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E’ un inseguirsi tra le righe

questo continuare a cercarsi

 dove l’altro smette.

Una connessione spontanea

Senza alcuna richiesta

 

 

 

Sensibilità tenerezza ardore

sono collegate al cuore

Talvolta arrecano lacrime e dolore.

Ma si è vivi nella sofferenza

e morti nell’indifferenza.

Sunny_Poems

 

 
Creato da: fabiana.giallosole il 18/02/2012
COPDUS - Coordinamento Provinciale Docenti Utilizzati di Sassari

Messaggi del 07/02/2015

 

Buona scuola

Post n°3129 pubblicato il 07 Febbraio 2015 da fabiana.giallosole
 

Da “Il FattoQuotidiano.it


La Buona Scuola è davvero ‘la nostra scuola’?


di Marina Boscaino |

Non è una cosa che accada tutti i giorni che si parli di scuola. O meglio, non è una cosa che capita tutti i giorni che se ne tenti di parlare nella maniera complessa e corretta che la scuola richiede. Tra un tweet e un annuncio di riforma – tutte “epocali” – e l’altro sono trascorsi e stanno trascorrendo gli anni più bui della scuola statale, quelli che hanno rischiato di trasformarla (e l’hanno trasformata, nella percezione di molti) da istituzione dello Stato ad agenzia di servizi a domanda individuale.

Su questa falsariga si colloca – a detta di molti – l’annunciata ennesima riforma del governo del fare e della velocità: requisiti esattamente contrari a tutto ciò che abbia a che fare con l’apprendimento, che pur sempre è l’obiettivo principale della scuola. Ancora una volta, come nel 2010, sarà la trasmissione Presa Diretta di Riccardo Iacona a darci voce: domenica 8 febbraio, alle ore 21.45 su Rai3. La nostra scuola è il titolo, un’inchiesta sul progetto di Riforma del governo Renzi “La Buona Scuola” per capire cosa c’è di vero nelle critiche di studenti e insegnanti, che lo hanno contestato in tutto il paese: un viaggio nelle emergenze che investono la scuola pubblica italiana. Mancanza cronica di denaro, problemi legati alla sicurezza degli edifici scolastici, sovraffollamento delle aule.

Una particolare lente di ingrandimento sarà riservata ai contributi dei genitori (che non sono altro che una forma eufemistica formalmente ed edulcorata sostanzialmente) per sollevare lo Stato dall’obbligo, previsto dalla Costituzione, di sovvenzionare la scuola italiana, nell’osservanza anche dei principi di uguaglianza, normato dall’art. 3, della libertà di insegnamento, del diritto allo studio e all’apprendimento per tutti, della laicità della scuola statale. Il contributo volontario è invece diventato oggi la principale voce di bilancio degli istituti pubblici. Lo Stato è oggi debitore nei confronti delle scuole tra i 700 e gli 800 milioni di euro. Non solo. Il Dipartimento per la Programmazione del Miur ha inviato in dicembre alle scuole italiane una lettera, a firma di Jacopo Greco Direttore Generale risorse umane, acquisti e affari generali, che, oltre alla comunicazione di fondi pressoché irrisori, “per far fronte alle sofferenze”, “attesa la attuale situazione finanziaria di bilancio dello Stato e in considerazione della vetustà temporale di “residui attivi” che risultano ancora iscritti nei bilanci di diverse istituzioni scolastiche, si auspica che con progressiva e ragionata programmazione gli stessi possano essere radiati nell’ambito della autonoma gestione amministrativo contabile e nel rispetto di quanto previsto dalla normativa vigente, tramite mirate delibere dei Consigli d’Istituto”. Cosa vuol dire? Che rispetto ai “residui attivi” (cioè gli euro che lo Stato non ha inviato alle istituzioni scolastiche per far fronte ad oneri di spesa a suo carico; fondi dei quali, dunque, è debitore nei confronti delle scuole) – lungamente “congelati” negli anni precedenti e ai quali si è dovuto far fronte incrementando i contributi volontari delle famiglie – si sta proponendo un’azione di “radiazione”. Rimane ancora non chiara se (cosa improbabile) l’iniziativa sia del singolo funzionario zelante o si tratti delle conseguenze di un preciso mandato di Miur e Tesoro.

A risolvere completamente la vicenda (sotterrando una serie di principi di matrice costituzionale, a garanzia di uguaglianza e laicità), ci pensa il documento La Buona Scuola di Renzi, le cui conseguenze in termini i provvedimenti concreti sono state annunciate per un’ulteriore kermesse sulla scuola, che si terrà a Roma il 22 febbraio. Nel capitolo destinato alle risorse, si afferma che le risorse pubbliche non saranno mai sufficienti a colmare le esigenze di investimenti nella nostra scuola. Sommare le risorse pubbliche a interventi dei privati è l’unico modo per tornare a competere. Per facilitare le istituzioni scolastiche a ricevere risorse occorre costituirle in fondazioni o in enti con autonomia patrimoniale. E poi va offerto al settore privato e no profit un pacchetto di vantaggi fiscali. Ecco la bandiera bianca dello Stato sul proprio obbligo di garantire il diritto all’istruzione dei cittadini; ma ecco – al contempo – la determinazione di diverse opportunità per i cittadini (e i lavoratori stessi) a seconda della collocazione – appetibile o meno per gli investitori – del proprio istituto: rottura del principio di unitarietà del sistema scolastico nazionale, viatico di democrazia e uguaglianza. Ecco la fine della scuola statale come strumento dell’interesse generale.

Questo ed altro ancora andrà ad analizzare Presa Diretta, cercando di dare una risposta su cosa sia davvero la buona scuola e se essa, per caso, non esista già in tante realtà. Uno spazio nel corso della trasmissione avrà il problema del precariato – particolarmente “caldo”, in attesa del decreto del Governo- e il tema di un’alternativa concreta al piano di Renzi, la Lipscuola, proposta concreta ed operativa di docenti, studenti e genitori, attualmente depositata come disegno di legge alla Camera e al Senato, ma completamente inascoltata dal Governo.

 
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32 azioni

Post n°3128 pubblicato il 07 Febbraio 2015 da fabiana.giallosole
 

Da “Dazebao.org”


La FLC presenta al Ministro Giannini 32 azioni per far funzionare la scuola


Bastano 32 azioni per cominciare a far funzionare la scuola. Renzi aveva chiesto che gliene indicassero 100.

Le ha inviate la Flc Cgil al ministro Giannini per mettere a disposizione del governo, che sta lavorando ai decreti attuativi della “buona scuola”, un’elaborazione maturata negli anni e discussa e verificata con esperti e lavoratori. 

Tra le proposte suggerite dalla Flc ve ne sono di inedite, come, ad esempio consentire alle scuole autonome di accedere all’8 per mille, per finanziare ricerca e sperimentazione. Anche se le scuole hanno bisogno di finanziamenti pubblici, certi nei tempi e nelle quantità per l'attuazione dei Pof di istituto.   “32 azioni su alcuni punti specifici per ottenere dei risultati mirati e per dare leggerezza alle scuole, oggi appesantite da gravi difficoltà dovute al deficit di funzionamento dei centri ministeriali ” commenta Domenico Pantaleo segretario generale della FLC.

Togliere alle scuole le pratiche seriali, come già avviene negli altri Paesi europei - come ad esempio in Francia dove gli stipendi dei supplenti li paga direttamente il Ministero - è una misura a costo zero e una modalità razionale nei rapporti tra scuole e Miur e altre amministrazioni, tra cui il Mef. Collaborazione e semplificazione, anche per mettere ordine a una legislazione confusa che pretende di applicare alla scuola norme concepite per altri uffici amministrativi. 

Secondo Pantaleo: “La didattica è la linea di cammino che deve segnare ogni azione amministrativa nelle scuole e non viceversa”. Altre misure riguardano la soluzione dei contenziosi molto costosi per l’erario, il dimensionamento delle scuole, la governance.

 

 

 
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Scuole digitali

Post n°3127 pubblicato il 07 Febbraio 2015 da fabiana.giallosole
 

Da “Corriere della sera"


Altro che rivoluzione informatica Le scuole digitali sono 38 su 8.519


Di questo passo, accusa Tuttoscuola , occorreranno «437 anni per digitalizzarle tutte». È una sconfitta epocale. Che la dice lunga sulle indecorose panzane che ci sono state rifilate per anni.

Dopo le mirabolanti promesse di un fantastilione di triliardi siamo messi così: le «scuol@2.0» all’altezza delle sfide digitali mondiali sono in Italia 38 su 8.519. Di questo passo, accusa Tuttoscuola , occorreranno «437 anni per digitalizzarle tutte». È una sconfitta epocale. Che la dice lunga sulle indecorose panzane che ci sono state rifilate per anni.
Per capire la sproporzione abissale tra le rassicurazioni, gli impegni, i giuramenti del passato e il panorama di oggi è necessario fare un passo indietro. A partire da un’Ansa del 1988 in cui l’allora ministro della Pubblica istruzione Giovanni Galloni già invitava a tener conto della «rivoluzione informatica». Il primo pc esisteva solo da 12 anni, Internet non arrivava a 100 mila utenti e non c’era ancora il «www», ma era già chiaro: il futuro era quello. Tanto che una dozzina d’anni dopo Luigi Berlinguer lanciava uno slogan che, irridendo al «libro e moschetto» del Duce, era: «Libro e tastiera»: «Al momento il rapporto computer-alunni è di uno a cinquanta», garantiva, «vogliamo arrivare a uno a 10».
L’ultima finanziaria del governo Amato, fatta nel 2000 per il 2001, confidava di «colmare il divario digitale» che già c’era offrendo ai giovani un «prestito d’onore» che sperava di spingere «600.000 studenti di 60.000 scuole medie superiori» a comprare un pc «di buon livello, al costo di 1.440.000 lire, Iva inclusa». Spiegava infatti: «Solo il 33% dei ragazzi italiani tra 15 e 17 anni possiede e utilizza abitualmente un pc; ben lontano dai livelli della Svezia ad esempio, dove il 75% delle famiglie ha un computer in casa e il 70% naviga in Internet».
L’anno dopo, miracolo! Nel novembre 2001, entusiasta di compiacere Berlusconi che aveva fatto la campagna elettorale sulle tre «I» di Internet, Inglese, Impresa, il ministro Letizia Moratti assicura trionfante: «Gli obiettivi fissati per il 2001 dal piano europeo sulla diffusione delle tecnologie informatiche nella scuola sono stati raggiunti. Quasi tutte le diecimila scuole italiane risultano oggi collegate in Rete: in particolare la totalità delle superiori, il 96% per cento delle medie e il 91% delle elementari». Bum! E non è finita, assicura la maga Letizia: «Per il 2002 il nostro obiettivo è realizzare un collegamento Internet in tutte le classi e la creazione di specifici servizi di supporto informatico alla didattica». Di più ancora: «Entro il 2004 uno studente su due avrà a disposizione un personal computer». Testuale. Ansa.
L’anno dopo, dimentica d’avere già festeggiato il prodigioso collegamento esistente per «quasi tutte», la Moratti annuncia un accordo per portare il web «nell’85% delle scuole entro il 2005» e il debutto della «telescuola, che consentirà agli studenti un contatto continuo con i docenti e darà loro la possibilità di approfondire le conoscenze attingendo dalle fonti in Rete...». E non basta: « Nei prossimi anni prevediamo di collegare a Internet a banda larga il 90% delle scuole, contro l’attuale 18%». Detto fatto, stanzia per il ciclopico impegno delle 10.797 scuole italiane 81 milioni. Pari a un deca per ogni studente. Due toast e una Coca.
L’anno dopo, il mago Silvio si spinge ancora più in là: «Introdurremo il computer già dalla prima elementare, non subito. Ma quando i bambini cominceranno a conoscere le lettere e i numeri, già a febbraio potranno giocare con il computer». Per capirci: febbraio 2004. Undici anni fa.
E potremmo andare avanti. Ricordando i numeri dati nel 2005 dal ministro per l’Innovazione Lucio Stanca: «L’85% degli istituti usa Internet e uno studente ogni 10 ha a disposizione un pc» (bum!) e poi «il 68% delle famiglie con figli in età scolare possiede un pc, ponendo l’Italia al 3° posto in Europa» (bum!) e ancora «una famiglia su 5 ha già accesso alla banda larga» (bum!) e via così...
Dieci anni più tardi, dopo avere incassato via via altri impegni da Mariastella Gelmini («Un mini pc per tutti gli studenti, al ritmo 1.000 classi al mese») a Francesco Profumo («Da quest’anno tutte le classi delle medie e delle superiori potranno contare su un computer da utilizzare nelle lezioni. Alle classi che ancora non ce l’hanno sarà consegnato nelle prossime settimane») la situazione è quella fotografata dall’ultimo studio Survey Of Schools: Ict in Education . Il quale dice che, in un contesto mondiale dove la velocità media di download (compresi il Niger o il Burkina Faso, per capirci) è di 22,1 megabyte al secondo e noi stiamo novantaseiesimi con 9,22, gli studenti europei che nella loro scuola non hanno la banda larga sono, a seconda dei gradi di studio, tra il 4% e l’8%. Nelle quattro tabelle prese ad esempio per mettere a confronto varie classi delle medie e delle superiori noi siamo sempre (sempre) i peggiori, arrivando al 34%. E parliamo di una banda larga nominale. Spessissimo miserella. Che magari, tra un problema e l’altro, non arriva a 3 mega.
Due ragazzi su tre, dice un sondaggio di Skuola.net , «dichiarano di non avere la connessione wi-fi o comunque di non utilizzarla per la didattica». Peggio: «Uno su 5 utilizza il laboratorio informatico una volta a settimana, uno su 5 una volta al mese». Riccardo Luna, uno dei referenti di Matteo Renzi delle nuove tecnologie, ha raccontato un mese fa dello stupore di Enzo Valente, il direttore del Garr, il consorzio che gestisce la super-rete in fibra ottica della ricerca scientifica in Italia: «Roba seria, fino a mille volte più veloce di quello che avete a casa». Aveva scritto a 260 scuole del Sud offrendo loro la fibra ottica gratis in cambio di un canone annuale di 3.000 euro: «Mi hanno risposto in 40: quaranta! Da non crederci!». Cecità. E mancanza di fondi. Fatto sta che, con solo il 20% delle aule connesse al Web (dati dell’Agenzia digitale diretta da Alessandra Poggiani), lo studio di Glocus (il think tank presieduto da Linda Lanzillotta) ha denunciato che «il 18,5% dei plessi (4.200) non è connesso a Internet, le lavagne interattive multimediali sono appena 69.813 e i tablet per uso individuale nelle classi ancora meno, appena 13.650».
Certo, esistono eccellenze. E come scrive la rivista Tuttoscuola diretta da Giovanni Vinciguerra, le scuole sperimentali dei due progetti «cl@ssi 2.0» e «scuol@2.0» sono ambitissime. Ma sono rare: «Nel 2012-13 erano 416 le cl@ssi 2.0, dotate di minicomputer per tutti gli alunni per interagire con la lezione in tempo reale. Mentre erano solo 14 le scuol@2.0, completamente digitalizzate». Da allora «un lieve incremento si è registrato», ma i numeri sono quelli che dicevamo: «Dopo tre anni dal lancio del progetto, siamo a 38 scuole su 8.519». Li abbiamo, quattro secoli e mezzo, per recuperare i ritardi?

 
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Papa Fancesco

Post n°3126 pubblicato il 07 Febbraio 2015 da fabiana.giallosole
 

Da “La Tecnica della Scuola”


Papa Francesco: Il patto educativo s’è rotto e la “patata bollente” va ai docenti malpagati: ringraziamoli


Papa Francesco: l'accordo tra famiglie, scuola e Stato non si può incollare. Così gli agenti educativi, pagati male, devono portare sulle loro spalle questa responsabilità: voglio esprimere il mio omaggio ai docenti. Grazie a loro i giovani scoprono l'educazione alla bellezza, che passa per la pittura, la scultura e la letteratura

Di Alessandro Giuliani

L’educazione deve tornare al centro del mondo. Lo sa bene il Papa. E non lo manda a dire. "Non cambieremo il mondo se non cambiamo l'educazione", ma oggi "il patto educativo tra le famiglie, la scuola e lo Stato, è rotto, è assai rotto e non si può semplicemente incollare", ha detto il Santo Padre, parlando il 5 febbraio in videoconferenza con alcuni ragazzi disabili di varie parti del mondo aderenti al progetto educativo 'Scholas occurrentes'.

Papa Francesco ha tenuto a ricordare che il patto educativo rotto significa che l'educazione viene affidata "agli agenti educativi che pagati male devono portare sulle loro spalle questa responsabilità", perciò, ha aggiunto, "voglio esprimere il mio omaggio ai docenti che si sono trovati con questa patata bollente in mano".

Ma ricucire il patto educativo è ancora possibile: secondo Bergoglio è però necessario uno sforzo di "armonizzazione" tra tutti i responsabili, un'armonizzazione, ha insistito, che può passare solo attraverso "l'educazione alla bellezza", che si esprime nelle tanti arti come la pittura, la scultura e la letteratura. 

 
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 CHI SIAMO

Il Coordinamento provinciale dei Docenti Utilizzati di Sassari (COPDUS), si è costituito ufficialmente nel mese di settembre 2011, in seguito alla necessità di fronteggiare il nefasto articolo 19 della Legge 111 del 15 luglio 2011 col quale si dispone la messa in mobilità intercompartimentale dei docenti inidonei o il declassamento a personale ATA con conseguente riduzione stipendiale.

Esserci costituiti in gruppo è stato per tutti noi fondamentale in quanto ci ha dato da subito la forza e la determinazione, entrambe importanti, per intraprendere tutte quelle azioni di lotta civile allo scopo di trovare soluzioni al problema che ci ha visti coinvolti, assieme ad altri quasi 4000, a livello nazionale.

Ritrovarci con cadenza settimanale ci fa sentire, non solo più uniti e aggiornati sull'evolversi della nostra situazione, ma soprattutto più sicuri e positivi nell'affrontarla.

Per questo motivo, e non solo, abbiamo col tempo sentito il bisogno di creare questo BLOG ossia uno spazio per informarci ed informare anche coloro che trovandosi nella nostra situazione pur non facenti parte del coordinamento di Sassari, avranno piacere di visitarci e saranno i benvenuti.

Al tempo stesso vogliamo che questo sia uno spazio oltre che di informazione anche di incoraggiamento al "ce la faremo" e al "non smettere" e quindi non vuole avere e non avrà aspetti e contenuti sterili o "istituzionalizzati".


e-mail: copdus@gmail.com oppure fabianagiallosole@libero.it

 

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