Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Marzo 2024

Insieme, a tutti i costi insieme

2024, FC n. 13 del 31 marzo

STRISCIA DI GAZA. La Guerra

«Non vedo nessuna prospettiva politica né a breve né a lungo termine per fermare questo conflitto, soccorrere la popolazione palestinese di Gaza stremata dalla fame e dalle bombe e studiare un piano per la necessaria ricostruzione», dice il Patriarca latino di Gerusalemme Pizzaballa, d’origine bergamasca. «La guerra sembra aver travolto tutte le relazioni e le dinamiche politiche, sociali, religiose ed economiche. Viviamo una Pasqua di mestizia, è difficile fare festa. Facciamo molta fatica a vedere la Risurrezione. A Gaza, finora, la guerra ha ucciso più di 30.000 persone. A Gerusalemme c’è uno scenario surreale. Non ci sono pellegrini, tranne pochissimi gruppi di asiatici che arrivano prevaletemente da India e Indonesia. Siamo al centro della tempesta. È tempo di mettere da parte la paura e di riprendere la via del pellegrinaggio, che è una forma concreta di aiuto a tutte le popolazioni che vivono qui. Il mio ruolo è quello di facilitare il dialogo tra le parti e tenere aperti tutti i canali di comunicazione anche se in questo momento è difficilissimo e non si vedono molte prospettive né a breve né a lungo termine. Si fa molta fatica a mediare perché questa crisi tra israeliani e palestinesi, la più grave degli ultimi 70 anni, ha polarizzato le posizioni e indurito i cuori di tutti. Ci sono diverse preoccupazioni. La prima, di breve termine, è la situazione drammatica in cui vive la popolazione di Gaza che è affamata e stremata. Faccio fatica al momento a vedere soluzioni reali, pratiche e concrete. Ci sono tanti progetti e idee ma si tratta di iniziative che richiedono molto tempo mentre invece la fame non aspetta e richiede misure efficaci e immediate. La seconda, di lungo termine, è che non vedo nessuna prospettiva politica per la fine della guerra. Così sarà molto difficile avere la pace e pensare alla ricostruzione. Su ci sono interpretazioni diverse. Bisogna prendere sul serio l’appello di papa Francesco che invoca il cessate il fuoco immediato e invita a cercare di risolvere il problema attraverso la politica, unica strada possibile. Per farlo, bisogna avviare il dialogo tra le parti e capire chi saranno gli interlocutori. Non ci sono altre vie. Siamo su una china dove tutto può precipitare o invece, se c’è la buona volontà, rientrare. Con la parrocchia di Gaza, cerchiamo di venire incontro, per quanto possibile, alle loro richieste d’aiuto, ma ultimamente sta diventando molto difficile non solo far arrivare gli aiuti, ma anche trovarli. Nel complesso ortodosso sono ospitate circa 200 persone e in quello cattolico 500. Ci sono circa 60 disabili, curati dalle suore di madre Teresa, anziani, bambini, donne sole, molti musulmani. Sono molto colpito dalla testimonianza di fede che la comunità cristiana di Gaza sta offrendo perché, pur vivendo una situazione orribile, è stanca e ferita ma in pace. È legittimo esprimere il dissenso sulla politica del Governo israeliano, ma questo non giustifica nessuna forma di antisemitismo e di razzismo. Questo mi preoccupa molto. Noi non siamo contro Israele, ma vogliamo che i palestinesi abbiano diritto a una vita dignitosa nel proprio Paese, e questo richiede il rispetto di tutti. Non si tratta di scegliere se stare con gli uni o con gli altri, ma di accogliere tutti nella propria prospettiva».

“Il mondo si è polarizzato. Ma dovete spronare i leader a sedersi al tavolo e dialogare”, dice la portavoce dell’organizzazione Parents Circle-Family Forum, organizzazione che riunisce famiglie israeliane e palestinesi, dal 1995, con sede in Israele e in Cisgiordania. «È dura, viviamo un periodo davvero difficile. È un miracolo che, in questa situazione, associazioni come la nostra impegnate per la pace, continuino a lavorare. Oggi, a causa della guerra, per noi famiglie israeliane e palestinesi è più difficile icnontrarsi fisicamente. Migliaia di palestinesi della Cisgiordania, che lavoravano in Israele ora non possono più spostarsi verso il luogo di lavoro. Questo significa che la situazione economica è disperata. Le conseguenze del conflitto sono ignorate. Alcune famiglie che vivevano nella parte meridionale di Israele si sono unite alla nostra organizzazione e invocano la pace. Questo è straordinario e mi permette di continuare a coltivare la speranza. Israele conta una miriade di iniziative per la pace, ci sono gruppi e associazioni che, come Parents Circle, lavorano per il dialogo e la convivenza. Eppure, la narrazione predominante all’estero è quella di due popoli irriducibilmente opposti, nemici. In questo momento viviamo la guerra e la gente di entrambe le parti è terrorizzata. Da un lato, vediamo le atrocità che accadono a Gaza. Dall’altro, sappiamo che 200.000 israeliani hanno dovuto lasciare le loro case nel Sud e anche nel Nord, al confine con il Libano. È un momento difficile per parlare di riconciliazione. A me non importa quale tipo di soluzione politica si prenda, l’importante è che i leader arrivino a trattare. E chi può spingerli a farlo sono gli Stati Uniti e l’Europa. Il mondo si è fortemente polarizzato sul conflitto. Tutti sono diventati esperti del conflitto mediorientale. A ognuno piace schierarsi da una o dall’altra, prendere in mano una bandiera. Ma così facendo voi non siete parte della soluzione, siete parte del problema. Dopo il 7 ottobre 2023 ho viaggiato tanto, sono stata in America, a Londra, anche a Milano. Probabilmente molti degli studenti che ho incontrato scendono in piazza con le bandiere dell’una o dell’altra parte. Ma io propongo loro di diventare parte della soluzione, cercando di spronare i loro leader a sedersi al tavolo e dialogare. I bambini che stanno vivendo questa guerra che adulti potranno diventare? Ora sono tutti gravemente traumatizzati ed è una situazione che dobbiamo affrontare. Ogni anno noi di Parents Circle organizziamo un campo estivo con i bambini israeliani e palestinesi. Lo scorso anno, il 21 settembre, i ragazzini hanno firmato un documento per la pace e la riconciliazione. Due settimane dopo è scoppiata la guerra. E questi bambini, molti dei quali hanno avuto un lutto in famiglia, hanno cominciato a provare odio e rifiuto gli uni verso gli altri. Ora noi stiamo lavorando con loro per riavvicinarli, stimolandoli a mettersi ognuno nei panni dell’altro. Non potendo organizzare al momento un campo estivo in Israele e nei Territori palestinesi, vogliamo portare 50 di loro a Cipro e stiamo raccogliendo fondi per poterlo fare. Questi ragazzini sono gli ambasciatori del nostro futuro».

NEVE SHALOM – WAHAT AL-SALAM, fondato nel 1972, che significa Oasi di pace e riprende un versetto del profeta Isaia: “Il mio popolo abiterà in un’oasi di pace”. Fondato da padre Bruno Hussar, nella cui vicenda personale è racchiuso lo spirito di questa comunità. Nato in Egitto da genitori ebrei, Hussar studia al Cairo con compagni arabi, poi si trasferisce per l’università a Parigi, dove si converte al cattolicesimo, divenendo nel 1950 sacerdote domenicano. Su un terreno del monastero di Latrun le prime famiglie israeliane e palestinesi hanno iniziato a costruire un futuro diverso, con il messaggio di padre Hussar impresso nei cuori: la pace è un’arte che non si improvvisa, ma può essere insegnata. Quei primi nuclei oggi sono diventati 80 famiglie dove i genitori continuano a voler crescere i propri figli in un Paese dove le due comunità non siano separate l’una dall’altra, ma in ascolto delle reciproche storie e identità. Il dialogo è incoraggiato fin da bambini, con classi miste, dove si parla sia ebraico che arabo. Lì si racconta la storia dei due popoli e si celebrano insieme le festività religiose di tutti: ebraiche, musulmane, ma anche cristiane. Questo modello educativo è stato poi ripreso da altre scuole in Israele e negli anni ha attratto tanti bambini che arrivano qui da ben 19 centri limitrofi. È così che nasce la rivoluzione, quella che consente di vedere nell’altro un compagno di banco. Una persona da conoscere, non un nemico da odiare. Dopo l’attacco terroristico di Hamas, del 7 ottobre 2023, ad oggi, nessuno ha lasciato il villaggio abdicando al progetto di una comunità in dialogo costante. Anche grazie al ruolo della Scuola per la pace nata nel 1979: i suoi facilitatori, israeliani e palestinesi, aiutano bambini, insegnanti e genitori a mantenere la loro resilienza, affrontando la crisi che sta portando morti e dispersi tra parenti e amici di entrambe le parti.

 Nel villaggio tra Gerusalemme e Tel Aviv, abitano ebrei e musulmani che formano un’unica comunità, fondata sui valori del dialogo e del rispetto. Un progetto utopico faticosamente costruito nell’arco di oltre 50 anni. Questa è l’unica comunità presente in Israele in cui famiglie ebree e musulmane – con cittadinanza israeliana – abitano insieme in un regime di piena parità e rispetto dei diritti di tutti.

 
 
 

L'amore vince la morte

Post n°3998 pubblicato il 30 Marzo 2024 da namy0000
 

2022, Ermes Ronchi, Avvenire 3 novembre

Il Vangelo. Non è la vita che vince la morte, ma l’amore

Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui» .

Sono gli ultimi giorni di Gesù. I gruppi di potere, sacerdoti, anziani, farisei, scribi, sadducei sono uniti nel rifiuto di quel rabbì di periferia, sbucato dal nulla, che si arroga il potere di insegnare, senza averne l'autorità, senza nessuna carta in regola, un laico qualsiasi. Lo contestano, lo affrontano, lo sfidano, un cerchio letale che gli si stringe intorno. In questo episodio adottano una strategia diversa: metterlo in ridicolo. La storiella paradossale di una donna, sette volte vedova e mai madre, è adoperata dai sadducei come caricatura della fede nella risurrezione dei morti: di quale dei sette fratelli che l’hanno sposata sarà moglie quella donna? Gesù, come è solito fare quando lo si vuole imprigionare in questioni di corto respiro, ci invita a pensare altrimenti e più in grande: Quelli che risorgono non prendono moglie né marito. La vita futura non è il prolungamento di quella presente.
Coloro che sono morti non risorgono alla vita biologica ma alla vita di Dio. La vita eterna vuol dire vita dell’Eterno.

Io sono la risurrezione e la vita, ha detto Gesù a Marta. Notiamo la successione:
prima la risurrezione e poi la vita, con una sorta di inversione temporale, e non, come ci saremmo aspettati: prima la vita, poi la morte, poi la risurrezione. La risurrezione inizia in questa vita. Risurrezione dei vivi, più che dei morti, sono i viventi che devono alzarsi e destarsi: risorgere.

 
 
 

Buona Pasqua

Post n°3997 pubblicato il 28 Marzo 2024 da namy0000
 

DOMENICA DI PASQUA - 31 marzo 2024 - fra Ermes Ronchi

Maria di Màgdala si recò al sepolcro quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!» (...). Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo giunse per primo al sepolcro. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario. Allora entrò anche l’altro discepolo, e vide e credette. Giovanni 20,1-9

commento di fra Ermes

L'ODORE DELLA VITA

Pasqua è il tema più arduo e bello di tutta la Bibbia. Arduo perché va contro ogni evidenza, bello perché rotola via i massi dall’imboccatura del cuore.

Pasqua non porta solo la salvezza che ci estrae dalle acque limacciose, ma la redenzione, che è molto di più, che trasforma la debolezza in forza, la maledizione in benedizione, il rinnegamento di Pietro in atto di fede, il mio difetto in energia nuova, la mia fuga in corsa intrepida.

Maria di Magdala esce di casa avvolta nel buio, del cielo e del cuore. Non ha niente tra le mani, non aromi come le altre donne, ma soltanto il suo amore impastato al dolore, che si ribella all'assenza di Gesù.

E vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.

Nel fresco dell'alba il sepolcro è spalancato, vuoto e risplendente, affacciato sulla primavera. Un sepolcro aperto come il guscio di un seme, che prima di posarsi ha imparato a volare.

Maria corse da Simone e dall’altro discepolo, che Gesù amava... correvano insieme Pietro e Giovanni.

Perché tutti corrono in quel mattino di Pasqua?

Perché tutto ciò che riguarda Gesù non sopporta mezze misure, e si merita tutta la fretta dell’amore, che è sempre in ritardo sulla fame di abbracci. Corrono perché hanno ansia di luce che sia vita.

L’altro discepolo, quello che Gesù amava, corse più veloce. Giovanni arriva prima di Pietro a capire il senso della risurrezione, e a crederci. Il discepolo amato ha «intelletto d’amore» (Dante), l’intelligenza del cuore. Chi ama capisce di più, capisce prima, capisce più a fondo. Infatti i sapienti camminano, i giusti corrono ma gli innamorati volano.

Vide i teli posati là.

Giovanni entrò, vide e credette. Anche di Pietro è detto che vide, ma non che credette. Giovanni crede perché i segni sono eloquenti solo per il cuore che sa leggerli, e il suo brucia la distanza tra Gerusalemme e il giardino, tra i segni e il loro significato, tra i teli posati là e il corpo assente.

È pronto alla fede perché si sa amato: «ti vedrò nell’amore avuto e dato./ Ma se altro è il tuo cielo/ non ti vedrò Signore» (C. Cremonesi).

Il primo segno di Pasqua è il corpo assente. Nella storia umana manca un corpo, per pareggiare il conto degli uccisi. Ma Gesù non è semplicemente il Risorto, non è l'attore di un evento che si è consumato una volta per tutte nel giardino di fronte Gerusalemme. Pasqua non è conclusa. Se noi tutti formiamo il corpo di Cristo, allora come mi è contemporanea la croce, così lo è anche la Risurrezione. Chi vive in lui, è lui com-preso, cioè preso-dentro il suo risorgere.

Pasqua solleva allora questo nostro pianeta di tombe verso un mondo dove il male non vince, dove il carnefice non ha ragione della sua vittima in eterno, dove le piaghe della vita possono distillare luce.

Pasqua: “Il buon profumo di Cristo è odore di vita per la vita” (2 Cor 2,16).

 
 
 

Il fioraio gentile

Post n°3996 pubblicato il 24 Marzo 2024 da namy0000
 

2023, Scarp de’ tenis, agosto

Abramo. Il fioraio gentile che anima il Tuscolano

Un chiosco di fiori caduto in disgrazia è divenuto un punto di riferimento per il quartiere romano del Tuscolano. Il merito è di Abramo, che è emigrato in Italia dall’Egitto nel 2007. «Avevo trent’anni quando sono arrivato qui a Roma e ho lavorato sempre in questo settore» racconta. Padre di tre figli, «il più grande studia in Russia per diventare dentista, mentre la femmina vuole diventare avvocatessa, e il più piccolo ha 12 anni. Loro due sono rimasti al Cairo, non li ho portati con me».

Il chiosco si trova davanti alla Basilica di Santa Maria Ausiliatrice. «Quando l’ho rilevato nel 2016 era abbandonato e c’erano pochissimi fiori. Io l’ho rilanciato conquistandomi la fiducia di tanti e tante clienti».

La pandemia è stata un momento difficile per molti negozi di vicinato, ma lui ha cercato di mantenere un rapporto con i clienti evitando di violare le restrizioni. «La sera prima del lockdown avevo lasciato dei fiori instrada davanti al banco. Ho scritto un cartello invitando a prenderli, altrimenti si sarebbero seccati. Il giorno dopo non c’erano più».

Abramo è molto attivo sui social, e sul gruppo Facebook frequentato dai cittadini dell’Appio Latino ci sono messaggi che lo ringraziano ed elogiano per un bouquet di nozze o una corona d’alloro in occasione di una laurea. Lo scorso 24 maggio, proprio in occasione della festa di Santa Maria Ausiliatrice, lui stesso ha postato un video che lo ritrae mentre lancia dei petali di fiori verso la Madonna in processione; è un segno di come si sia integrato nella comunità e partecipi attivamente alla vita quotidiana della zona.

Ma oltre ai suoi fiori, Abramo si distingue anche per le opere di bene. «Lo scorso Natale ho donato un albero di due metri e mezzo alla scuola elementare don Giovanni Cagliero; qualche mese fa ho sistemato dei fiori nelle nuove aiuole del giardino della scuola per l’infanzia di Villa Lazzaroni. Davanti la scuola di via Amulio ho innestato delle nuove piante con un amico».

Piccoli atti di gentilezza verso il quartiere che lo hanno portato ad essere scelto come testimonial del Calendario della gente gentile 2022, un’iniziativa promossa dal premio Roma Best Practice Award e il centro Civico 17. «Mi piace pensare di poter essere un esempio per tanti altri stranieri che arrivano a Roma e sono costretti a ricominciare la loro vita da zero».

 
 
 

Quel fiume africano

2024, Scarp de’ tenis agosto

Yvette Tetteh e quel fiume africano

Per sette mesi si è allenata nuotando, con ferrea disciplina, per sei giorni alla settimana. Non doveva partecipare a una gara né stracciare un record: semplicemente, voleva portare all’attenzione del mondo l’inquinamento di un maestoso fiume africano, il Volta, avvelenato dai residui degli abiti usati inviati dall’Occidente.

Ce l’ha fatta. Nuotando per quaranta giorni, su 450 chilometri, lungo il fiume e nel lago artificiale omonimo, Yvette Tetteh, trent’anni, ghanese, imprenditrice agricola e ambientalista, ha conquistato le pagine dei giornali internazionali, ottenuto interviste su radio e tv e, naturalmente, espugnato i social.

Figlia di una famiglia con radici in Ghana e in Inghilterra, cresciuta da bambina in Sudafrica, laureata in California, all’università di Stanford, Yvette è tornata nel 2015 ad Accra, capitale del Ghana, con l’intenzione di mettere a frutto i molti privilegi che sapeva d’aver ottenuto con la sua educazione. Lì ha fondato un’azienda che lavora la frutta locale e commercializza il prodotto essiccato e ha aderito alla The OR Foundation, un’associazione non profit il cui slogan è “troppi abiti, poca giustizia”, impegnata a denunciare il traffico di abiti di seconda mano, lo scarto della fast fashion, la moda veloce, che da Europa e Nord America vengono spediti in Ghana. «Si tratta di 15 milioni di capi di abbigliamento alla settimana», ha scritto L’Osservatore romano, citando le stime di The OR Foundation: «Solo il 40% di questi prodotti è rivenduto, mentre la quota restante finisce nelle discariche o, sempre più spesso, in strada, nei fossati e sulle spiagge».

Yvette Tetteh lo definisce «il colonialismo dei rifiuti del Nord globale», che finisce con l’avvelenare il Sud del mondo. Compreso, appunto, il fiume Volta, che nasce in Burkina Faso e, traversando il Ghana, sbocca nell’oceano Atlantico. Seguita da un catamarano a energia solare, dotato di un laboratorio per l’analisi delle acque, Yvette ha documentato nella sua lunga nuotata come il Volta, apparentemente limpido, sia in realtà contaminato dalle microfibre sintetiche rilasciate dai tessuti dispersi nel territorio.

In un Paese di 32 milioni di abitanti, dove almeno un abitante su quattro vive sotto la soglia di povertà, l’invasione degli scarti d’abbigliamento sta producendo più di un disastro. Ha messo in difficoltà, per esempio, i produttori di cotone, che vengono spinti fuori mercato dalla concorrenza dei “vestiti dei bianchi morti”.

Una delegazione di commercianti di Kantamanto, il mercato di Accra, ha portato al Parlamento europeo la richiesta di una regolamentazione più rispettosa del traffico di abiti smessi. Ma è stata l’impresa di Yvette Tetteh a far accendere i riflettori sull’argomento. All’arrivo ad Ada, dove il Volta sbocca nell’oceano, Yvette ha dichiarato: «Ho sentito sulla mia pelle come i corsi d’acqua della regione sono rigonfi di microfibre accumulate negli anni». Poi è tornata alla sua azienda, che in cinque anni è passata da 3 a 18 dipendenti (14 sono donne), al di sotto dei 35 anni. Un’azienda che lavora i prodotti di un centinaio di agricoltori locali, col progetto di portarli fuori dalla povertà. Con la sua ostinazione, Yvette conta di farcela. Purché il Nord del mondo smetta di avvelenare il Pianeta.

 
 
 

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