Creato da namy0000 il 04/04/2010

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Il trick

‹‹Come, non sapete cosa è il “rumore del trick”? Beh, non demoralizzatevi: ho impiegato anni per scoprirlo; e vorrei raccontarvelo con una storia apparentemente triste, come tutti i racconti che narrano di malattie, ma per me affascinante: e che altro può essere una storia che ti parla del “rumore del tric”?

Tutto è iniziato 6 anni fa, quando gli esami clinici e radiologici hanno dato conferma alle mie paure: “Sua moglie ha l’Alzheimer, a maggior espressione linguistica (afasia), e si stanno compromettendo in modo irreversibile i processi logici”. Parole astruse e incomprensibile per un ignorante come me: la vita e l’esperienza quotidiana, quasi ora per ora, si sarebbero assunti il compito di essere insegnanti severi ed esigenti, con una didattica a volte discutibile, ma efficace.

Già, la vita: prima ti ammorbidisce, macinandoti pian piano col metterti i sedere per terra per farti comprendere che con il tuo orgoglio e la tua superbia troverai solo cardi e spini camminando in un deserto sconfinato; e poi, prima che la tua anima si inaridisca irreparabilmente, ti fa trovare l’oasi che non ti aspettavi, capace di dissetarti e sciogliere il sale amaro delle tue lacrime, facendo rifiorire in te la vita stessa.

L’Associazione ABC Onlus, questo è il nome dell’oasi che ho incontrato, sembra ribaltare i termini del problema: sì, è vero che l’Alzheimer si sta pian piano prendendo mia moglie, ma a me è data la capacità di affrontare questo mostro, di vanificare la paura che incute, fino a scoprire ancora la dolcezza dei suoi occhi e il sorriso sul suo volto: e non sono, questi, segni di vita? Pian piano ho imparato a usare gli strumenti appresi frequentando gli incontri proposti dall’associazione, fino a entusiasmarmi nella ricerca di soluzioni possibili, e scoprire così “il rumore del trick”.

Quotidianamente, preferibilmente il mattino, mia moglie assume dei medicinali prescritti dalla neurologa: secondo me ormai non servono a nulla… ma questa è un’altra storia. Come tutti i farmaci monodose sono conservati in confezioni chiamate “blister”, le definiscono pratiche, leggere e maneggevoli. Chi ha inventato questi “blister” non pensava certo ai malati di Alzheimer: è un’impresa improba per loro far uscire la pastiglietta dal suo guscio ermetico. Lo vedevo in mia moglie: giorno dopo giorno sul suo viso sempre più si disegnavano la fatica, l’impotenza e forse la frustrazione nel vedersi incapace a fare un’operazione che qualche mese fa era relativamente facile. I miei incoraggiamenti erano sempre meno efficaci: spiegazzava il “blister”, lo contorceva, tentava di strapparlo, ma quella maledetta pastiglia non ne voleva sapere di saltar fuori.

Seguivo i suoi gesti privi, almeno così sembrava a me, di una qualsiasi logica, come quelli che compiva qualche decina di minuti prima davanti al lavandino: l’acqua scorreva, lei si bagnava le mani, le braccia, puliva il lavandino e il rubinetto e oi ancora le mani, le braccia, il lavandino e ancora il rubinetto con una ripetitività a volte esasperante; ma di lavarsi la faccia proprio non c’era speranza.

Finché un giorno ho smesso di stimolarla con le stanche parole: “Dai cucciola, coraggio, bagnati la faccia”. Sono rimasto in silenzio vicino a lei accarezzandole delicatamente le spalle per alcuni minuti, non saprei dire quanti. Poi le ho dolcemente sussurrato: “Senti come è fresca l’acqua”. E, improvvisamente, quei gesti ripetitivi hanno avuto come epilogo il portarsi l’acqua alla faccia per ben tre volte…

Già, e allora se tutti quei gesti, quelli dell’acqua e quelli con il “blister” non fossero altro che un rito preparatorio? Oppure un gioco del labirinto: entri da una parte e giri e giri finché non trovi, se la trovi, la strada per l’uscita? O forse la continua ripetitività dei gesti fin da bambina imparati e mai scordati, ti porta pian piano a raggiungere l’obiettivo finale?

Solo che sempre più spesso quella maledetta pastiglia non si decideva a saltar fuori. E allora un giorno, mentre lei girava e rigirava il “blister”, ho messo i miei pollicioni rozzi tra le sue dita affusolate e, premendo furtivamente sul blister nel punto giusto, le ho detto: “E vai cucciola, ce l’hai fatta, ho sentito il trick!” e girando il blister le ho fatto vedere il bianco della fatidica pastiglia fatta finalmente uscire da quel benedetto guscio di alluminio. E lei, soddisfatta, si preparava al prosieguo dell’operazione.

Molto probabilmente, il trick per voi non è il termine esatto a designare quel rumore caratteristico: a me è venuto spontaneo dire trick, facendola sorridere, donandole così un momento di serenità; mi è parso anche di essere entrato per un attimo nel fondo della sua anima e averla liberata dalla paura del mostro dal nome astruso e terribile. E da quel giorno, la nostra giornata inizia anche con il rumore del trick, anzi, se fossi un poeta, potrei dire con la musica del trick.

Alla prossima, Herr Alzheimer›› - Giancarlo (Giancarlo e Rita sono stati ospiti in una Casa per ferie delle suore Orsoline  di Verona. Lei è malata di Alzheimer. Il marito ha voluto condividere con noi la loro storia. Giancarlo, 24 ore su 24 sempre vigile, attento per far felicemente vivere la sua sposa, e nello stesso tempo, disponibile a offrire il suo aiuto a chi momentaneamente fosse in difficoltà. Come cristiano ha sempre rivelato la sua sensibilità di “missionario dell’amore”. FC n. 40 del 10 ott. 2017).

 
 
 
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