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Un mondo nuovo

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Messaggi del 06/01/2018

Paesaggio di parole

Post n°2485 pubblicato il 06 Gennaio 2018 da namy0000
 

“E tutto ciò di cui ha bisogno è una biblioteca: un paesaggio di parole che si riversano incessantemente da ogni lato. Spesso, però, nella mia vita questi paesaggi vengono danneggiati. Le terre non sonfiscate, le forniture d’acqua tagliate, le piante spruzzate con erbicidi, i raccolti distrutti, le librerie saccheggiate, i libri rubati e le parole spinte sulla via dell’estinzione. Non è cominciato tutto qui, anche se è da qui che comincerò io. (…)

Khalil al-Sakakini, un grande pensatore, professore e poeta palestinese nato a Gerusalemme, visse e lavorò principalmente in questa città durante la prima metà del Novecento…

I seguito alla Nakba palestinese e alla creazione dello stato di Israele, nel 1948, al-Sakanini dovette scappare da Gerusalemme per rifugiarsi al Cairo, dove saebbe morto anni dopo. Lui e la sua piccola famiglia furono tra gli ultimi a lasciare il quartiere di Qatamon… La sua casa fu saccheggiata. Tutti i suoi beni, gli autori dell’operazione presero di mira una categoria precisa: i libri. L’intera biblioteca di al-Sakanini fu svaligiata in modo sistematico dagli impiegati di quella che all’epoca si chiamava biblioteca nazionale ebraica (diventata poi biblioteca nazionale d’Israele), che seguivano le milizie armate impegnate a devastare i quartieri di Gerusalemme ovest.  Dopo il 1948 la biblioteca nazionale ebraica mise le mani su circa 30.000 libri provenienti da biblioteche private palestinesi, compresa quella di al-Sakanini…  Al-Sakanini si congedò dalla sua biblioteca in un testo scritto nell’estate del 1948, dopo il suo arrivo al Cairo:

“Addio miei preziosi e pregiati libri, scelti con tanta cura! Dico “miei” perché non vi ho ereditati dai miei genitori o dai miei nonni… Né vi ho presi in prestito da altri: siete stati raccolti da questo vecchio che vi sta davanti… Chi potrebbe credere che i medici venivano a chiedermi in prestito dei libri di medicina perché potevano trovarli solo nella mia biblioteca? Nessun funzionario di governo affrontava un problema linguistico senza consultarmi, perché tutti sapevano che la mia biblioteca era il luogo dove più probabilmente era racchiusa la soluzione a quel problema, o pensavano che come minimo io gli avrei indicato dove quella soluzione poteva essere trovata. (Ora) non so che fine abbiate fatto dopo la nostra partenza: siete stati saccheggiati o bruciati? Oppure vi hanno trasferito con tutti gli onori in una biblioteca pubblica o privata? O vi hanno trasferito tra i negozi di alimentari, che hanno usato le vostre pagine per avvolgere le cipolle? Addio, libri miei! Siete troppo preziosi perché io possa stare senza di voi. Addio, libri miei! Vi ho tenuto compagnia giorno e notte, e pochi sono i visitatori che, di notte come di giorno, non mi hanno trovato chino sui miei libri”.

 

Gli unici volumi che al-Sakanini poté conservare furono i suoi taccuini.

“Quando sono andato a letto la sera di martedì 27 novembre 1917, era tardi e faceva molto freddo. I cannoni vicino a Gerusalemme rimbombavano come tuoni. Poi ho sentito qualcuno bussare debolmente alla porta, e quando ho aperto, mi sono trovato davanti un ebreo americano dall’aria terrorizzata e in cerca di aiuto.

Il governo aveva annunciato che tutti gli americani di età compresa tra i sedici e i cinquant’anni dovevano presentarsi alle autorità nel giro di ventiquattr’ore, e che chiunque non l’avesse fatto sarebbe stato considerato una spia. Anche chiunque avesse nascosto un americano, consapevolmente o no, sarebbe stato considerato una spia. Il nostro amico Alter Levine non si era presentato alle autorità ma era scappato, e forse aveva bussato a molte porte prima di arrivare alla mia, perché nessun altro gli aveva aperto.

Mi sono così trovato di fronte a un dilemma: dovevo lasciarlo entrare, disobbedendo agli ordini del mio governo ed esponendomi alla sua collera e alla sua vendetta, in un periodo in cui, tra l’altro, quel governo sembrava aver perso la ragione? O dovevo respingerlo, contravvenendo allo spirito della letteratura e della lingua arabe, che amavo appassionatamente da quando ero bambino, al punto da fare della loro rinascita e del loro rafforzamento lo scopo della mia vita? È una letteratura che ci esorta continuamente ad accogliere e sostenere chi è in cerca di un rifugio, a consolare chi ha paura e a rispondere alle grida di aiuto. Lasciandolo entrare avrei tradito il mio paese, mandandolo via avrei tradito la mia lingua. Quale tradimento devo commettere?

Questi pensieri mi hanno attraversato la mente come un lampo, e senza esitare ho deciso di farlo entrare.

Quell’uomo si era rivolto a me in cerca di protezione e non potevo fare altro che accoglierlo. Mi sono detto che non aveva fatto appello solo a e cercando un rifugio. Aveva fatto appello alla letteratura espressa nella mia lingua prima o dopo l’avvento dell’islam. Aveva fatto appello al beduino che aveva dato riparo a una iena entrata nella sua tenda per sfuggire ai suoi inseguitori… Aveva fatto appello ai tanti personaggi storici che avevano offerto un riparo a chi cercava un rifugio, che avevano soccorso chi aveva bisogno di aiuto, anche se così facendo si erano messi in pericolo. Posso solo dire che quell’uomo mi ha fatto un grandissimo onore cercando un rifugio da me, perché così facendo mi ha considerato degno di rappresentare lo spirito della nostra storia e della nostra letteratura.

Il mio popolo, spero, sarebbe felice di sapere che, attraverso me, uno strano uomo ha cercato un riparo presso di lui. Non ha cercato un riparo presso Khalil al-Sakanini, come potrebbe sembrare, ma presso la nazione araba rappresentata da uno dei suoi esponenti. Non sono tipo da rinunciare a questa onorevole posizione o da mandare all’aria l’onore del mio popolo e della nostra letteratura, anche se questo volesse dire espormi al rischio di essere impiccato o fucilato da un plotone d’esecuzione.

Al-Sakanini morì in esilio al Cairo, lontano dai suoi libri, il 13 agosto 1953. (Adania Shibli, scrittrice palestinese nata nel 1974. Vive tra Londra e Ramallah, Le parole coltivate, Internazionale n. 1237 del 19 dic. 2017).

 
 
 

I poveri a pranzo gratis

Post n°2484 pubblicato il 06 Gennaio 2018 da namy0000
 

I poveri a pranzo gratis. Offrono i detenuti

A volte succedono strani paradossi. Per esempio che un luogo di disperazione diventi scuola di speranza. O che chi possiede poco più di niente senta il bisogno di condividerlo con chi ha meno di lui. Sono le curiose, impopolari regole della matematica del Vangelo: il bene si moltiplica solo donandolo, dividendolo con gli altri. 

 

La conferma arriva da una lettera inviata al Papa. Mittenti: gli “ospiti” dell'Italia solidale. Si tratta di una struttura che da oltre mezzo secolo accoglie detenuti agli arresti domiciliari, in permesso premio o che, giunti a fine pena, si ritrovano senza riferimenti familiari e in difficoltà economica. No, nella missiva nessun appello, nessuna richiesta di aiuto, semmai una proposta, un'offerta di sostegno e condivisione. I “carcerati” chiedono infatti a Francesco di indicare alcune famiglie in difficoltà con cui festeggiare l'Epifania presso la struttura romana di Via Ardeatina 930. L'idea – scrive nella lettera Mario G. uno degli ospiti di Italia solidale – è quella di invitare queste famiglie a pranzo «con un menù semplice ma cucinato da noi con il nostro cuore. Ebbene sì anche i carcerati hanno un cuore e lei, santità, lo ha capito sin dal primo momento che ha deciso di andare a trovare i detenuti qui a Roma e in tanti viaggi». Inutile dire che il menù di domani sarà preparato con i prodotti coltivati presso la struttura. Oltre alla riconoscenza verso il Papa – aggiunge Gattuso – «con questo pranzo vogliamo offrire un segno di speranza a quanti come noi sono detenuti, con la convinzione che si possa cambiare guardando al futuro con fiducia». Perché nessuno è così povero da non avere qualcosa da donare agli altri (Riccardo Maccioni, Avvenire, venerdì 5 gennaio 2018).

 
 
 

Una famiglia felice

Post n°2483 pubblicato il 06 Gennaio 2018 da namy0000
 

“Una famiglia felice e spensierata. Cameron Bloom, la moglie Sam e tre splendidi ragazzi. La coppia, che vive in Australia, ha una passione per i viaggi e decide di andare con i tre ragazzi in Thailandia. Ed è lì che, in seguito a un banale incidente – il crollo di una ringhiera – San cade, finisce in coma e rischia di morire. Alla fine si salva ma, a causa delle lesioni al midollo spinale, resta paralizzata dalla vita in giù e sarà costretta su una carrozzina. Dopo il rientro a casa, comincia per la famiglia Bloom un periodo difficilissimo: Sam – che non riesce più nemmeno a vestirsi da sola e ha perso anche il gusto e l’olfatto – scivola nella depressione e rifiuta le cure e l’affetto che i suoi famigliari le danno. Non si vede una via d’uscita. Fino a che nella loro casa non fa ingresso il più imprevedibile degli angeli: un pulcino di gazza ferito e abbandonato dalla madre. Grazie a una misteriosa sintonia con l’uccello, e prendendosi cura di lui, Sam troverà la forza di sorridere di nuovo alla vita e di aprirsi all’amore dei suoi cari.

Questa incredibile ma verissima storia è stata raccontata in un libro che definire commovente è poco: Penguin Bloom. L’uccellino che salvò la nostra famiglia, scritto da Bradley Trevor Greive e illustrato dalle spettacolari foto di Cameron (Fabbri).

‹‹È stato doloroso condividere la nostra storia, perché siamo stati obbligati a rivivere la paura e il trauma che abbiamo subìto››, ci racconta proprio Cameron. ‹‹Ogni volta fa male ripensare a quanto siamo stati vicini a perdere Sam, ma eravamo certi che molte persone, che come noi si sono sentite perse e distrutte, avrebbero tratto beneficio dalla nostra vicenda››. Uno degli aspetti più terribili è stato rendersi conto che tutta la premura che lui e i figli riversavano sulla moglie e madre sembrava inutile. ‹‹Mi sentivo impotente, non potevo far nulla per alleviare il suo dolore. È stato atroce non poter aiutare la donna che amo, eppure ero sicuro che il suo amore per me e per i nostri figli era una forza potente che l’avrebbe indotta a lottare. Però, fino a che non si è presentato Penguin…››.

 

Penguin è il nome che è stato dato alla piccola gazza, raccolta dai figli e portata a casa per curarla. ‹‹Questo piccolo uccello è stato l’esempio perfetto di ciò che è un amico››, continua Cameron. ‹‹Sembrava percepire la disperazione di Sam e le rispondeva con grande sensibilità. È stata un’incredibile ascoltatrice: Sam e Penguin “parlavano” tra loro per ore. Ha illuminato ogni stanza in cui è entrata e ha strappato un sorriso a tutti. Quando l’abbiamo trovata, aveva bisogno di aiuto e senza di noi sarebbe morta. Prendendosi cura di questo uccellino ferito, Sam ha capito che aveva ancora molto da dare al mondo, che era ancora capace di amare. Finché non accetti l’amore degli altri, non sei in grado di amare te stesso››. Lentamente la donna è tornata a sperare e a vivere; sa che non sarà mai più quella di una volta, ma si è appassionata al kayak e riprenderà a fare surf. ‹‹Abbiamo imparato una grande lezione sulla fragilità››, dice Cameron. ‹‹Tutto ciò che ami, ti può essere sottratto in un istante. Il che deve spingerci a inseguire i nostri sogni ancora più appassionatamente. Non auguro a nessuno di vivere la nostra tragedia, ma sono consapevole che questa esperienza ha modellato i nostri figli, rendendoli persone forti e amorevoli››” (FC n. 52 del 24 dic. 2017). 

 
 
 

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