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Messaggi del 09/07/2018

Frenati e della guerra pon fine

Post n°2706 pubblicato il 09 Luglio 2018 da namy0000
 

Luigino Bruni, Avvenire, sabato 7 luglio 2018

«'O figlio di Laerte, divino scaltrissimo Ulisse, frénati, e della guerra pon fine alla rissa funesta, ché Giove, onniveggente di Crono figliuol, non s’adiri'. Disse Atena. Ubbidì col gaudio nell’anima Ulisse». - Omero Odissea, Conclusione

Quando si attraversano crisi profonde e complesse, l’incontro con qualcuno che ci mostra un’altra prospettiva può essere l’evento decisivo. Qualcuno che ci fa salire sopra un colle per guardare dall’alto la nostra città assediata, e da lì scoprire vie di fuga che quando eravamo ancora immersi nella lotta non potevamo vedere. Nella Bibbia coloro che offrono queste prospettive diverse sono soprattutto i profeti e le donne. Esiste, infatti, un’analogia tra profezia e genio femminile. Entrambi sono concreti, attivano processi, parlano con la parola e con il corpo, e per istinto invincibile scelgono sempre la vita, le credono e la celebrano fino all’ultimo soffio. I profeti e le madri ospitano e generano una parola viva che non controllano, gli offrono il corpo perché il figlio-parola diventi carne, senza diventarne i padroni.

Il sangue e la violenza continuano a scorrere copiosi nella famiglia di Davide. Gli attori delle violenze sono maschi che mostrano una grande cattiveria della testa che si unisce a quella della pancia. Tra tutti gli uomini che stanno scrivendo le prime pagine insanguinate della storia della monarchia in Israele, ogni tanto si inseriscono delle donne, che con le loro brevi apparizioni umanizzano i racconti, mostrano l’altro volto di YHWH. Le donne entrano in scena per dirci nuove parole sull’uomo e su Dio quando i maschi hanno consumato e dilapidato le loro ultime risorse di umanità, e sono diventati finalmente mendicanti di parole di vita. Anche in queste pagine tremende sulle lotte fratricide dei figli di Davide, una donna illumina di una luce luminosissima l’orizzonte buio degli uomini. 

Davide, saputo dello stupro di sua figlia Tamar, si mostra anche qui ambivalente: «Il re Davide venne a sapere tutte queste cose e ne fu molto irritato, ma non volle urtare suo figlio Amnon, perché aveva per lui molto affetto: era infatti il suo primogenito» (2 Samuele 13,21). La storia è piena di delitti, soprattutto nei confronti di poveri, donne e bambini, coperti da "padri" per non "urtare" i figli. Assalonne ha invece una reazione opposta. Inizia a coltivare il devastante sentimento della vendetta. E così, due anni dopo, durante una festa della tosatura delle sue greggi, Assalonne ottiene da Davide il permesso che suo fratello Amnon si rechi presso di lui. Quindi dice ai suoi servi: «Quando Amnon avrà il cuore allegro per il vino e io vi dirò: "Colpite Amnon!", voi allora uccidetelo e non abbiate paura» (13,28). Ancora un fratello che invita un altro fratello ad "andare ai campi": «I domestici di Assalonne fecero ad Amnon come Assalonne aveva comandato» (13,29). Amnon, diversamente da Abele, era colpevole, ma nessun fratello merita di morire. Dopo il fratricidio, anche Assalonne, come Caino, fugge "ramingo", omicida e quindi a rischio di morte. Ma nella notte di questo fratricidio arriva un’altra donna, questa volta senza nome: la donna di Tekòa

Ioab, il già noto scaltro e ambiguo generale di Davide, vuole riabilitare Assolonne e farlo tornare dall’esilio: «Allora mandò a prendere a Tekòa una donna saggia» (14,1). Al lettore biblico il nome di Tekòa dice subito qualcosa d’importante: è il villaggio del profeta Amos. Siamo quindi dentro un ambiente profetico. La donna è chiamata "saggia", un aggettivo raro che nella Bibbia vuol dire molto. Anche qui, come nel racconto di Abigail, la donna si presenta come una narratrice, come una tessitrice di storie, artigiana della parola a servizio della vita. Le donne hanno un rapporto tutto speciale con la narrazione. Forse perché da piccolissimi ci insegnano a trasformare i primi suoni e rumori in parole, perché nutrono i loro bambini con latte, cibo e storie, o forse perché per migliaia di anni mentre i maschi cacciavano o combattevano, loro, sotto le tende, si scambiavano soprattutto parole, le donne sanno parlare diversamente e meglio degli uomini. Soprattutto sanno cercare, creare, inventare parole che non ci sono ancora, ma che devono assolutamente esserci per continuare a vivere. Come fece la donna saggia di Tekòa.

Ioab istruisce la donna e la invia dal re: «Fingi di essere in lutto: mettiti una veste da lutto, non ti ungere con olio e compòrtati da donna che pianga da molto tempo un morto; poi entra presso il re e parlagli così e così"» (14,2-3). Lei giunge da Davide: «"Aiutami, o re!". Il re le disse: "Che hai?"» (14,4). Lei gli racconta la storia inventata e concordata con Ioab: «Ahimè! Io sono una vedova: mio marito è morto. La tua schiava aveva due figli, ma i due vennero tra loro a contesa in campagna e nessuno li separava; così uno colpì l’altro e l’uccise. Ed ecco, tutta la famiglia è insorta contro la tua schiava dicendo: "Consegnaci il fratricida: dobbiamo farlo morire per la vita del fratello che egli ha ucciso"». Elimineranno così anche l’erede e spegneranno l’ultima brace che mi è rimasta e non si lascerà a mio marito né nome né discendenza sulla terra». (14,5-7). Una narrazione di una intelligenza emozionale e relazionale straordinaria.

La donna invita Davide a vedere l’unica prospettiva vitale disponibile, quella capace di futuro. Lo invita a uscire dalla logica distruttiva delle colpe e delle recriminazioni passate, e a vedere i costi e i benefici oggettivi, presenti e futuri, delle azioni e delle reazioni. Quel figlio è morto, e la sua vita non torna più. Permettere allora che la logica della vendetta, tutta giocata sul passato, uccida anche il secondo figlio, non significa riparare il danno ma raddoppiarlo, spegnere la sola "brace" che ancora può accendere la vita. Una donna qui ci sta spiegando una delle verità giuridiche e umane più grandi della storia: il perdono e la riconciliazione non sono soltanto la scelta più umana e religiosa che possiamo fare di fronte ad un delitto, ma sono anche la più intelligente perché l’unica capace di non aggravare il danno. È grazie a un discorso simile alla logica di questa donna saggia, che un giorno abbiamo abolito la Legge del taglione e la visione della pena come vendetta collettiva. E siamo diventati più umani e più intelligenti.

Come era avvenuto con la parabola di Natan, anche qui Davide svolge perfettamente l’esercizio empatico che la donna gli propone (Davide è grande anche perché sa ascoltare, gli uomini e le donne): «Egli le rispose: "Per la vita del Signore, non cadrà a terra un capello di tuo figlio!"» (13,11). Preso narrativamente per mano dalla donna saggia, Davide ora capisce che il bene di quella famiglia sta solo nel violare la Legge del taglione, e interrompere la spirale della vendetta. Poi la donna continua, esce dalla storia inventata per arrivare direttamente al vero oggetto della sua visita: «Allora perché pensi così contro il popolo di Dio? Il re, pronunciando questa sentenza si è dichiarato colpevole, per il fatto che il re non fa ritornare colui che ha bandito». (14,13). Natan (cap. 12) aveva concluso la sua parabola con la frase tremenda: «Quell’uomo sei tu». La donna saggia ora gli dice qualcosa di molto simile: "Sei colpevole", perché Davide non sta facendo con suo figlio la giustizia che ha giurato di fare con il figlio della donna. 

Poi Davide intuisce che in tutta questa vicenda c’è «la mano di Ioab». La donna non nega: «Il tuo servo Ioab ha agito così per dare un altro aspetto alla vicenda» (14,19-20). Il re non sembra disturbato dalla mano di Ioab, e dalla prospettiva diversa che gli ha donato: «Allora il re disse a Ioab: "Ecco, faccio come mi hai detto; va’ dunque e fa’ tornare il giovane Assalonne"» (14,21). L’obiettivo di Ioab è raggiunto. E la donna saggia scompare, dopo averci donato questa pagina bellissima. Il testo e Ioab scelgono una donna per cercare di porre fine alla violenza mimetica. La Bibbia è cosciente delle specifiche virtù delle donne, sa che nella risoluzione dei conflitti lo sguardo femminile può essere decisivo. Vede e racconta un mondo di maschi che fanno guerre, che si uccidono tra di loro e uccidono e violentano le donne. Sa che il mondo che descrive non è stato capace di riconoscere e rispettare il talento delle donne, di chiamarle per nome e dare loro pari diritti e dignità – neanche questo racconto ci svela il nome della donna saggia di Tekòa. Ma la Bibbia custodisce anche una sua conoscenza della donna, del suo mistero e della dignità, delle sue virtù e talenti speciali. Come a dirci: "Se avessimo ascoltato di più la saggezza delle donne avremmo peccato e sofferto di meno, saremmo stati più umani, avremmo avuto meno violenza e più shalom. Ma, purtroppo, non ci siamo riusciti". La storia, i conflitti, le guerre, sono cose diverse se visti con gli occhi delle donne e delle madri. È stato sempre così. La Bibbia è immensa anche perché in un mondo dominato dai maschi ci ha lasciato anche parole di donne, capolavori di bellezza, di pietas, di umanità, altri magnificat.

La storia narrata dalla donna saggia è simile alla parabola dell’agnellina di Natan. In Natan è lo status di profeta che legittima Natan a "inventare" una storia e conferire a quella parabola una forza di verità capace di commuovere e convertire Davide. La donna compie una vera e propria messa in scena (si veste a lutto), una pièce teatrale, una fiction che acquista la stessa verità della vita reale. Gli artisti creano ogni giorno storie che noi sappiamo essere verissime anche se "inventate", perché Edmond Dantès e Gregor Samsa sono veri almeno come lo sono i nostri amici. La donna saggia arriva dal re, gli racconta una storia non vera di un figlio ucciso, il re intuisce che quella donna è venuta da lui per un piano di Ioab. Ma quel racconto non vero e quella messa in scena non vengono condannati né dal re né dal testo. Forse perché, semplicemente, quel racconto in realtà era tutto vero, era una parabola incarnata e viva. La donna saggia stava narrando a Davide uno dei tanti fratricidi cui assistono le madri sulla terra. Fu il magistero collettivo del dolore delle madri che fece di quella storia inventata una storia vera e profetica. La storia della donna saggia non fu la messa in scena della trama di Iaob. Fu molto di più. Solo una donna poteva raccontare una simile storia inventata senza dire una bugia. Ioab aveva scritto lo spartito, ma la donna l’eseguì con la stessa libertà e creatività con cui si esegue un brano jazz. Perché se Eva, la prima donna, fu madre di un fratricida, allora quando una donna racconta una storia di un fratricidio racconta sempre una storia vera. Ma non racconta mai soltanto una storia di morte. - l.bruni@lumsa.it

 
 
 

Su te sia pace

Post n°2705 pubblicato il 09 Luglio 2018 da namy0000
 

La buona notizia di Gesù, crocifisso e risorto per amore, giunta dalle terre del Medio Oriente, ha conquistato il cuore dell’uomo lungo i secoli perché legata non ai poteri del mondo, ma alla forza inerme della croce. Il Vangelo ci impegna a una quotidiana conversione ai piani di Dio, a trovare in Lui solo sicurezza e conforto, ad annunciarlo a tutti e nonostante tutto. La fede dei semplici, tanto radicata in Medio Oriente, è sorgente da cui attingere per abbeverarci e purificarci, come avviene quando torniamo alle origini, andando pellegrini a Gerusalemme, in Terra Santa o nei santuari dell’Egitto, della Giordania, del Libano, della Siria, della Turchia e degli altri luoghi sacri di quelle regioni.

Incoraggiati gli uni dagli altri, abbiamo dialogato fraternamente. È stato un segno che l’incontro e l’unità vanno cercati sempre, senza paura delle diversità. Così pure la pace: va coltivata anche nei terreni aridi delle contrapposizioni, perché oggi, malgrado tutto, non c’è alternativa possibile alla pace. Non le tregue garantite da muri e prove di forza porteranno la pace, ma la volontà reale di ascolto e dialogo. Noi ci impegniamo a camminare, pregare e lavorare, e imploriamo che l’arte dell’incontro prevalga sulle strategie dello scontro, che all’ostentazione di minacciosi segni di potere subentri il potere di segni speranzosi: uomini di buona volontà e di credo diversi che non hanno paura di parlarsi, di accogliere le ragioni altrui e di occuparsi gli uni degli altri. Solo così, avendo cura che a nessuno manchino il pane e il lavoro, la dignità e la speranza, le urla di guerra si muteranno in canti di pace.

Per fare questo è essenziale che chi detiene il potere si ponga finalmente e decisamente al vero servizio della pace e non dei propri interessi. Basta ai tornaconti di pochi sulla pelle di molti! Basta alle occupazioni di terre che lacerano i popoli! Basta al prevalere delle verità di parte sulle speranze della gente! Basta usare il Medio Oriente per profitti estranei al Medio Oriente!

La guerra è la piaga che tragicamente assale quest’amata regione. Ne è vittima soprattutto la povera gente. Pensiamo alla martoriata Siria, in particolare alla provincia di Deraa. Lì sono ripresi aspri combattimenti che hanno provocato un ingente numero di sfollati, esposti a sofferenze terribili. La guerra è figlia del potere e della povertà. Si sconfigge rinunciando alle logiche di supremazia e sradicando la miseria. Tanti conflitti sono stati fomentati anche da forme di fondamentalismo e di fanatismo che, travestite di pretesti religiosi, hanno in realtà bestemmiato il nome di Dio, che è pace, e perseguitato il fratello che da sempre vive accanto. Ma la violenza è sempre alimentata dalle armi. Non si può alzare la voce per parlare di pace mentre di nascosto si perseguono sfrenate corse al riarmo. È una gravissima responsabilità, che pesa sulla coscienza delle nazioni, in particolare di quelle più potenti. Non si dimentichi il secolo scorso, non si scordino le lezioni di Hiroshima e Nagasaki, non si trasformino le terre d’Oriente, dove è sorto il Verbo della pace, in buie distese di silenzio. Basta contrapposizioni ostinate, basta alla sete di guadagno, che non guarda in faccia a nessuno pur di accaparrare giacimenti di gas e combustibili, senza ritegno per la casa comune e senza scrupoli sul fatto che il mercato dell’energia detti la legge della convivenza tra i popoli!

Per aprire sentieri di pace, si volga invece lo sguardo a chi supplica di convivere fraternamente con gli altri. Si tutelino tutte le presenze, non solo quelle maggioritarie. Si spalanchi anche in Medio Oriente la strada verso il diritto alla comune cittadinanza, strada per un rinnovato avvenire. Anche i cristiani sono e siano cittadini a pieno titolo, con uguali diritti.

Fortemente angosciati, ma mai privi di speranza, volgiamo lo sguardo a Gerusalemme, città per tutti i popoli, città unica e sacra per cristiani, ebrei e musulmani di tutto il mondo, la cui identità e vocazione va preservata al di là delle varie dispute e tensioni, e il cui status quo esige di essere rispettato secondo quanto deliberato dalla Comunità internazionale e ripetutamente chiesto dalle comunità cristiane di Terra Santa. Solo una soluzione negoziata tra Israeliani e Palestinesi, fermamente voluta e favorita dalla Comunità delle nazioni, potrà condurre a una pace stabile e duratura, e garantire la coesistenza di due Stati per due popoli.

La speranza ha il volto dei bambini. In Medio Oriente, da anni, un numero spaventoso di piccoli piange morti violente in famiglia e vede insidiata la terra natia, spesso con l’unica prospettiva di dover fuggire. Questa è la morte della speranza. Gli occhi di troppi fanciulli hanno passato la maggior parte della vita a vedere macerie anziché scuole, a sentire il boato sordo di bombe anziché il chiasso festoso di giochi. L’umanità ascolti – vi prego – il grido dei bambini, la cui bocca proclama la gloria di Dio (cfr Sal 8,3). È asciugando le loro lacrime che il mondo ritroverà la dignità.

Pensando ai bambini – non dimentichiamo i bambini! –, tra poco faremo librare in aria, insieme ad alcune colombe, il nostro desiderio di pace. L’anelito di pace si levi più alto di ogni nube scura. I nostri cuori si mantengano uniti e rivolti al Cielo, in attesa che, come ai tempi del diluvio, torni il tenero ramoscello della speranza (cfr Gen 8,11). E il Medio Oriente non sia più un arco di guerra teso tra i continenti, ma un’arca di pace accogliente per i popoli e le fedi. Amato Medio Oriente, si diradino da te le tenebre della guerra, del potere, della violenza, dei fanatismi, dei guadagni iniqui, dello sfruttamento, della povertà, della disuguaglianza e del mancato riconoscimento dei diritti. «Su te sia pace» (Sal 122,8) – insieme: “Su te sia pace” (papa Francesco, 7 luglio 2018).  

 
 
 

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