Ne possiamo considerare almeno due.

Il primo ha a che fare con la capacità dei sistemi democratici di arrivare a determinazioni tempestive ed efficaci. È sempre più evidente che, in una società avanzata, non tutto può essere ricondotto al Parlamento e al Governo. C’è bisogno di una articolazione più ricca, di luoghi di decisione capaci e responsabili che non stanno tutti in Parlamento. Per risolvere il problema, la strada battuta è stata quella delle autorità indipendenti e delle società partecipate nella logica di una estensione delle forme di governance. Soluzione solo in parte soddisfacente, perché la capacità di mantenere il focus sul bene pubblico non è sempre garantita. Al fondo c’è il grande tema di come sia possibile gestire concretamente l’interesse pubblico in una società multiforme e dinamica. Una questione che rimane aperta.

Il secondo problema riguarda le forme della partecipazione. A oggi l’anello di congiunzione tra il cittadino e il Parlamento è il voto. Uno snodo che rimane fondamentale e imprescindibile. Ma anche insufficiente. Lo strumento del referendum, che la Rete potrebbe potenziare, è interessante e non va demonizzato. Ma è chiaro che ci sono problemi seri sulla capacità di arrivare ad avere opinioni sensate su problemi complessi. Col rischio di spostare la mediazione dai rappresentanti in Parlamento a qualche influencer in grado di orientare l’opinione pubblica. Rischio che in un’epoca di fake news, mezze verità e manipolazioni, non va sottovalutato.

Più interessante (e impegnativo) è interrogarsi sul modo in cui la Rete possa aiutarci a costruire nuove forme di governance partecipate nella produzione e gestione di "beni comuni" come via per contrastare quella apatia che è una delle malattie letali di ogni democrazia.

È rispetto a questi due nodi che la riflessione di Casaleggio sul futuro del Parlamento va collocata. Le imprese hanno già capito che il digitale costituisce l’infrastruttura tecnologica del futuro. In grado non solo di aiutarci a fare le cose, ma anche a stabilire relazioni e persino a pensare.

Per questa ragione è doveroso interrogarsi sulle implicazioni che il nuovo ambiente tecnologico avrà sulla vita politica. Potenzialmente almeno, la Rete può permettere di coniugare in modo nuovo la necessità di forme di decisione diffusa e la domanda di nuova partecipazione. Aiutando così le democrazie a fare un passo in avanti. Ma nel dire questo, è necessario non dimenticare alcuni caveat. Come i primi passi compiuti in questi anni in tema di democrazia digitale ci suggeriscono. In primo luogo,la Rete non è di per sé garanzia di partecipazione, trasparenza, competenza. Al contrario, può benissimo essere il luogo della massima concertazione del potere di decisione o l’amplificatore della irrazionalità sociale. Se la Rete sarà buona o cattiva dipenderà dalle architetture istituzionali in cui sarà incastonata. Ogni discorso semplificato ed essenzialista sulla Rete rischia di trasformarsi in una minaccia per la democrazia. In secondo luogo, una maggiore partecipazione e una governance diffusa hanno bisogno di un colossale investimento nella formazione. Predicare la rete senza insistere parallelamente sul fabbisogno di conoscenza di una società digitale rischia di essere del tutto fuorviante.

Infine, quando si toccano i fondamentali della vita insieme, occorre procedere con i piedi di piombo. Su questo vale la massima: prima costruire, poi smobilitare. Può essere che un giorno, nel corso del XXI secolo, avremo democrazie vere anche se basate su qualcosa di diverso dal Parlamento. Ma a un tale risultato occorrerà arrivare facendo un passo per volta. Come quando si va in parete, ogni chiodo deve essere ben piantato prima di lasciare l’appoggio su cui ci si sta appoggiando.

 
 
 

Caro Santo Padre

Post n°2729 pubblicato il 24 Luglio 2018 da namy0000
 

“Caro Santo Padre, chi ti scrive è una mamma. Una mamma che ha aperto il ventre per accogliere una vita, e il cuore per accoglierne un’altra dall’Africa. Ti scrivo perché il sette luglio sarai a Bari, nella mia città, e andrai a pregare sulle reliquie di Nicola, un santo nero arrivato da lontano su una barca che non naufragò, amato e venerato a Bari e nel mondo. Che se non fosse stato santo e fosse sbarcato di questi tempi sulle nostre coste sarebbe stato un migrante. E non sarebbe stato né riconosciuto, né accolto, né amato. Ma si amano i santi, e talvolta si odiano i vivi.

In questi giorni di deriva razzista, di intolleranza, di emarginazione, giorni pesanti di morti annegati, pesanti di odio, siamo in tanti a batterci affinché non si dimentichi che siamo tutti fratelli nell’umanità. Come arma abbiamo solo la nostra parola e le nostre opere, ma non bastano contro questa barbarie di sentimenti. E ci stupiamo sempre più spesso nel constatare quanto certe forme di intolleranza e di rigetto arrivino proprio da gente che si professa cattolica.

Santo Padre, in questo momento solo la tua voce può alzarsi, forte e potente, e contrastare il clima di indifferenza e di odio in cui ci troviamo a vivere, e che ci porta a temere la disumanità del nostro vicino, non lo straniero dei gommoni. Sabato ricorda, se puoi, a coloro che pregheranno con te e ti ascolteranno, che non si può far parte dell’umanità se non ci si riconosce fratelli nella stessa umanità. Ricorda, se puoi, che non ci sono compromessi nella fede e nell’amore. E che Dio guardandoci e amandoci non vede il colore, la lingua, la religione, ma vede solo i suoi figli, e ci insegna a fare così, a guardarci l’un l’altro come fratelli. Ricorda, se puoi, che ai fratelli che soffrono o sono in pericolo, si tende la mano, non la si nega, non la si allontana. Ricorda, se puoi, che in questi barconi c’è il figlio dell’uomo, e che continua a morire, non in croce ma annegato, perché non lo abbiamo riconosciuto, aiutato, accolto…

Guardo la pelle di mia figlia: è scura, eppure se la tocco è uguale alla mia, Santo Padre… E io voglio consegnare a mia figlia, a mio figlio, alle generazioni che stanno crescendo un mondo in cui la pace e la fratellanza dei popoli non restino parole ingombranti ma un diritto riconosciuto e rispettato. Grazie Santo Padre – P.A.” (Lettera firmata pubblicata su FC n. 29 del 22 luglio 2018).

 
 
 

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