Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi del 06/10/2017

Il trick

‹‹Come, non sapete cosa è il “rumore del trick”? Beh, non demoralizzatevi: ho impiegato anni per scoprirlo; e vorrei raccontarvelo con una storia apparentemente triste, come tutti i racconti che narrano di malattie, ma per me affascinante: e che altro può essere una storia che ti parla del “rumore del tric”?

Tutto è iniziato 6 anni fa, quando gli esami clinici e radiologici hanno dato conferma alle mie paure: “Sua moglie ha l’Alzheimer, a maggior espressione linguistica (afasia), e si stanno compromettendo in modo irreversibile i processi logici”. Parole astruse e incomprensibile per un ignorante come me: la vita e l’esperienza quotidiana, quasi ora per ora, si sarebbero assunti il compito di essere insegnanti severi ed esigenti, con una didattica a volte discutibile, ma efficace.

Già, la vita: prima ti ammorbidisce, macinandoti pian piano col metterti i sedere per terra per farti comprendere che con il tuo orgoglio e la tua superbia troverai solo cardi e spini camminando in un deserto sconfinato; e poi, prima che la tua anima si inaridisca irreparabilmente, ti fa trovare l’oasi che non ti aspettavi, capace di dissetarti e sciogliere il sale amaro delle tue lacrime, facendo rifiorire in te la vita stessa.

L’Associazione ABC Onlus, questo è il nome dell’oasi che ho incontrato, sembra ribaltare i termini del problema: sì, è vero che l’Alzheimer si sta pian piano prendendo mia moglie, ma a me è data la capacità di affrontare questo mostro, di vanificare la paura che incute, fino a scoprire ancora la dolcezza dei suoi occhi e il sorriso sul suo volto: e non sono, questi, segni di vita? Pian piano ho imparato a usare gli strumenti appresi frequentando gli incontri proposti dall’associazione, fino a entusiasmarmi nella ricerca di soluzioni possibili, e scoprire così “il rumore del trick”.

Quotidianamente, preferibilmente il mattino, mia moglie assume dei medicinali prescritti dalla neurologa: secondo me ormai non servono a nulla… ma questa è un’altra storia. Come tutti i farmaci monodose sono conservati in confezioni chiamate “blister”, le definiscono pratiche, leggere e maneggevoli. Chi ha inventato questi “blister” non pensava certo ai malati di Alzheimer: è un’impresa improba per loro far uscire la pastiglietta dal suo guscio ermetico. Lo vedevo in mia moglie: giorno dopo giorno sul suo viso sempre più si disegnavano la fatica, l’impotenza e forse la frustrazione nel vedersi incapace a fare un’operazione che qualche mese fa era relativamente facile. I miei incoraggiamenti erano sempre meno efficaci: spiegazzava il “blister”, lo contorceva, tentava di strapparlo, ma quella maledetta pastiglia non ne voleva sapere di saltar fuori.

Seguivo i suoi gesti privi, almeno così sembrava a me, di una qualsiasi logica, come quelli che compiva qualche decina di minuti prima davanti al lavandino: l’acqua scorreva, lei si bagnava le mani, le braccia, puliva il lavandino e il rubinetto e oi ancora le mani, le braccia, il lavandino e ancora il rubinetto con una ripetitività a volte esasperante; ma di lavarsi la faccia proprio non c’era speranza.

Finché un giorno ho smesso di stimolarla con le stanche parole: “Dai cucciola, coraggio, bagnati la faccia”. Sono rimasto in silenzio vicino a lei accarezzandole delicatamente le spalle per alcuni minuti, non saprei dire quanti. Poi le ho dolcemente sussurrato: “Senti come è fresca l’acqua”. E, improvvisamente, quei gesti ripetitivi hanno avuto come epilogo il portarsi l’acqua alla faccia per ben tre volte…

Già, e allora se tutti quei gesti, quelli dell’acqua e quelli con il “blister” non fossero altro che un rito preparatorio? Oppure un gioco del labirinto: entri da una parte e giri e giri finché non trovi, se la trovi, la strada per l’uscita? O forse la continua ripetitività dei gesti fin da bambina imparati e mai scordati, ti porta pian piano a raggiungere l’obiettivo finale?

Solo che sempre più spesso quella maledetta pastiglia non si decideva a saltar fuori. E allora un giorno, mentre lei girava e rigirava il “blister”, ho messo i miei pollicioni rozzi tra le sue dita affusolate e, premendo furtivamente sul blister nel punto giusto, le ho detto: “E vai cucciola, ce l’hai fatta, ho sentito il trick!” e girando il blister le ho fatto vedere il bianco della fatidica pastiglia fatta finalmente uscire da quel benedetto guscio di alluminio. E lei, soddisfatta, si preparava al prosieguo dell’operazione.

Molto probabilmente, il trick per voi non è il termine esatto a designare quel rumore caratteristico: a me è venuto spontaneo dire trick, facendola sorridere, donandole così un momento di serenità; mi è parso anche di essere entrato per un attimo nel fondo della sua anima e averla liberata dalla paura del mostro dal nome astruso e terribile. E da quel giorno, la nostra giornata inizia anche con il rumore del trick, anzi, se fossi un poeta, potrei dire con la musica del trick.

Alla prossima, Herr Alzheimer›› - Giancarlo (Giancarlo e Rita sono stati ospiti in una Casa per ferie delle suore Orsoline  di Verona. Lei è malata di Alzheimer. Il marito ha voluto condividere con noi la loro storia. Giancarlo, 24 ore su 24 sempre vigile, attento per far felicemente vivere la sua sposa, e nello stesso tempo, disponibile a offrire il suo aiuto a chi momentaneamente fosse in difficoltà. Come cristiano ha sempre rivelato la sua sensibilità di “missionario dell’amore”. FC n. 40 del 10 ott. 2017).

 
 
 

Già, la vita

“Già, la vita: prima ti ammorbidisce, macinandoti pian piano col metterti il sedere per terra per farti comprendere che con il tuo orgoglio e la tua superbia troverai solo cardi e spini camminando in un deserto sconfinato; e poi, prima che la tua anima si inaridisca irreparabilmente, ti fa trovare l’oasi che non ti aspettavi, capace di dissetarti e sciogliere il sale amaro delle tue lacrime, facendo rifiorire in te la vita stessa – Giancarlo” (FC n. 40 del 10 ott. 2017).

 
 
 

Amatevi l'un l'altro

Post n°2360 pubblicato il 06 Ottobre 2017 da namy0000
 

‹‹Amatevi l’un l’altro, ma non fate dell’amore una catena: lasciate piuttosto che vi sia un mare in movimento tra i lidi delle vostre anime… Siete nati insieme e insieme sarete in eterno. Sarete insieme anche quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni. Sarete insieme anche nella silenziosa memoria di Dio››, sono alcuni versi notissimi del Profeta, opera del poeta libanese Kahlil Gibran (1883-1931). 

 
 
 

Sai, io provengo

Post n°2359 pubblicato il 06 Ottobre 2017 da namy0000
 

‹‹Sai, io provengo da un famiglia povera, e sono venuto in Italia in cerca di una vita migliore. Se tu, italiano, guardi a come io sono costretto a vivere adesso nella tua città, penserai che non ho una bella vita. Dormo su una banchina del lungomare di Salerno, giro tutto il giorno in cerca di un lavoro per guadagnarmi da vivere e non lo trovo, la sera mi addormento nuovamente sul marmo duro della panchina. Eppure, non ci crederai, ma io sto bene. Perché tutte le sere mi addormento su quella panchina con mia moglie Anabela e, ora che è primavera, quando stiamo per chiudere gli occhi, possiamo guardare il bellissimo cielo stellato. Ci addormentiamo abbracciati, contando le stelle invece delle solite pecore. Ora che è maggio, al mattino facciamo il bagno insieme, al mare, al posto di lavarci in una doccia che non abbiamo. Poi ci salutiamo, e tutta la giornata cerchiamo lavoro, ognuno per conto suo. Ti assicuro che la giornata non è pesante, se vissuta col pensiero di riabbracciarci la sera. La felicità è il nostro amore, è il vedere che esso è più forte delle nostre difficoltà, del marmo duro della panchina e del vento umido e fastidioso che arriva verso le quattro di mattina presto. Ora andiamo incontro all’estate, c’è speranza: il tempo sarà sempre migliore››. La storia di Fabian e Anabela ha avuto un lieto fine: in estate lei trovò lavoro a Salerno come badante. Il lavoro durò solo due mesi, ma nel frattempo Fabian trovò lavoro come muratore. Così a settembre li rincontrai, e Fabian mi raccontò che ora avevano preso in affitto un minuscolo monolocale in città, che pagavano 200 euro al mese. Riuscivano a mangiare almeno a cena, a pranzo qualche volta andavano alla mensa dei poveri. Ma erano felicissimi. ‹‹Il nostro amore ci ha consentito di andare avanti e raggiungere questo grande traguardo›› (Patrizio F. Scarp de’tenis, maggio 2015).

 
 
 

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