Creato da regina_crimilde il 25/10/2005

C'era una volta...

le fiabe sono solo dei ricordi d'infanzia o non sono piuttosto un codice da interpretare? Andiamo alla ricerca dei valori, dei miti, della storia profonda dell'umanità e dell'io che trasmettono.

 

 

La fiaba e il corpo

Post n°112 pubblicato il 06 Febbraio 2007 da regina_crimilde
 

"Non importa nascere in un pollaio quando si ha poi la fortuna di diventare un cigno." 

Hans Christian Andersen

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Spesso le fiabe sono la traccia, l'espressione, di conflitti interiori dell'uomo come singolo, oltre che lo specchio di società che non sono più o l'estrnazione, in forma apotropaica, di incubi eterni.

Seguire la traccia del corpo nella fiaba, quindi, equivale a rintracciare motivi stratificati, di diversissima origine, un labirinto dal qale non è facile evadere.

Una delle molte vie da seguire può essere quella delle trasformazioni del corpo nella crescita che il bambino, sul crinale dell'adolescenza, percepisce con paura.
Paura dell'ignoto ma anche, in società antiche, paura del nuovo ruolo sociale che gli si prospettava, senza filtri e intermediazioni.

Ecco il perché dei lunghi sonni, fuga da un tempo che non si sa vivere: quello della Bella Addormentata nel Bosco è esemplificativo tra mille. E' un sonno in cui la stessa protagonista fa in modo di cadere. Un sonno che, protettivo, colpisce tutto il mondo conosciuto. Un sonno da cui, con un simbolismo fin troppo scoperto, la giovane donna viene destata dall'uomo che la sposerà avvaindola ad una nuova dimensione.

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Oppure è il corpo involucro brutto e pesante, che imprigiona un'anima bella, ma sconosciuta a tutti. Il corpo del Brutto Anatroccolo, quello del Re ranocchio, quello di Riccardin dal ciuffo, quello menomato del Soldatino di stagno, quello di legno di Pinocchio: esempi della bruttezza trasfigurata dall'amore, dalla crescita, dalla abnegazione.
Oppure il corpo della Sirenetta, in cui il rifiuto della propria essenza fisica potrebbe essere letta come anticipazione dei disturbi della personalità che oggi si legano indissolubilmente al cibo, anoressia e bulimia, per esempio, o autolesionismo.

Spesso poi, quando il corpo, la sua negazione, o trasformazione, la sua esasperazione, non sono elementi centrali delal fiaba, possiamo però seguire come una filigrana, in trasparenza, i miti feticisti di un'epoca, attraverso gli elementi che rendono un corpo bello e desiderabile: i lunghi capelli biondi di Raperonzolo, la pelle bianca e le labbra rosse di Biancaneve, il piccolo piede di Cenerentola.

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Cenere e famiglia

Post n°111 pubblicato il 31 Gennaio 2007 da regina_crimilde
 

Intorno a Cenerentola - 2-

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Il nome stesso di Cenerentola (Cinerella nelle versioni più antiche italiane, Cinderella in inglese, Aschenbroedel in tedesco) è portatore di significati importantissimi che possono svelare molto dell'origine della fiaba o delle sue valenze molteplici.

Spesso collegata solo alla povertà, infatti, la parola ha una valenza più profonda, come dimostra il fatto che viene rintracciata, in tedesco, per la prima volta in un ambito molto lontano da quello delle fiabe e precisamente nel 1535, quando Martin Lutero, parlando di Caino, dice che maltrattava il fratello Abele costringendolo ad essere un Aschenbroedel , cioè, tradotto letteralmente, un fratello-cenerentolo
Lo stesso termine viene usato per Esaù che, dice Lutero, era stato costretto da Giacobbe ad assumere il ruolo di Aschenbrodel, del fratello- cenerentolo.

Pare assai significativo che si tratti di esempi legati alla gelosia tra fratelli, tanto da far ipotizzare che il termine sia collegato ad un senso di abbandono, disprezzo, lavoro servile, ma ingiustamente imposto a soppiantare una dignità originaria più alta.

Come in effetti poi succede alla protagonista della fiaba classica, relegata a vivere nel canto del focolare.

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Ma il simbolismo della cenere è molto pregnante: si va dal lutto (il rito dell'incinerazione, o cremazione, dei defunti) alla penitenza (le ceneri di cui si cospargevano il capo i fedeli nei riti di purificazione, sia pagani che cristiani). Al simbolo stesso della famiglia (detta anche "il focolare", infatti, in tutte le lingue europee) e a quello della castità (le vestali dell'antica Roma erano le custodi delle braci sacre della dea Vesta).

 
 
 

Piede e scarpetta

Post n°110 pubblicato il 26 Gennaio 2007 da regina_crimilde
 

Intorno a Cenerentola - 1-

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Alcuni studiosi, sottolineando la possibile origine cinese della storia di Cenerentola, in  particolare fanno notare come uno degli elementi ricorrenti (e più noto, anche nelle versioni occidentali) sia quello dei piedi minuti della protagonista, notoriamente segno di nobiltà e distinzione nella cultura cinese.

La versione cinese, infatti, enfatizzava il fatto che Cenerentola (chiamata Yen-Shen) aveva "i piedi più piccoli del regno".

Nelle versioni occidentali e successive, che hanno perso questa premessa culturale, è in effetti abbastanza oscuro il motivo per cui il principe si aspetti che una sola ragazza nel regno sia in grado di indossare la scarpina ritrovata.

In alcune versioni, poi, non si parla neppure più di una scarpina, come elemento magico che opera la trasformazione di vita della povera fanciulla perseguitata, ma di un anello o un braccialetto.

Che la scarpina fosse "di cristallo" è poi detto solo nella versione di Perrault e in quelle derivate (per esempio nella Cenerentola di Disney), e pare trattarsi di un tocco deliberatamente creativo dell'autore, ispirato all'elevato valore del cristallo nel XVII secolo.
Nella variante dei fratelli Grimm, per esempio, la scarpetta era d'oro.

La tecnica cinese della fasciatura dei piedi si chiamava del "loto dorato" ed il piede in età adulta non misurava più di sette centimetri e mezzo.
Del piede come elemento erotico ha parlato molto Freud e la cultura orientale sembra infatti annettere grande importanza a questo tipo di feticismo. Ma nel tempo la distinzione del piede piccolo venne a configurarsi come un elemento di tipo sociale: le donne ricche e nobili,. infatti, potevano permettersi la "fasciatura" (e la conseguente deformità fisica) pouiché sarebbero state servite tutta la vita. Mentre il piede di dimensioni naturali era riservato alle povere che dovevano lavorare e quindi avere una buona mobilità.

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Ma a chi pensa che oggi siamo lontani mille miglia da quelle torture, basterà ricordare come in occidente milioni di donne usino volontariamente scarpe a punta dal tacco altissimo. Al di là dello slancio conferito alla figura, infatti, il tacco alto serve anche a far sembrare i piedi più corti e stretti.

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Le 345 versioni di Cenerentola

Post n°109 pubblicato il 19 Gennaio 2007 da regina_crimilde
 

Una buona storia resta tale anche se viene narrata una seconda volta.

(proverbio gaelico)

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345 versioni: tante ne sono state contate, almeno stando alla lettaratura specialistica sull'argomento. (Marian Rolfe Cox, Cinderella; Three Hundred and Forty-five Variants, 1893).

Da quella egiziana (la prima di cui storicamente si trovi traccia), a quelle orientali, indiana, vietnamita, cinese.

Infinite le varianti, ma un minimo comun denomitare è quello delle persecuzioni di una povera orfana: spesso ad opera di una matrigna o di una madre (come ebbero il coraggio di osare i Fratelli Grimm nella prima versione delle loro fiabe; presto correggendosi nella seconda edizione, a favore di una matrigna, personaggio cui si potevano attribuire sentimenti ostili nei confronti della figliastra con meno problemi).

Altro elemento comune è l'aiutante magico. Una fata, una madrina, un uccello parlante, un pesciolino, un albero magico. Nella fiaba vietnamita la protagonista (Tam), viene aiutata e assistita non da una fata madrina, ma da Buddah in persona!

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Ma anche in Europa troviamo prima Zezzolla, la Gatta Cenerentola di Basile, un personaggio intriso di sangue e di sentimenti ambigui, assassina della sua stessa madre, prima di diventare perseguitata dalla matrigna per amore della quale aveva ucciso colei l'aveva generata.

Per poi arrivare alle più note e rassicuranti versioni di perrault, dei Fratelli Grimm e infine al luccichio mieloso di Walt Disney che riassorbe tutto nel mondo tranquillizzante del cartone animato, dividendo nettamente bene da male ed assegnando a ciascun personaggio un ruolo chiaro e definito.

 
 
 

Fate, fate e bionde

Post n°108 pubblicato il 15 Gennaio 2007 da regina_crimilde
 

Scegliere gli interpreti - 8

La Fata Turchina del Pinocchio Disney è un personaggio molto meno interessante di quella raccontata da Collodi. E' un personaggio tanto luminoso quanto incolore: una apparizione bionda, ammantata di luce. Ma le sono estranee tutte le implicazioni materne del racconto originale.

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La sua connotazione più significativa resta la chioma bionda, per cui Disney pare essersi ispirato alla quintessenza bionda dell'epoca, la mitica Veronica Lake.

Ma parlando di colori, un altro elemento interessante è la differenza tra quell'insolito "turchino" scelto da Collodi, rispetto al più comune "blue" di Disney. Il turchino è infatti un colore più profondo e composto del solo blu, fatto con una addizionale parte di rosso che crea una intonazione tendente al viola. Un colore, quindi carico, profondo, complesso. Come si adatta all'essenza di una fata, personaggio multiplo e misterioso.

 
 
 

La zingara Esmeralda

Post n°107 pubblicato il 07 Gennaio 2007 da regina_crimilde
 

(riposiamoci ancora un po', prima di affrontare temi più emotivamente coinvolgenti.....)

Scegliere gli interpreti -7

La sensuale, coraggiosa e ribelle zingara Esmeralda, del film animato Il Gobbo di Notre Dame (del 1996) è probabilmente esemplificata su Demi Moore, l'attrice che nelal versione originale le presta la voce.

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Come la bruna attrice è disegnata con un corpo statuario e dei magnifici occhi verdi, le sopracciglia folte.

PS. Demi Moore dava la voce alla Zingara, nella versione originale del cartoon: lo sapevate?

 
 
 

Niente può portare via le feste: nemmeno l'Epifania!

Post n°106 pubblicato il 05 Gennaio 2007 da regina_crimilde

Bambini, Babbo Natale esiste ed esiste la Befana

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Esistono i tre porcellini e la fata Morgana.

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Metti un dente sotto il bicchiere, il giorno dopo c’è un soldino
Peter Pan combatte ancora contro Capitan Uncino.

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Boschi pieni di folletti e di orsi pasticcioni
Elefanti che con le orecchie volano come aquiloni.

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Esistono i giganti, i draghi, Artù e Merlino

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E se segui quelle briciole puoi incontrare Pollicino.

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Ma anche l’Orco sai esiste, te lo giuro su me stesso.
Ti dirà “C’era una volta”, stai attento, c’è anche adesso.

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(Giorgio Panariello)

 
 
 

La fiaba raccontata

Post n°105 pubblicato il 02 Gennaio 2007 da regina_crimilde

Quand'ero bimbo, nelle giornatacce d'inverno, la Mamma mandava a chiamare in casa nostra la moglie d'un ciabattino famosa per raccontar fiabe.
Son tornato addietro, a quegli anni, a quelle giornatacce d'inverno, quando ci stringevamo tutti, fratellini e sorelline, attorno il gran braciere di rame rosso che il babbo, buon'anima! si teneva fra le gambe; e, intanto che la zia Angiola, filando in piedi, raccontava, senza mai stancarsi, le sue storie meravigliose, stavamo cheti come l'olio, a bocca aperta, incantati per ore ed ore.

(Luigi Capuana)

 
 
 

L'albero genealogico di Babbo Natale

Post n°104 pubblicato il 26 Dicembre 2006 da regina_crimilde

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"Be', miei cari, ci sono ancora tante cose che vorrei dirvi, sul conto di mio FratelloVerde e di mio padre, il vecchio Nonno Natale, e perché tutti e due siamo stati chiamati Nicola, col nome del santo che ha il suo giorno il 6 dicembre e un tempo i doni li distribuiva in segreto, a volte gettandoli in casa, attraverso la finestra, borse di denaro. Ma devo sbrigarmi, sono già in ritardo, e temo che questa mia non vi giunga in tempo".

Father Christmas

J.R.R. Tolkien, Le Lettere di Babbo Natale

 
 
 

Fiabe e bugie - 3

Post n°103 pubblicato il 17 Dicembre 2006 da regina_crimilde
 

C'è ancora un genere di bugia di cui la fiaba ci parla: quella della bugia protettiva.

Il guardacaccia mente alla cattiva matrigna e invece di uccidere Biancaneve, porta alla regina il cuore di un cinghiale.

immagineQuesta è una bugia che ai nostri occhi di severi pedagoghi sembra più accettabile di quelle di cui abbiamo parlato nei post precedenti (uno e due) solo perché il buon fine sembra immediatamente percepibile e non utilitaristico.

Ma quello che risulta estremamente interessante, ad una lettura approfondita (e psicanalitica) della fiaba è il fatto che matrigna e cacciatore sono in realtà due alter-ego dei genitori, madre e padre.

Sarebbe troppo angosciante e oscuro parlare di MADRI con pulsioni omicide verso i propri figli (vedi post Madri e Matrigne), quindi si trasforma la madre cattiva (il lato oscuro della madre) in una figura diversa, solo lontanamente imparentata con la figlia; cui quindi è CONSENTITO essere gelosa, malvagia, omicida.

Così il padre, inetto e spesso VOLUTAMENTE cieco nei confronti della madre "cattiva", viene giustificato in quanto assente. O adombrato nelle protettive figure di cacciatori (in Biancaneve come in Cappuccetto Rosso), pronti a soccorrere: magari troppo tardi (in Cappuccetto Rosso il deus ex-machina arriva dopo che il lupo ha mangiato la bambina e la nonna); o magari mentendo (come in Biancaneve) perchè realmente INCAPACE di opporsi alla donna malvagia.

Così la bugia del cacciatore-padre, lungi dal dimostrare bontà e pietà, segnala invece un pauroso intreccio tra incapacità e asservimento sessuale al potere femminile all'interno di certe relazioni familiari. Dove la madre vede messo in pericolo il proprio potere seduttivo da parte della figlia che cresce, tornano in gioco i motivi edipici dell'attaccamento genitore-figlio, che sono spesso usati per originare sensi di colpa e smontare possibili difese e sostegni.
Il silenzio e l'ipocrisia fanno il resto.

 
 
 

Fiabe e bugie - 2

Post n°102 pubblicato il 13 Dicembre 2006 da regina_crimilde
 
Tag: bugie

Nelle fiabe che presentano una chiara rielaborazione medievale, spesso viene raccontata la quotidiana lotta per la sopravvivenza del povero, attraverso anche una difficile contrapposizione al potere assoluto dei signori.
La bugia spesso, in questo contesto, diventa una conseguenza della diseguaglianza del potere: il povero reagisce come sa e come può. La verità è un lusso che solo i potenti (e gli eguali) possono permettersi.

Attraverso una manipolazione della realtà, una sua drammatizzazione, spesso un suo capovolgimento fantasioso, il povero riesce a sopravvivere alle prove, talvolta anche ad emergere e a conquistarsi un nuovo status sociale.

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Così nel Gatto con gli stivali (dove l'utilizzo spudorato della bugia passa attraverso un transfer: non pare possibile attribuirlo tout-court al giovane povero e quindi si costruisce un suo alter-ego appartenente al mondo animale, un intermediario magico: il gatto. Tra l'altro un animale spesso visto come incarnazione del demoniaco.

Ma la morale della fiaba, poi quale rimane?
Che la bugia trasforma la realtà: il povero non sa più nemmeno lui chi è. Il Re e la principessa accettano passivamente l'esistenza del parto della fantasia (della bugia) del gatto, il Marchese di Carabas, e sono pronti ad accoglierlo e a celebrare il matrimonio tra realtà e fantasia, generando un mondo impossibile, ma reso possibile proprio dalla bugia.

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Fiabe e bugie - 1

Post n°101 pubblicato il 10 Dicembre 2006 da regina_crimilde
 
Tag: bugie

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Pinocchio è, ovviamente, il re delle bugie.
Così come bugiardi sono i personaggi negativi del libro: Lucignolo, il Gatto e la Volpe, Mangiafuoco, l'Omino di Burro.

Ma nello stesso romanzo, la bugia è ampiamente adoperata anche dai personaggi positivi.
Geppetto, immagine della paternità frustrata, si racconta un sacco di bugie, costruendo con le proprie mani un burattino di legno e fingendo (e pretendendo) che sia il suo bambino.
Così come, udite udite, bugiarda è anche la Fata Turchina, che si finge morta un paio di volte, poi si finge lavandaia, poi si fa negare a Pinocchio dalla sua cameriera, la lumaca.

Ma queste bugie, degli adulti, anzi, delle figure genitoriali, sono sempre giustificate, perché a fin di bene, perché amorevoli, perché educative.

Che dire?

 
 
 

La bugia positiva

Post n°100 pubblicato il 04 Dicembre 2006 da regina_crimilde
 
Tag: bugie

Da  una conversazione con Magdalene57 e casalingapercaso sulle bugie degli adolescenti, ecco alcune riflessioni.

Se cerchiamo di liberarci per un attimo da sovrastrutture morali o sociali ed esaminiamo la crescita del ragazzo come un percorso individuale, sì, ma anche fisiologico e per questo comune ad ogni essere umano; se cerchaimo di astrarci dal ruolo di educatori (genitori o insegnanti, o comunque figure che sentaono il peso e la necessità di fornire modelli di compertamento referenziali); se cerchiamo di scomporre la crescita in una serie di atteggiamenti ed esperienze attraverso le quali l'essere umano va acostruirsi un ruolo ed una personalità nuova in un contesto che gli è ancora estraneo e nel quale fa fatica a riconoscersi...
.....allora possiamo forse leggere ed interpretare la bugia dell'adolescente come "positiva": un momento di riflessione, una ricerca di capire il nuovo mondo, il nuovo se stesso.

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"Mentire implica disporre o sviluppare una buona quota di fantasia, di astrazione e immaginazione ed è funzionale alla creazione della propria identità. Non a caso, il bambino impara a formulare una bugia quando inizia a introdurre tra i suoi giochi, a circa due anni di età, il "come se", ovvero quando apprende che ci può essere una realtà diversa da quella che vive concretamente e quotidianamente.
In questa accezione, la bugia è un veicolo per conoscere se stessi e gli altri, per definire il confine tra realtà e fantasia. E sancisce la possibilità di crearsi un proprio spazio mentale e psicologico, un'indipendenza di pensiero all'interno del contesto familiare e sociale"


Antonino Minervino

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il Buio

Post n°99 pubblicato il 29 Novembre 2006 da regina_crimilde
 

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"chi non ha paura del buio soffre di un grave difetto: manca di immaginazione"

Akira Kurosawa, Il compleanno

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La madre assente

Post n°98 pubblicato il 26 Novembre 2006 da regina_crimilde
 

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Spesso nelle fiabe le figure di madre sono assenti, o incolori.
Come la regina madre della Bella Addormentata, che non sa evitare lo sdegno delle fate né contrastare l'avverarsi della profezia maligna.
O la madre di Cappuccetto Rosso che espone la figlia ai pericoli del bosco senza saperle offrire altro che l'inefficace scudo della prudenza.

Talvolta l'assenza della madre è definitiva e determinante per lo svolgersi della storia, gravida di prove difficili e tormenti per il protagonista: così nel caso di Biancaneve e di Cerentola, dove la morte della madre - assenza estrema - lascia spazio all'introdursi della matrigna.

In Pinocchio la madre manca fin dall'inizio: la nascita stessa del burattino è una partenogenesi degna del mito greco. Solo che, nell'aureo mondo classico, senza genitori nascevano déi. Nel più prosaico mondo umano, senza genitori nascono mostri.
E Pinocchio è l'esemplificazione del "mostro" moderno: reso rigido, sgraziato, informe, ribelle dalla mancanza di amore.
Alla ricerca dell'unica fonte di amore che percepisce come possibile. Non Geppetto, che come ogni padre è una figura distante, portatore di sovrastrutture sociali imposte come valori (ordine, legalità, conformismo: il continuo richiamo ad essere buono e frequentare la scuola).

Pinocchio identifica la madre nella evanescente e misteriosa Fata Turchina, che continuamente appare e scompare, muore e rinasce, lo blandisce e lo allontana.

Allora si affacciò alla finestra una bella bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un'immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto, la quale senza muovere punto le labbra, disse con una vocina che pareva venisse dall'altro mondo: - In questa casa non c'è nessuno. Sono tutti morti. - Aprimi almeno tu! - gridò Pinocchio piangendo e raccomandandosi.
- Sono morta anch'io.

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Solo la presenza della madre nella sua vita, cercata e saltuariamente incontrata, attraverso peripezie infinite, opererà il miracolo di farlo uscire dalla sua condizione di "mostro". La ricerca sarà lunga e faticosa, talvolta Pinocchio avrà paura di aver perso per sempre la madre:

Lumachina bella: dove hai lasciato la mia buona Fata? che fa? mi ha perdonato? si ricorda sempre di me? mi vuol sempre bene? è molto lontana da qui? potrei andare a trovarla?

Ma alla fine il ricongiungimento opererà il miracolo. Pinocchio potrà esclamare:

Gli è tanto tempo che mi struggo di avere una mamma come tutti gli altri ragazzi!...

Vogliamo dare questa opportunità anche a Pouchner e a Malene?

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Il dossier di questo numero è dedicato a "Fiabe di ieri e di oggi".
C'è anche un articolo di Regina Crimilde sulla figura della madre:
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